sabato 13 novembre 2010

Lib…(e)…ri


Dopo un po’ di tempo che non mi succedeva (…e per me, in questi casi, una ventina di giorni fanno già una mezza eternità), sono ritornato ad assaporare il gusto di varcare la soglia di una libreria.
Se qualche soddisfazione c’è rimasta ancora a questo mondo, fra quelle metterei senz’altro il piacere di sguazzare in libreria.

Non a caso ho parlato di “varcare la soglia”, perché credo che l’esperienza di qualche momento speso in libreria inizi a formarsi esattamente nell’attimo in cui il piede fende l’aria di quello spazio “sacrale”. Non è paragonabile a nessun altro negozio, la libreria: lì l’aria ti sembra densa di pensieri. Ecco perché è importante l’attimo preciso dell’immersione in quella “bolla rarefatta” di esistenza.

A sapersi sintonizzare, nelle sale della libreria si possono cogliere due differenti flussi di energie che si tengono testa impalpabili e, alla fin fine, solamente intuibili. Dagli scaffali stracolmi di ogni bendiddio tipografico, sale una “vibrato concettuale” tremolante ed ammaliatore, simile all’effetto della calura estiva trasudata in lontananza dalla prospettica lingua d’asfalto di una strada infinita, lungo la quale mai si esauriscono le promesse di viaggi ed avventure.

Sul fronte opposto, il mentale brulichio desiderante dei lettori che vagano fra le scansie, forma uno stillicidio silente di brame culturali e spirituali, fluttuanti tutte intorno.
Nessuno mi toglierà mai dalla testa questa convinzione, talmente banale da sembrare idiota: il lettore entra in libreria perché gli serve qualcosa che lo faccia sentire bene, che lo faccia stare meglio.

Certo, ci sono mille altre motivazioni ufficiali: si compra un libro per studiare, per migliorare se stessi, per informarsi, o anche solo per portarsi a casa un buon passatempo tutto sommato a buon mercato. Ma la molla principale che fa scattare gli “annusamenti” libreschi del lettore sguinzagliato, lo “startufamento” fra i profumi promessi dai milioni di pagine possibili a disposizione nei meandri della libreria, a mio parere rimane sempre la ricerca di un lenitivo per l’animo, di un eccitante oppure di un tranquillante, di un “rimescolante” oppure di un “riconciliante”, di un “lassativo” per le scorie emotive, oppure di un “digestivo” per le eccessive libagione affettive magari accumulate.

Insomma, da un libro ci si aspetta che ripeta ogni volta la sua magica funzione: trasformarci con la sua impalpabilità, smuovere mondi dentro di noi con il semplice abbraccio della sua soffice inconsistenza fisica.

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Ecco, queste erano le quattro cosette del tutto senza pretese che vi volevo raccontare oggi, cari amici viandanti per pensieri. Nel salutarvi per il momento, aggiungo anche, per la cronaca, che la malia libresca stavolta ha colpito su di me con due piccoli-grandi “volumetti”, dai quali spero di suggere tanta bellezza ed intensità emotiva. Uno è un classicone che mi stuzzicava da tempo, «La mia Africa» di Karen Blixen; l’altro è un saggio storico, «Kamikaze – L’epopea dei guerrieri suicidi», del professor Leonardo Vittorio Arena.

Ad ogni modo, vi farò sapere, nel caso (…e non è una minaccia).

Ultimissima cosa e poi mi levo dai piedi.
Qualche tempo fa, una nota catena italiana di librerie (tanto per non fare nomi, ma solo desinenze “cognominali”: la …nelli), propose ai lettori di scrivere brevi racconti in sole cento parole. Io ne proposi tre, nessuno piacque più di tanto, non vinsi nulla, ma mi divertii a scriverli. Rileggendoli ora, con la distanza ed il distacco attuali, mi sembrano un po’ ingenui e confusi.
Volevo comunque proporveli qui di seguito.
Mal che vada, non avrete speso una ghinea in più e potrete sempre appellarvi al sacrosanto diritto del lettore, sancito nell’articolo primo della costituzione di “Gillipixiland”: l’espressione critica esternata per mezzo di “solenne pernacchia censoria”.
A presto, amici…ed ecco i tre raccontini:

Cento e una

12 Aprile 2008, mattinata di un sabato qualunque. Entrato in libreria, nessuno lo avverte che il tempo lì dentro si era fermato. Una donna, sola, sfoglia un libro. Legge dell’incontro, tra un uomo e una donna, in una libreria. Si sarebbero innamorati, sposati e amati come nessun’altro mai al mondo prima di allora. Lo raggiunge la moglie, alle spalle gli sussurra che le sembra una scena vissuta tre anni prima. La sconosciuta apprende, dalla quarta di copertina, il prosieguo di una storia ordinaria, tranquilla: «Torno un’altra volta – pensa, uscendo – per ora mi accontento di bermi un caffè». Sorrido.

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Scritto con gli occhi

Ci sono certe volte che entri in libreria e quasi ci galleggi dentro. I pensieri rimbalzano contro quelli degli altri clienti e il silenzio, disegnato da quei contatti telepatici, diventa come un poligono la cui superficie tende a riempirsi con l’odore dei volumi esposti. Ogni senso capace di farti intravedere ancora il mistero rigenerato della lettura, diventa buono. Tanto alla fine ti affidi all’intuito, e se a casa, leggendo, sarai di nuovo calato in un mondo sconosciuto che già da sempre era stato tuo, si rinnoverà ancora una volta la magia di aver riscritto quel libro con i tuoi occhi.

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Fraseggi onirici

Forse è stato in un sogno. Passeggiavo con lei, mano nella mano, era un prato particolare, ci potevi cogliere non fiorellini di campo, ma il profumo più intimo del significare. Tutto ciò che avremmo potuto dire in secoli di schermaglie amorose, senza mai giungere a capirci sino in fondo…adesso, lì, sbocciava chiaro, cristallino. Il m’ama non m’ama non era mai stato così inesorabile, ritmato, concentrico, un vortice, una spirale di petali-pensieri strappati intorno alla conferma finale della corolla, a sancire la passione. Forse è stato in un sogno, oppure…Ecco!!!…ora ricordo: stavo solo spigolando frasi in libreria…


10 commenti:

Lara ha detto...

L'indescrivile magica atmosfera della libreria ... ma tu l'hai saputa rendere benissimo :)
E' che si sa quando si entra, ma mai quando si esce. Il tempo ha un'altra dimensione.
Sempre speciale sei, Gillipixel!
Buona giornata,

Marisa ha detto...

quando entro in una libreria fornita ho l'impressione di entrare in una pasticceria e faccio la "spesa".
Mediamente mi porto a casa una decina di libri obbligatoriamente in edizione economica.
Ho ancora 2 libri e mezzo (perchè l'ho appena cominciato "La monaca" di Simonetta Agnello Hornby)da leggere:
"Terroni" di Pino Aprile e "Io e te" di Niccolò Ammaniti.

p.s.
mi permetti di ipotizzare una motivazione pr cui sono stati scartati i tuoi racconti?
Dò (l'accento mi mette agitazione, ma si mette?) per scontato che mi risponderai di sì.
Sei poco ruffiano... ;o)

Gillipixel ha detto...

@->Lara: grazie, Lara, sei tu ad essere troppo gentile... :-)
è vero: una cosa che mi sono scordato di mettere in rilievo, delle librerie, è la "rarefazione" del tempo che ti avvollge in quel luogo...molto bello :-)
Bacini fioriti :-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: questa tua pratica di "scorpacciatrice libraria" ti fa molto onore, Mari :-)
Di "Terroni" ho sentito parlare, mi incuriosisce molto...
Anche io prediligo le edizioni economiche: la copertina molle è molto più bella (...mi pare di averne anche parlato, una volta :-)

Riguardo alla tua ipotesi poi...ma mi hai letto nel pensiero? :-)

C'era una cosa che volevo infatti aggiungere, ma poi ho soprasseduto per non farla troppo lunga...in poche parole: pensa che uno dei raccontini che furono premiati, era tutto un florilegio di (...e qui chiedo venia per il francesismo) leccate di culo indirizzate ai librai di quella libreria specifica :-) per cui, con questo ti ho già risposto :-)

Un ultima cosa, Mari: credo che l'accento su "do" non vada...io per ricordarmi, seguo questo promemoria: l'accento o l'apostrofetto "troncativo" alla fine si mettono solo se c'è possibilità di confondere con un'altra paroluzza (come nel caso di "dà" nel senso di dare, confondibile con "da" nel senso della preposizione), o quando, per l'appunto, si vuole sottintendere un pezzettino di parola tagliato, come in "...un po'..."...
Altro esempio: "là" (nel senso di avverbio di luogo) vuole l'accento per non confondere con "la" articolo...ma "do" nel senso di dare, non può confondersi con l'unico altro suo "confondibile", ossia la nota "do", per cui l'accento è superfluo... :-)

Oh, magari ti ho detto delle gran cagate :-D ma credo che la storia sia un po' così :-)
Bacini tascabili :-)

Marisa ha detto...

caro Gilli, il mio "ruffiano" non è esattamente riferito ai librai ma ho un'altra idea da sottoporti in qualità di lettrice sempre se nei tuoi progetti c'è quello di scrivere racconti ma se vuoi ne riparliamo via mail.

maria rosaria ha detto...

tutto verissimo, gil, ed inoltre le librerie danno un senso di estrema pace, un lenitivo dell'animo come dici tu.il terzo racconto mi è piaciuto molto, e comunque non facile rendere il tutto in cento battute.
bacio

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: mi sono spiegato male io, Mari :-) quello che volevo dire era che "quei vincitori del concorso" erano stati ruffiani, avendo scritto raccontini in cui adulavano i librai :-)
Scrivimi pure la tua idea, sarò lieto di leggerla...anche se non so bene se sono in grado di scrivere racconti: la mia più grave lacuna sono le storie, faccio fatica a creare delle trame...e non è roba da poco :-)...
In ogni caso: bacini domenicali :-)

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: grazie Em Rose :-) La libreria è proprio un habitat naturale per chi si vuol lasciare cullare da un senso diffuso di pigrizia trasognata :-) è bello :-)
Poi, scrivere con le parole contate è veramente un esercizio interessante ed utile...è affascinante la piccola sfida con se stessi che si può mettere in piedi...
Bacini di seta :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

caro la libreria è persino curativa, un giorno ricordami di raccontarti una storia al riguardo :-) abbracci di carta e prole
ps bellissimo post

Gillipixel ha detto...

@->Farly: grazie, Farly :-) sono belle queste ondate cicliche di farlitudine avvolgente e teporosa :-) Per la storia libraria, sono tutto orecchi :-)
Bacini al tabacco :-)