giovedì 14 ottobre 2010

Mi prude un piede e sono felice


Le parole sono sacre.

Non mi sto riferendo a specificazioni religiose o mistiche del linguaggio, aspetto che riguarda la sensibilità di ciascuno e ambiti troppo elevati per essere sfiorati dal presente mio ragionamento, qui e adesso.
Mi riferisco invece a tutte le parole intese nella loro essenza più pura di parole, da quelle ordinarie e quotidiane, alle più auliche, acute e sottili. Anzi, mi riferisco forse soprattutto alle parole umili che usiamo normalmente nella vita pratica.
La sacralità maggiore risiede in esse.

Mi capita talvolta di fermarmi a ripetere mentalmente una parola, una normale, piccola, semplice, che magari ho appena utilizzato in una frase pronunciata in tutta la sua piena ed utilitaria banalità. Oppure la sussurro piano, ne gusto lo scorrere delle sillabe lungo le sinuosità e gli ondeggiamenti a cui obbliga la mia lingua, fra le vibrazioni ed i fruscii coi quali mette alla prova il senso ritmico delle mie labbra.
Oppure ancora, mi soffermo ad osservare un oggetto o un essere vivente o una sua parte, indugio a considerare un’azione o un gesto che si può fare, e mi gusto la parola corrispettiva che compete a tutte queste cose: gatto, ragazza, fiore, matita, capelli, occhio, bambino, prudere, mangiare, piede, tetta, dito, sudare, saltare, pane, pipì e cielo.

Le parole sono passate nei secoli per le bocche di milioni di umani, hanno allietato i loro cuori, messo in apprensione le loro menti, fatto vibrare le loro passioni, dato consapevolezza alle loro soddisfazioni, messo in guardia dai loro timori, donato identità ai loro progetti, fisionomia alle loro speranze, sagoma ai loro amori.

Le parole legano con un filo ininterrotto la vicenda intera dell’umanità.

Quando dico “vento”, emetto un suono che è stato nella bocca dell’uomo fin dal primordiale momento della sua consapevolezza di essere divenuto uomo. Poco importa che il nostro remotissimo avo non pronunciasse mai le due precise sillabe di “vento”. I suoni che pronunziò lui per riferirsi al medesimo fenomeno naturale erano di certo diversissimi. Ma partendo da quella lallazione primeva, si passò impercettibilmente ad una evoluzione strettamente collegata all’originale, e poi via via, per aggiustamenti minimali, la parola “vento” ha soffiato nei fiati delle generazioni successive fino ad arrivare a noi oggi, così come la conosciamo.
Per questo, per me, è sempre la stessa parola, e per questo le parole sono sacre.

Allora, provate a farci caso per qualche attimo, cari amici viandanti per pensieri, la prossima volta che pronunciate una frase semplice, senza pretese di dire null’altro che il suo significato immediato. Smarritevi nel mistero lontanissimo celato in quei suoni, siate fieri di sentirli riecheggiare in voi, abbandonatevi al piacere di lasciarli imbibire della vostra saliva e arrotolare vellutati lungo il vostro palato.

Potrete così sapere di cosa sanno le cose che travalicano il tempo.



8 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

e daje con la parola creatrice ... :-D :-D
bello gilly, è proprio il sapore delle parole quello che racconti. ganm gnam, come fossero caramelle molto speciali, di quelle che si vendono in un unico, piccolissimo, negozietto, dove da generazioni si tramanda una speciale tradizione del far caramelle che le rende uniche.

(e l'oracolo dice bonivedi, li conosce pure lui quelli della bottega, ve'?)

Marisa ha detto...

ho letto il tuo post scorrendolo come fosse uno spartito musicale e l'ho sentito affine a me.
bello!!!

Gillipixel ha detto...

@->Farly: è vero, cara Farly, c'ho un po' la fissa con le parole :-) meglio così, pensa che c'è chi c'ha la fissa col poker o con il black jack :-D
Molto carina la tua similitudine della caramelle...è proprio così, c'è una ritualità di fondo nel forgiare parole, in base alla quale escono sempre variate pur attenendosi sempre alla ricetta di base :-)
A me blogspot dice unlogis...minchia se è sul pezzo il ragazzo :-)
Bacini poliglotti monomorfi :-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: grazie, Mari, che commento delizioso...mi sento di aver scritto una cosa proprio carina se sono riuscito ad avvicinarmi al tuo mondo in questo modo...
Bacini lusingati :-)

ANTONELLA ha detto...

Eh , su questo mi trovo proprio: quando parlo mi pare che le parole si distendano languide e melodiose intorno agli astanti e me le assaporo passionalmente, ma poi mi guardo intorno e noto che agli altri la parola scivola via come acqua fresca su un impermeabile. Diventano suoni indistinti, rumori in mezzo agli altri rumori. Un vero peccato

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: proprio vero, Anto...credo però che a molti (anche a me, lo ammetto...) succeda di lasciar scivolare insipidamente le parole in bocca perchè troppo presi dalle contingenze ordinarie di ogni giorno...potrebbe essere un bell'esercizio di consapevolezza, soffermarsi di tanto in tanto a pronunciare durante la giornata le nostre frasi, anche le più semplici ("...passami il sale...", "Hai una piccola ciglia sotto l'occhio...", "...Oggi c'è un'aria molto tersa...), stando bene attenti alla bellezza del suono, all'armonia del loro significare pulito e lineare, così familiare e che sentiamo così nostro...
Bacini linguaggiofili :-)

Anonimo ha detto...

Ciao, volevo farti i miei complimenti per questo blog davvero bello e interessantte. Lascio l'indirizzo della mia pagina, penso che possa piacerti.
A presto!
http://misselizab3th.blogspot.com/

Gillipixel ha detto...

@->Lizzy: benvenuta, Lizzy, grazie della tua simpatica visita :-) Mi terrò sintonizzato sul tuo blog, per ora ho dato solo una rapida occhiata, ma mi va già a genio :-)
Grazie ancora e rinnovati bacini di benvenuta :-)