venerdì 9 dicembre 2011

Piccole grandezze

Nel diventare grandi, si corrono due rischi principali. Uno sta nell’eventualità di tramutarsi in tutt’altra persona rispetto a quella che eravamo da piccoli. Il rischio complementare consiste invece nel rimanere esattamente la medesima persona di allora.

Nel primo caso, ci si ritrova ad essere degli adulti aridi, piuttosto privi di entusiasmi, eccessivamente calati in quella che potremmo definire la “nostra missione mondana”. Nella seconda ipotesi, si “sfocia” in individui immaturi, che pur ostentando in superficie una scorza di apparente personalità “cresciuta”, celano ancora nel proprio intimo meccanismi emotivi e di comportamento esclusivamente incentrati su logiche infantili.

Personalmente, non saprei proprio dire in quale dei due modi sono sortito, crescendo. Forse un po’ in tutti e due, che è poi quanto succede alla maggior parte delle persone. Quello che so di certo è che da piccolo travolgevo tutto con l’immaginazione. Mi bastava prendere un oggetto, il più insignificante e banale, e riuscivo a vederci dentro tutto un mondo. Stando alle cose che scrivo, non si direbbe che sono cambiato un granché, si può aggiungere. Ma credetemi se vi dico che all’epoca ero un vero piccolo portento immaginifico. Quando poi mi capitava di aver contribuito in qualche modo a realizzare l’oggetto da investire di fantasia, allora mi sentivo un demiurgo in miniatura.

Avevo fatto un cilindretto con il das, del diametro di pochi centimetri e di altezza ancora più corta. Di fatto era una rotella un po’ grassoccia, alla fine. Mentre la pasta era ancora fresca, con uno stuzzicadenti incisi la superficie laterale di piccoli taglietti, piuttosto regolari tutto intorno. Quando la formina si era seccata, l’avevo colorata di una tonalità tra l’ocra ed il rosso scuro. Le piccole incisioni laterali le avevo poi rifinite col nero, sottili righe leggermente incavate. Sotto due di quelle feritoie, ci aggiunsi una piccola porta, anch’essa un po’ in bassorilievo. Per distinguere tetto da base, feci una crocetta nera in basso, senza rilievi, e lì doveva posare; poi, alcuni altri piccoli taglietti sopra, con un foro per infilarvi lo stuzzicadenti, che avrebbe avuto il ruolo di pennone o di antenna, o di cosa diavolo altro sarebbe parso a me.

Se riesco a descrivere quel buffo oggetto ancora oggi con questa cura nei dettagli, un po’ è perché mi ci affezionai veramente. Un po’ è perché ricercandolo stamattina senza confidare troppo fra le vecchie cianfrusaglie, l’ho molto piacevolmente ritrovato.

Voi non potete neanche immaginare i viaggi mentali che mi sono fatto all’epoca, reggendo in mano quell’insulso malloppetto di pasta rinsecchita. Sì, perché nella mia fantasia smisurata e un po’ bacata, esso pretendeva di essere una riproduzione di Castel Sant’Angelo. Non ricordo come mai proprio quell’edificio. Lo avevo visto riprodotto forse sul mio album di figurine delle località d’Italia. A Roma ci sarei andato di persona soltanto diversi anni dopo, scoprendo che mi avrebbe riservato bellezze architettoniche ed urbanistiche molto più affascinanti. Ma la sagoma di Castel Sant’Angelo, e ancora adesso non saprei bene dirvi come mai, l’ho sempre percepita come una forma familiare, capace di trasmettermi sensazioni di intimità e di raccoglimento domestico del tutto speciali.

E non finiva lì: di volta in volta la mia sagometta poteva trasformarsi in un ruotone accidentalmente staccatosi da un trattore; oppure in una super villa lussuosa con piscina interna e attico con vista spiaggia; oppure, guardandola dalla parte della porticina, simile a una bocca, con le due finestrelle sottili ai lati a fare da occhi, diveniva la faccia di un totem misterioso; oppure ancora diventava mille e un’altra avventura mentale scaturita da chissà quale angolo della mia immaginazione strampalata.

C’è gente che per farsi dei viaggi mentali simili ha speso patrimoni in droga. Col senno di poi, è stata una vera fortuna che io sia riuscito nel medesimo intento spendendo soltanto due lire per pochi grammi di das.

Ma se sono venuto a raccontarvi oggi tutta questa tiritera, non è stato soltanto per riempire una paginetta con fatterelli ameni. La cosa più importante che volevo dire è invece un’altra. Quella potenza immaginifica ovviamente l’abbiamo posseduta un po’ tutti, da bambini. Mica mi volevo spacciare per il super-child caduto sulla terra dal pianeta Fantasy.

La cosa davvero fondamentale da sottolineare è come quella forza dell’immaginazione rappresenti per ciascuno il nucleo originario di ciò che da adulti prenderà il nome di cultura, intendendo la parola nella sua accezione più completa ed estesa possibile.

In questo senso, diventare grandi continuando a mantenere dentro il calco del bimbo che siamo stati, è fondamentale. Quella forza di saper intravedere il “possibile” in ogni angolo dell’esistenza, può rivelarsi il conforto e l’appoggio più saldo a disposizione per affrontare al meglio le insidie e le difficoltà che ci si parano innanzi a spron battuto nel corso del cammino dei nostri giorni (…a volte non riesco a resistere, devo piazzare lì un bel paio di frasi fatte, mi vien proprio voglia di espressioni ritrite e stantie, come una donna incinta che di colpo desidera gelato o fragole mature).

Aggiornando appropriatamente quell’energia infantile sui rinnovati registri adulti in cui ci ritroviamo a bazzicare, e riuscendo a convogliarla con le giuste proporzioni, ad esempio, sui rapporti con gli altri, o sull’amore, sugli affetti, sulle amicizie, sulla progettualità lavorativa o di altro possibile ambito, sulla capacità di provare gioie, sulla propensione a riflettere, e così via, avremo molte più probabilità di riuscire a tirare fuori l’«invisibile» dalle cose.

Badate bene, non sto parlando di sogni visionari o di mentali salti nel vuoto da pazzoidi. E’ invece di una cosa molto seria che sto parlando, semplice e complicata nel medesimo tempo. E’ del riuscire ad essere adulti con creatività, che sto parlando. Della capacità di fare in modo che il mondo diventi specchio del nostro desiderio di trasmettere ad esso bellezza.
Non è necessario venire chiamati artisti per poter essere creativi. Ciò che conta è saper lasciare sulle cose che facciamo l’impronta della nostra fantasia, conciliando il desiderio di libertà che alberga in noi fin da quando eravamo piccoli, con la disponibilità delle cose e degli eventi di lasciarsene investire.

E adesso, per la gioia di grandi e piccini, il mio piccolo antico malloppetto di das…è quiiiiiiiii:


 


4 commenti:

Paolo ha detto...

Forte Gill
Bel post davvero:-)

Crescendo mi sono dimenticato di ciò che sono stato, o come dici Tu, ci si trasforma in qualcos'altro senza rendersene conto... Poi un giorno, una foto, qualcosa che ci riporta indissolubilmente a quel periodo di vita, un ricordo, svela magicamente quanto di autentico ci appartiene, quanto sia meravigliosamente proprio, non di copiato, alterato, costruito passo dopo passo da circostanze obbligate; ma qualcosa d'innato che ci accompagna da sempre, e che vale la pena di riscoprire, salvandoci un pò, proprio quando bilanci impietosi, delusioni cocienti,assenze che strozzano il cuore, segnano gli anni della maturità, pesando come non mai e toglindo spesso mordente e slancio.

Grazie Gil
un bel post davvero, soprattutto sorprendente per quanto sei riuscito a comunicare.

Gillipixel ha detto...

@->Paolo: grazie mille, Paolo, sono lieto di averti coinvolto nelle mie riflessioni :-) E' molto difficile in effetti: diventando grandi, ci si trova irrimediabilmente immersi in quella che Petrarca definiva "la turba al vil guadagno intesa" :-) bisogna saper trovare un equilibrio che ci consenta di adempiere alle necessità imposte da quelle "turba", ma nel tempo stesso ci consenta di metterci dentro molti di quegli ingredienti dell'immaginazione che sapevamo essere così efficaci durante l'infanzia...se si riesce a cavalcare il crinale, senza scivolare eccessivamente da un lato o dall'altro, si può forse dire di essere cresciuti bene :-)

Un caro saluto, caro Paolo, le tue visite sono sempre molto gradite :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

ecco sono d'accordo (ooooh che novità la mezza chimera è d'accordo! :-) ), è quella parte di bambini stupiti e capaci di immaginare che ci fa sentire più vivi. quella parte lì che ti fa guardare dalla finestra e vedere, sul solito tetto che vedi da anni, una magica apparizione che ti svela nuove prospettive.
da piccola immaginavo storie d'avventura, pirati e quant'altro. da adolescente storie anche romantiche, di solito con finale tragico (ero un'adolescente triste). da grande immagino e poi realizzo, sopratutto in cuicina :-D

bacini immaginati

Gillipixel ha detto...

@->Farly: proprio così, cara Farly...toh, che strano, anche l'altra metà di chimera concorda :-D

L'energia immaginifica bambina rimane sempre immutata, anche se mutano gli oggetti sopra i quali essa esercita la sua influenza...è questo, credo, che ci permette di crescere, mantenendo sempre quel nucleo intimo originario e prezioso :-)

Bacini cucinati :-)