Una volta, all’università, assistevo ad una lezione di psicologia.
Ad un certo punto si finì per toccare il tema delle organizzazioni umane, intese nella loro accezione più ampia, quelle legalmente costituite e quelle invalse per consuetudine: famiglia, istituzioni varie, enti politici, la scuola ai suoi vari gradi, tutto il sistema del lavoro, le associazioni più diverse, insomma tutto l’armamentario sociale nel quale ciascun individuo è “consigliato-costretto” ad inserirsi se vuole evitare l’inconveniente di ritrovarsi, al primo incontro galante della sua vita, a fare la propria presentazione con l’inequivocabile frase: «…Io Tarzan…tu Jane…».
Durante la lezione, saltò fuori una cosa che sapevo già, ma non mi ero mai reso conto di sapere. Pur senza voler scomodare Platone e la sua teoria della conoscenza come graduale ricordo del patrimonio ideale posseduto prima della nostra venuta in vita, talvolta mi sembra che la cultura consista proprio in questo: è un disvelare idee che sono già nel nostro patrimonio mentale-spirituale, ma che hanno solo bisogno di essere riordinate, “messe in fila”, per poter essere comprese appieno.
L’idea era questa: il rapporto di ogni individuo con le “organizzazioni umane” si gioca sul duplice discrimine “libertà-coercizione”. Forse potrà sembrarvi banale e scontato, ma pur avendo già conosciuto nel mio percorso di studi l’«homo homini lupus» di Thomas Hobbes, io prima di allora non avevo mai visto la faccenda sotto questo profilo.
Per dirla in altri termini, le organizzazioni, i gruppi umani, sono le nostre gabbie dorate.
Direte che sono impressionabile con niente, ma l’idea mi colpì non poco. Da una parte non possiamo farne a meno, nessuno può tirarsi fuori dalle organizzazioni, dai gruppi umani, nemmeno un asociale “asocialista reale” come me.
Ma d’altro canto la vita è anche una continua ricerca d’equilibrio per far sì che le maglie delle diverse organizzazioni nelle quali siamo inseriti, non si mettano a stringere troppo.
In pratica, se si approfondisce ancor più il concetto, ci si accorge che si tratta di un paradosso bell’e buono. Al di là della tutela, della protezione personale, del sostentamento fisico che i gruppi umani ci garantiscono ad un gradino più immediato, far parte di essi ci è inoltre indispensabile per acquisire libertà anche in senso più elevato, perché la trasmissione della conoscenza, della cultura, e quindi la nostra crescita personale, non possono prescindere dall’aggregazione con gli altri.
Ma al tempo stesso, quei gruppi, quelle organizzazioni, possono tramutarsi da un momento all’altro in vincoli opprimenti, quando ci accorgiamo che ci pongono troppe restrizioni, troppi obblighi, il che ci fa venir voglia di spezzare ogni legame, in un utopico obiettivo di liberazione suprema che però torna inevitabilmente a mordersi la coda: se ci siam “raggruppati” e “organizzati” per essere più liberi, non sarà certo il cammino opposto che ci condurrà verso una libertà maggiore.
Da tutte queste elucubrazioni, all'epoca mi venne ancor più da pensare quanto sia complessa la questione della libertà.
Soprattutto, quelle riflessioni mi sono tornate alla mente in questi giorni di rinnovata afa nella Bassa.
Il clima (sia meteorologico, sia umano) a Gillipixiland, se lo si assume come parallelo metaforico, aiuta parecchio ad approfondire questi risvolti del concetto di libertà.
Quella gran spianata di terra posta giusto nel punto in cui lo Stivale italico si appiccica al resto del Vecchio Continente, è un’ottima metafora dei paradossi della libertà, mi sono detto.
E credo di essermi detto bene.
Questa è una delle terre più ricche del mondo (nessun riferimento personale, ovviamente…), ma ha un clima da schifo. E’ piatta e sgraziata come il petto di una brutta racchia, ma non puoi fare a meno di volerle bene e di subirne quel fascino tutto suo. Ti opprime liberandoti, ma ti libera opprimendoti con afe gravose e viscide come l’abbraccio totale di una sensuosa ed ammaliante puttana surriscaldata.
Quando fa così caldo nella Bassa, la sensazione è proprio quella: non sai dove scappare per tirartene fuori. Così come a volte senti di non sapere come fare per liberarti della libertà.
Passando in bici sotto sera, una di queste sere di caldo particolarmente “liberale”, lungo un piccolo canale figlioccio del Grande Fiume, mi sono soffermato un attimo ad osservare con calma un laghetto di acqua semi-ristagnante, che si forma lungo quel percorso idrico minore. Ci sono alcuni posti per me carichi di notevole magia, disseminati nella campagna qui tutta attorno. Il piccolo stagno è uno di quei luoghi.
In questo periodo è ricoperto da un velo fittissimo e senza tregua di infiorescenze, che gli donano una livrea verdognola quasi iper-realistica. Flotte ben ordinate di paperotti si godevano quella pozza indisturbata ed immersa nel silenzio, fendendo il tappetino verde con le loro buffe scie zampettose, al seguito di mamma papera. Non sono riuscito a coglierle nella foto (tra l’altro scarsa, ripresa col cellulare), perché avvicinandomi, si sono insospettite e son corse a nascondersi.
So che da anni quello specchio d’acqua è purtroppo anche uno dei ricettacoli di veleni più concentrato di tutta la zona. E nel silenzio che mi sono goduto per pochi attimi, prima di inforcare di nuovo la bici e ripartire, mi sono domandato come potevano quella paperelle sguazzare così serene, lì dentro quel lerciume dalle parvenze idilliache.
Anche loro avevano trovato il loro equilibro per sopportare l’inquinamento che la libertà porta nelle vite di tutti, mi sono risposto alla fine.
Ad un certo punto si finì per toccare il tema delle organizzazioni umane, intese nella loro accezione più ampia, quelle legalmente costituite e quelle invalse per consuetudine: famiglia, istituzioni varie, enti politici, la scuola ai suoi vari gradi, tutto il sistema del lavoro, le associazioni più diverse, insomma tutto l’armamentario sociale nel quale ciascun individuo è “consigliato-costretto” ad inserirsi se vuole evitare l’inconveniente di ritrovarsi, al primo incontro galante della sua vita, a fare la propria presentazione con l’inequivocabile frase: «…Io Tarzan…tu Jane…».
Durante la lezione, saltò fuori una cosa che sapevo già, ma non mi ero mai reso conto di sapere. Pur senza voler scomodare Platone e la sua teoria della conoscenza come graduale ricordo del patrimonio ideale posseduto prima della nostra venuta in vita, talvolta mi sembra che la cultura consista proprio in questo: è un disvelare idee che sono già nel nostro patrimonio mentale-spirituale, ma che hanno solo bisogno di essere riordinate, “messe in fila”, per poter essere comprese appieno.
L’idea era questa: il rapporto di ogni individuo con le “organizzazioni umane” si gioca sul duplice discrimine “libertà-coercizione”. Forse potrà sembrarvi banale e scontato, ma pur avendo già conosciuto nel mio percorso di studi l’«homo homini lupus» di Thomas Hobbes, io prima di allora non avevo mai visto la faccenda sotto questo profilo.
Per dirla in altri termini, le organizzazioni, i gruppi umani, sono le nostre gabbie dorate.
Direte che sono impressionabile con niente, ma l’idea mi colpì non poco. Da una parte non possiamo farne a meno, nessuno può tirarsi fuori dalle organizzazioni, dai gruppi umani, nemmeno un asociale “asocialista reale” come me.
Ma d’altro canto la vita è anche una continua ricerca d’equilibrio per far sì che le maglie delle diverse organizzazioni nelle quali siamo inseriti, non si mettano a stringere troppo.
In pratica, se si approfondisce ancor più il concetto, ci si accorge che si tratta di un paradosso bell’e buono. Al di là della tutela, della protezione personale, del sostentamento fisico che i gruppi umani ci garantiscono ad un gradino più immediato, far parte di essi ci è inoltre indispensabile per acquisire libertà anche in senso più elevato, perché la trasmissione della conoscenza, della cultura, e quindi la nostra crescita personale, non possono prescindere dall’aggregazione con gli altri.
Ma al tempo stesso, quei gruppi, quelle organizzazioni, possono tramutarsi da un momento all’altro in vincoli opprimenti, quando ci accorgiamo che ci pongono troppe restrizioni, troppi obblighi, il che ci fa venir voglia di spezzare ogni legame, in un utopico obiettivo di liberazione suprema che però torna inevitabilmente a mordersi la coda: se ci siam “raggruppati” e “organizzati” per essere più liberi, non sarà certo il cammino opposto che ci condurrà verso una libertà maggiore.
Da tutte queste elucubrazioni, all'epoca mi venne ancor più da pensare quanto sia complessa la questione della libertà.
Soprattutto, quelle riflessioni mi sono tornate alla mente in questi giorni di rinnovata afa nella Bassa.
Il clima (sia meteorologico, sia umano) a Gillipixiland, se lo si assume come parallelo metaforico, aiuta parecchio ad approfondire questi risvolti del concetto di libertà.
Quella gran spianata di terra posta giusto nel punto in cui lo Stivale italico si appiccica al resto del Vecchio Continente, è un’ottima metafora dei paradossi della libertà, mi sono detto.
E credo di essermi detto bene.
Questa è una delle terre più ricche del mondo (nessun riferimento personale, ovviamente…), ma ha un clima da schifo. E’ piatta e sgraziata come il petto di una brutta racchia, ma non puoi fare a meno di volerle bene e di subirne quel fascino tutto suo. Ti opprime liberandoti, ma ti libera opprimendoti con afe gravose e viscide come l’abbraccio totale di una sensuosa ed ammaliante puttana surriscaldata.
Quando fa così caldo nella Bassa, la sensazione è proprio quella: non sai dove scappare per tirartene fuori. Così come a volte senti di non sapere come fare per liberarti della libertà.
Passando in bici sotto sera, una di queste sere di caldo particolarmente “liberale”, lungo un piccolo canale figlioccio del Grande Fiume, mi sono soffermato un attimo ad osservare con calma un laghetto di acqua semi-ristagnante, che si forma lungo quel percorso idrico minore. Ci sono alcuni posti per me carichi di notevole magia, disseminati nella campagna qui tutta attorno. Il piccolo stagno è uno di quei luoghi.
In questo periodo è ricoperto da un velo fittissimo e senza tregua di infiorescenze, che gli donano una livrea verdognola quasi iper-realistica. Flotte ben ordinate di paperotti si godevano quella pozza indisturbata ed immersa nel silenzio, fendendo il tappetino verde con le loro buffe scie zampettose, al seguito di mamma papera. Non sono riuscito a coglierle nella foto (tra l’altro scarsa, ripresa col cellulare), perché avvicinandomi, si sono insospettite e son corse a nascondersi.
So che da anni quello specchio d’acqua è purtroppo anche uno dei ricettacoli di veleni più concentrato di tutta la zona. E nel silenzio che mi sono goduto per pochi attimi, prima di inforcare di nuovo la bici e ripartire, mi sono domandato come potevano quella paperelle sguazzare così serene, lì dentro quel lerciume dalle parvenze idilliache.
Anche loro avevano trovato il loro equilibro per sopportare l’inquinamento che la libertà porta nelle vite di tutti, mi sono risposto alla fine.
4 commenti:
Ciao Gill
E' il dilemma di come avere la botte piena e la moglie ubriaca, evidentemente due situazioni desiderabili ma antitetiche.
Ciò che affermi non è affatto un paradosso e non posso far a meno di ripensare al diabolico espediente usato nei campi nazisti per annientare l'individuo:
separarlo dalla propria famiglia e conoscenti, dargli un numero,disperderlo tra sconosciuti in una babele di lingue, pelarlo a zero e trattarlo come un animale...in un contesto così è naturale chiedersi se questo è ancora un uomo.
@->Paolo: hai portato un esempio molto intenso, Paolo, al quale non avevo pensato mentre scrivevo queste righe...la libertà è un valore molto complesso, a quanto pare, ma dobbiamo tenercela stretta, anche coi sacrifici che comporta...
Grazie e ciao :-)
"far parte di essi ci è inoltre indispensabile per acquisire libertà anche in senso più elevato, perché la trasmissione della conoscenza, della cultura, e quindi la nostra crescita personale, non possono prescindere dall’aggregazione con gli altri."
bellissimo. e poi caro la libertà non inquina, fa paura, quello sì.
@->Farly: ecco, sì Farly, inquinare forse non era il termine più consono, ma la mia metafora dello stagno e le paperelle "esigeva" quel termine
:-)
Forse potevo dire che la libertà intossica un po'...non so...di certo fa paura, quello sì...
Bacini biologicamente puri :-)
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