domenica 29 gennaio 2012

Andarperpensieri come “segnavia”



Mi sono imbattuto recentemente in un brano di un autorevole testo, fra le cui righe mi è parso d’intravedere un’argomentazione perfetta per conferire fondamenti culturali di pregio a codesto mio blog “andarperpensieroso”. Finalmente, anche questo ameno opificio di vaccate potrà dire di possedere il proprio autorevole e nobile retroterra filosofico.

Più o meno…

Chi mi legge con un po’ di assiduità, saprà benissimo che di tanto in tanto amo introdurre, ad intervallare la sequela torrenziale degli scritti “nullificanti” da me propinati a manetta, alcuni momenti di riflessione, nell’ambito dei quali m’interrogo proprio sul senso e sull’opportunità di un simile mio atteggiamento di sostanziale “disimpegno”. La domanda classica standard che rivolgo a me stesso ad ogni nuova occasione concessa a quelle parentesi di “sospensione narrativa”, immaginando che dubbi molto simili assalgano in contemporanea anche il lettore, è la seguente: ma come, con tutti i problemi che affliggono l’umanità ed il mondo, tu non trovi niente di meglio da fare che parlare di arte, di poesia, di letteratura, di piccolezze campagnole, oppure di introspezioni personali minimali, di sguardi interiori “iper-individualizzanti”, facezie assortite ed annidate a vario titolo fra gli anfratti più bizzarri del montaliano “male di vivere”?

Raramente mi occupo di attualità, di politica, di problematiche sociali, se non quando mi succede di sfiorarle, raggiungendole provenendo dai sentieri più contorti della mia gratuita deriva concettuale. Come giustificazione, ho sostenuto in diverse occasioni una mia personale tesi in merito. Il disimpegno non è necessariamente sinonimo di vacuità. Nel mio modo di affrontare gli argomenti, anche quando apparentemente sono i più futili e marginali possibili, credo di riuscire ogni volta ad introdurre scintille di stimolo culturale degne di considerazione. Ma questo è sempre stato sostenuto soprattutto da me che, non solo non sono una voce qualificata, ma nemmeno, nella fattispecie, la più chiara fonte di obiettività.

Ecco allora che, puntuale come il sorgere di un’alba di miele sopra la scogliera brulicante di amanti, sorpresi dal bagliore novello ancora tutti indaffarati nei loro “cincischievoli” ed intimi baratti di tenerezze, a mio sostegno è giunto il fulgore di un’epifania del lettore fra le più intense e profonde mai sperimentate.

Il notevolissimo “libretto” in questione s’intitola «La selvaggia chiarezza – Scritti su Heidegger» (Edizione Adelphi – 2011) e ne è autore Franco Volpi, forse il più grande, attento e sensibile traduttore italiano dell’opera del filosofo tedesco, da quanto ho appreso proprio approcciando questo testo. La parte del libro che “entra in collisione”, interferisce in qualche modo con le mie ragioni bloghesche, s’incontra quando Volpi parla della reciproca e fertile influenza intercorsa fra Martin Heideggher ed un altro altissimo pensatore teutonico, Ernst Jünger.

Entrambi i filosofi affondano le radici del proprio pensiero nel terreno delle “conquiste speculative” dovute all’opera di Nietzsche, a sua volta debitore delle basi poste precedentemente da un altro grande, Arthur Schopenhauer. In particolare, il concetto chiave è quello della “volontà di potenza” di cui la realtà è portatrice. Con la complessa costruzione concettuale che va sotto il nome sintetico di “volontà di potenza”, prima Schopenhauer (1788-1860), poi Nietzsche (1844-1900) e di seguito anche Heideggher (1889-1976) insieme a Ernst Jünger (1895-1998), indicano ciò che per loro si celerebbe dietro le ragioni più profonde dell’essenza della realtà: una forza universale cieca e sorda alle esigenze esistenziali dell’uomo, che si auto-procrastina e si autoalimenta bruciando esclusivamente delle proprie ragioni e delle proprie logiche interne.

Inoltrandoci ancor più nelle profondità di questa rarefattisma atmosfera concettuale, e tenendoci sempre a braccetto con le quattro eccelse menti summenzionate, s’incontrano nuove sorprese. Cosa ne è stato, negli ultimi secoli e poi in particolare nei decenni scorsi a noi più vicini, di questo nostro mondo sempre più sottoposto alle sferzate della “volontà di potenza”?

Finché la foglia di fico delle grandi ideologie e delle fedi di vario genere ha tenuto, l’uomo rinveniva in qualche modo in esse un rifugio, uno strumento di difesa dal senso di angoscia annichilente che può cogliere colui che si ritrovi privo di un orizzonte di “senso” in grado di fare da bussola per il proprio cammino esistenziale. Quando però anche l’elastico di quella mutanda, che già da lungo tempo denunciava la sua minacciosa mollezza, ha alla fine ceduto irreparabilmente (crollo del muro di Berlino come "lupus in fabula" più clamoroso), l’uomo si è accorto con estremo smarrimento di essere completamente nudo. Era giunto ad un passo dal baratro vertiginoso del “nulla”, dall’assoluta mancanza di significati e valori eventualmente rintracciabili nell’atto del vivere. Questo esito sconfortante la nostra cara banda di filosofi sopra citati lo chiama “nichilismo moderno”.

Non vi appaiano troppo fumose e lunari queste teorie che mi sono arrabattato a sintetizzare alla bene meglio. Se l’impressione è quella, la causa va ricercata senz’altro nella mia narrazione non sufficientemente accurata. Ma lasciate che vi faccia solo alcuni esempi concreti come contro-verifica della pregnanza effettiva di quella “diagnosi della realtà”.

Per dirne solo qualcuna: ripensando a ciò che ho scritto riguardo alla “volontà di potenza”, vi dice nulla ad esempio un eventuale abbinamento mentale fra quel tema e lo strapotere mondiale dei meccanismi finanziari, che ormai stanno praticamente cancellando le volontà dei popoli e come un moloch ingordo passano ogni giorno sempre più avidamente sopra le nostre dignità di persone, sacrificandole sull’altare delle loro logiche interne, unica legge universale ad essi nota e degna di venir rispettata?

La “volontà di potenza” trova la sua espressione più determinata nello strumento della “tecnica”, la più grande sovrastruttura storica del nostro tempo, anch’essa dimensione immensa di superamento delle ragioni umane, nel nome di un logica sua interna completamente avulsa ormai dai significati di cui l’uomo avrebbe invece eventualmente sete. Quante persone fanno un lavoro del quale non comprendono alla fine il senso? Quante sentono di vivere in base a ritmi che nulla hanno a che vedere con quelli di cui semmai la propria umanità necessiterebbe? Quanti percepiscono la propria vita ed il mondo in cui sono immersi sempre più al pari di meccanismi perfettamente oliati e funzionanti (in virtù del sempre più raffinato perfezionamento “tecnico”), accorgendosi tuttavia al tempo stesso di non rappresentare, di quel meccanismo, nemmeno il minimo ingranaggio, nemmeno una piccola vite, nulla di nulla?

Questo è il nichilismo di cui i nostri cari filosofi tedeschi hanno parlato talvolta in maniera micidialmente profetica. Ma sentite ora cosa ci racconta Franco Volpi, nel libro cui facevo cenno in apertura, riguardo alle ricette ipotizzate da Jünger, in parallelo dialettico con Hiedegger, per tentare di porre degli argini alla dilagante invasione del nichilismo contemporaneo. E poi ditemi se tutto questo non vi suona curiosamente, anche se un po’ vagamente, “andarperpensieroso” (nel senso del luogo bloghesco qui presente…).

Ecco i brani epifanici più intensi:

«…Jünger prospetta […] la possibilità di un baluardo interiore – contro gli appelli delle chiese, contro la minaccia del Leviatano, contro i sistemi dell’organizzazione -, e raccomanda un atteggiamento di resistenza che permetta di conservare, nel deserto che cresce del nichilismo, qualche oasi di libertà. Queste oasi – la morte, l’eros, l’amicizia, l’arte – nelle quali può fiorire quello che Jünger chiama la “terra selvaggia” (Wildnis), custodiscono il territorio vergine dell’interiorità, in cui l’individuo, corazzandosi contro ogni attacco, riesce a mantenere l’equilibrio e a resistere al risucchio del nichilismo…».

Jünger, in sintonia con Heiddegger, individua in due precise categorie umane, “pensatori” e “poeti”, i nuovi “eroi” contemporanei, primari protagonisti attivi nella creazione di simili “oasi”:

«…Come in quest’epoca la poesia autentica si muove nelle prossimità del niente, parimenti nel campo dello spirito ogni sicurezza si fa problematica, si sgretolano le costruzioni delle filosofie barocche e il pensiero va in cerca di nuovi appigli […]. Il comune carattere sperimentale di pensiero e poesia corrisponde in modo essenziale alla situazione epocale nel nostro tempo. In questo senso Jünger è solidale con la tesi heideggeriana della “viaticità” del pensiero, del suo essere continuamente “in cammino”, per “sentieri interrotti”, del suo orientarsi come “segnavia” …».

«…In prossimità del niente…» avete letto bene, proprio così. Vi viene in mente qualcosa che sia situato più “in prossimità del niente” di questo mio blog sempre proteso, a suon di fraseggi sul nulla, alla difesa dei residui di bellezza eventualmente rintracciabili fra le pieghe del reale?

Il pensatore ed il poeta, dicono dunque Heiddegger e Jünger, ma io vi aggiungerei a questo punto anche una terza figura: il “viandante per pensieri”.

4 commenti:

ross ha detto...

Non occorre una laurea per capire quale aria stiamo respirando. Stasera prima di addormentarmi rileggerò questo post .Sono sicura che domani mattina .....appena aprirò gli occhi...

Gillipixel ha detto...

@->Ross: lo sai Ross che le gillipixate prima di dormire non sono tanto indicate :-) fanno l'effetto peperonata :-) almeno spero che ti possa conciliare, se non altro :-)

Bacini di domani mattina :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

gilly questa è una splendida legittimazione a posteriori!

lo sai che la poetica del nulla l'ho sempre apprezzata, ne ho fatto bandiera in molte occasioni, ma citando fonti meno nobili e articolando meno elegantemente. le mie fonti sono più tipo il verduraio del mercato o il meccanico dedito alle arti marziali ... comunque sia, da dove viene viene, l'esortazione al creare semplicità poetica come difesa dall'orrore che tenta il sopravvento, è la cosa più sensata che sia mai stata detta.

bicini in accordo

Gillipixel ha detto...

@->Farly: grazie di cuore, cara Farly :-) la tua chiosa mi conforta più che mai in questa sorta di resistenza spirituale che ci vede un po' impegnati su vari fronti :-)
Quello che appare non sempre è il lato più importante delle cose, e spesso il lato più futile può rivelarsi oltremodo prezioso :-)

Bacini da svelare :-)