«...And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten-ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure - the privilege is mine...».
“There is a light that never goes out” – The Smiths - 1986
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten-ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure - the privilege is mine...».
“There is a light that never goes out” – The Smiths - 1986
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Si parlava dunque la scorsa volta della potenziale “presa per il culo” celata dietro certe creazioni cinematografiche, massime nel caso di film narranti “grosse palle”. Una conferma puntuale riguardo al fenomeno l’ho avuta alcune sere fa, alla visione del secondo episodio della saga Bruce Willisiana raggruppabile sotto il generico sottotitolo di “Die Hard” (o “Die Harder”, non importa). Si tratta di una pellicola vecchiotta, ma non l’avevo mai vista prima (col senno di poi, mi viene da aggiungere: e meno male…). Il titolo preciso è “58 minuti per morire - Die Harder”. Ero curioso di addentrarmi in questo secondo capitolo della storia, perché conoscevo già il primo, “Trappola di cristallo”, un film questo che una volta visto, se avessi avuto lì davanti il regista, mi sarebbe venuto da dirgli: «…Minchia, sei un grande: mi hai fatto credere per un paio d’ore che gli asini volano. E anche se, svanito l’ultimo fotogramma, rimango pur sempre convinto che non volino, è stato bello lasciarsi raccontare da te che lo possano fare…».
Di tutt’altro tono, le frasi che vorresti dire al regista della seconda puntata della “serie”, “58 minuti per morire - Die Harder”. Un tono talmente sopra le righe che, per amor di moderazione e di ripulsa verso lo sproloquio, è meglio lasciarlo appunto dove si trova: sopra le righe. E dire che le premesse per una bellissima storia di asini volanti, nella prima mezz’oretta di film, ci sarebbero tutte. Un drappello di birbaccioni internazionali, tutti fuorusciti più o meno malvagiamente dai ranghi di un qualche esercito regolare, mette in scacco nel periodo natalizio l’aeroporto civile di Washington (o era New York? Anche qui, non importa…), proprio mentre il “Brussone Willis” nazionale è lì in attesa della mogliettina in arrivo su un volo proveniente dall’altro capo degli States, ingrifato come pochi, tra l’altro, per via dell’astinenza arretrata di coccole e “smici-mici” accumulata sotto le lenzuola. E poi, ciliegina sulla torta, proprio per non farci mancare nulla, una minacciosa bufera di neve sta pure imperversando su tutta la regione circostante.
I birbaccioni fanno sul serio: isolano le comunicazioni tra aeroporto e velivoli in arrivo, assumendo essi stessi il monopolio radio, per fare il bello e il cattivo tempo sull’andamento del traffico aereo. L’obiettivo immediato è far atterrare con modalità a loro favorevoli, un non meglio precisato generale ribelle sudamericano, custodito dalle autorità e in transito per Washington (o era New York?...), sotto scorta a sua volta dell’esercito (quello dei buoni però). L’obiettivo globale dei birbaccioni (da quello che ne ho capito io…) è sovvertire l’ordine costituito, assumere il potere nel mondo, imponendo un regime dittatoriale dei “migliori”, che faccia finalmente piazza pulita degli scoreggiatori anonimi e del terribile flagello degli attaccatori di cicche sotto i tavolini dei bar (queste due ultime facezie sono ovviamente “licenze idiotiche” mie…).
Come dicevo già, gli ingredienti ideali per farne scaturire un eccelso film di grosse palle ci sono tutti, ma non dovranno passare ancora troppe scene, perché ci si accorga di come tutta la baracca della trama si metta a scricchiolare in modo pauroso, fino ad implodere nel fragoroso collasso di una vaccata senza eguali. Una prima avvisaglia clamorosa si ha quando il generale in arrivo sul suo jet sotto scorta militare, decide la sortita per dirottare di persona l’aero che lo trasporta. Un simile passaggio della trama non sarebbe stato un ostacolo per un regista “gran pallonaro” esperto. Ma questo qui invece ti imbastisce una sequenza che, se non temessi di peccare di lesa maestà artistica, definirei degna di Totò e Peppino.
Quando il senso del comico invade il senso del “pallonaresco”, per quel film è la fine. Cosa combina in sostanza il terribile generale? Dopo aver eliminato, strozzandolo, il militare addetto alla sua custodia, ingaggia una colluttazione coi piloti in cabina di pilotaggio, con tanto di spari e tutto. Li fa fuori tutti e due, ovviamente, perché, minino che si richieda ad un generale sudamericano ribelle, sa perfettamente cavarsela con una cloche d’aereo fra le mani. E’ a questo punto tuttavia che casca l’asino volante del regista. Non pago, vuole strafare, gioca l’asso di briscola della gran palla siderale e ne paga subito le conseguenze farsesche. Durante lo scontro a fuoco, infatti, su uno dei parabrezza (non so se sull’aereo si chiamano così…) si è formata una vistosa falla, causata proprio da un proiettile.
Ora, se c’è un ignorante supremo in materie aeronautiche o fluidodinamiche, quello sono esattamente io. Tuttavia, dal poco che so, mi risulta che un velivolo di quel tipo, pensato per volare negli strati più alti dell’atmosfera, una volta compromessa la pressurizzazione interna, comincia ad avere serissimi problemi a rimanere su. E forse questo, in un’ottica prettamente “pallonaresca”, sarebbe stato anche un ostacolo oltrepassabile. Ma la perla “boiosa” più eclatante deve ancora venire: infatti, non solo il generale porta a terra l’aereo, in quelle condizioni così critiche, dando prova della stessa padronanza del mezzo che avrebbe sfoderato in sella al triciclo di suo nonno, ma si pappa pure tutto il resto del viaggio con un esagerato botto d’aria che gli sfiata impietoso contro la faccia e tutto il busto, “venticello” che filtra dal mastodontico foro sul parabrezza.
Caro amico regista, anche a volersi appellare al buon nome della migliore tradizione “pallonara”, ti confesso che questo mi è sembrato esageratamente troppo. E il fatto è che non era nemmeno tutto. Una volta posati i carrelli al suolo, ci si accorge, non solo che al generale non è venuta una paresi carpiata con triplo avvitamento del volto all’indietro (grado di complicazione sanitaria 8½), come sarebbe successo a qualsiasi altro comune mortale. Non solo se la cava spazzolandosi dalle maniche della giacca qualche fiocco di neve birbantello e un po’ di brina birichina, tornando così subito in perfetta forma e abbondantemente disponibile ad affrontare nuove e sempre più esaltanti “birbaccionate”. Non bastano insomma queste tremende sbandate nel periglioso territorio dello “svaccamento” più totale. Per sommo sgangheramento nel più disastroso naufragio“pallonaresco”, si scopre pure che il generale, fino a quel momento rimasto un po’ in penombra, è interpretato da Franco Nero!!!
Confesso che a quel punto la tentazione di cambiare canale o di andarmene addirittura a letto di filato, è stata molto forte. Però ho resistito, pensando: «…Ti voglio dare un’altra possibilità, regista. Vai così, fammi sognare ancora!...». Ma lui no, testardo. Non ancora contento di quella sesquipedale castroneria, ci si è messo proprio d’impegno per fare deflagrare definitivamente il benché minimo senso del pudore e del rispetto per l’intelligenza del suo pubblico. E lo ha fatto andando a minare alla base, con potenti cariche di “dinamite del risibile”, proprio il fulcro della storia.
Uno dei passaggi cruciali e più avvincenti della trama stava appunto nell’idea di “isolamento radio” degli aerei in attesa di atterraggio. I birbaccioni, dal canto loro, sono dei tecnici delle comunicazioni coi controfiocchi e mettono in serissima difficoltà tutti gli addetti della torre di controllo, persino i più esperti, con anni e anni di servizio sul groppone. Questa era una buona carta narrativa e infatti ci tiene ben in sospeso per una mezz’ora iniziale di film. A questo si aggiunge poi anche un onesto colpo di scena, quando il più anziano ed esperto tecnico dell’aeroporto, dopo non pochi rovelli mentali e facendo ricorso a tutte le sue più estreme risorse di vecchia volpe delle onde radio, escogita una contromossa micidiale che ribalta la situazione: ora sono i birbaccioni a cadere nell’illusione di ingannare gli aerei in volo, mentre la torre di controllo può parlare, non udita dai dirottatori, con tutti i piloti.
Adesso, non so se dalla mia esposizione raffazzonata si è capito qualcosa, ma non preoccupatevi, perché anche questo importa relativamente poco. Quel che importa invece ve lo dico subito e senza perdere altro tempo. In tutto questo sofisticato valzer di mosse e contromosse tecnologiche raffinatissime, roba da 3 lauree più master al “Massachusetts Institute of Technology”, cosa non si viene a scoprire di lì a poco? Si viene a scoprire che a bordo dell’aereo su cui viaggia la mogliettina del “Brussone” nazionale, C’E’ UN TELEFONO!!!! E per di più, un cronista rompiglione lo utilizza persino per impiantare una diretta tv e raccontare a mezza America cosa sta succedendo.
Lì non ho più resistito e mi sono visto costretto a bollare quel film come definitivamente balordo, sin nelle profondità più intime del suo midollo di celluloide. Una controprova inconfutabile al mio giudizio l’ho avuta quando mi sono accorto che il più grande moto di stupore e di suspense riservato da quel film, era in fin dei conti consistito nell’insolito ticchettio riecheggiante ad un certo punto della visione dalla superficie del pavimento della mia camera: era il suono delle mie palle, cadute miseramente a terra per eccesso di sconforto estetico. Alla fine, per curiosità e con non poca fatica, ho voluto vederlo finire, il film. Ma tutto il resto della storia non ha portato altro che una misera conferma alla mia ormai sancita convinzione. Una slavina di stupidità, ingrossatasi via via al ritmo di un’escalation imbarazzante, fino ad andarsi ad infrangere fragorosamente contro l’invettiva nei riguardi del regista, che immagino sia scaturita spontaneamente dalle labbra di qualsiasi spettatore con ancora un minimo di amor proprio in corpo: «…Ma vai a prendere per il culo qualcun altro!...».
2 commenti:
Bruce è un cartone animato in quel film, Gilli...:)))è un po' come nei Looney Tunes, non gli può succedere nulla di male. Tutte le leggi della fisica vanno a p...:))))))
@->Vale: eh, lo so Vale, ma il regista lo avrei bastonato lo stesso :-) magari con un bastone di legno dolce, ma qualche randellata sulla schiena gliel'avrei riservata :-)
Bacini che sfidano le leggi fisiche :-)
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