giovedì 19 gennaio 2012

Cyrano de Gilleràc



Il raccontare attraverso “storie di finzione” si può dire forse la più antica fra le forme espressive e comunicative. Il perfetto antenato primordiale di questa propensione umana lo ritroviamo nelle forme del mito. Nel mito si riassume il nucleo di senso più puro ed originario insito nell'atto del “narrare”.

Eppure stupisce il fatto che l'essenza di questa modalità di scambio culturale, sociale, sentimentale e spirituale fra gli umani, non solo non sia mai passata di moda, ma acquisti sempre più fascino, magnetismo, profondità, anche in un’epoca come la nostra, così ricca di conquiste tecnologiche avanzatissime, satura di consapevolezza scientifica “positiva”, all’apparenza largamente acquisita ed archiviata come patrimonio assodato di verità riposte alla luce del sole della ragione.

La sete di indagine esistenziale è dunque a tal punto inestinguibile? E come mai essa ritrova un habitat a sé così confacente proprio nell’ambito della dimensione narrativa?

Il mondo dei romanzi e dei racconti ci attrae in maniera così intensa, perché in esso possiamo riconoscere tratti della nostra personalità, messi a nudo dalla sapienza del narratore in forma mai conosciuta prima così limpida e chiara. In pratica, siamo calamitati dalle “storie” perché in esse ci riconosciamo. E’ questa la “molla egocentrica” primaria che fa scattare il marchingegno.

Per di più, questo riconoscersi nelle “storie” presenta un ulteriore ingrediente di seduzione.

Nei racconti, nei romanzi, nelle opere “narrative” in genere, non riconosciamo noi stessi attraverso l’oggettivo fermo immagine di una fotografia. Non è un’asettica scheda descrittiva quella che rinviene dall’incantesimo della dimensione narrata. In virtù dello stratagemma innescato dall’autore, mentre finge di  veder vivere i suoi personaggi, ciò che invece riconosciamo in quell’ambito sono “parti della nostra personalità” sorprese dal vivo, mentre fluiscono nel tempo e compartecipano allo scorrimento esistenziale negli istanti del suo farsi.

Ho scritto “parti della nostra personalità”, perché difficilmente accade di riconoscersi totalmente in un solo personaggio compiuto. L’interiorità di ciascun individuo è faccenda molto complessa e lo stesso può dirsi dell’architettura di certe opere narrative. L’incontro di due complessità difficilmente può dunque risolversi in forme lineari. Ecco perché molto spesso l’identificazione, il moto di empatia, non rimane circoscritto ad un personaggio definito, ma si accavalla, si interseca, si contamina, nei e dei lineamenti di più personaggi di un’opera.

Non solo. A volte ci si accorge pure che certi tratti di personaggi a noi giunti dalle profondità dell’universo narrativo, si amalgamano, si contagiano nella re-invenzione reciproca, si nutrono vicendevolmente della rispettiva deformazione, per dare vita ad inedite forme di auto-identificazione.

E' stato forse percorrendo queste contorte strade, dunque, che Cyrano e Cristiano si sono inusitatamente confusi in me. Fusi insieme, nel confondersi.

Com’è arcinoto, nell’opera di Edmond Rostand, Cyrano e Cristiano incarnano una dualità virile ideale, beffardamente scissa da una sorte burlona. Da una parte Cyrano: l’animo nobile, coraggioso, libero fino agli estremi confini concessi da una personalità che mai conosce orizzonte troppo vasto da non lasciare ogni volta rinnovato adito al desiderio di spingersi oltre. Sul versante opposto, Cristiano: un individuo tutto sommato mediocre, di fatto privo di qualità interiori degne di nota, buono, ma goffo nell’animo e nei modi di fare.

Il prezioso tesoro della sensibilità di Cyrano è tuttavia imprigionato con sardonico intervento del destino nello sgraziato forziere di quel suo buffo sembiante, al quale fa da coronamento più sarcastico che mai un naso abnorme sino a rasentare il grottesco. Mentre la vacuità e l’insipienza di Cristiano possono contare su di un “abito fisico” sfavillante, su un aspetto esteriore aggraziato, elegante, su di una leggiadria virile esemplare nel corpo. Cyrano e Cristiano sembrano dunque impersonare un uomo ingiustamente scisso alla nascita in due personalità e due aspetti. Ciò che possiede l’uno, completerebbe superbamente l’altro. Ciò che manca a ciascuno li rende esseri limitati, individui esistenzialmente zoppi.

Celeberrima è la scena in cui i due provano in qualche modo a fondersi in un “unico”, recitando, sotto il balcone di Rossana, la donna da entrambi amata, versi forgiati nella penombra da Cyrano, ma declamati in piena luce da Cristiano.

Dopo aver letto le vicende di Cyrano e Cristiano alcuni anni fa, e rimeditato in merito tante volte nel corso del tempo, mi sono gradualmente reso conto di come i due personaggi, sempre in forza della magica mutevolezza trasmissibile attraverso la dimensione narrativa, si erano finalmente riconciliati in una sola persona.

Quella persona credo di essere io.

Non che la cosa presenti un tale rilievo, da venirvela a raccontare qui, oggi. Se un certo interesse può risiedere nell'esposizione di una simile esperienza personale, è rintracciabile sempre in un'ottica d'indagine riguardante il fenomeno narrativo e culturale.

Com'è che mi sono ritrovato a riconoscermi in una sorta di fusione maldefinita di Cyrano e Cristiano? Per fortuna, il fenomeno non si è verificato nelle modalità letterali che ci si sarebbe potuto aspettare. Il mio aspetto esteriore non ha niente delle deformità cyraniane e nemmeno delle eccezionalità estetiche di Cristiano. Credo di essere né troppo bello, né troppo brutto. Niente mi impedirebbe dunque di sortire in una riuscita sul piano “sociale” più che soddisfacente, magari riuscendo a sfiorare anche punte di brillante affermazione, se non di successo.

Il differenziale cyranesco si gioca invece tutto ad un livello interiore.

La goffaggine di Cristiano me la ritrovo sempre fra i piedi in questa fondamentale attitudine “anti-recitativa” che accompagna tutti i miei modi di fare con la gente. Non ho la battuta pronta, nel confronto dialettico risulto spesso deficitario, non so accompagnare il mio dire con modi accattivanti, né tanto meno convincenti. Il mio forte è ascoltare, mentre arranco nell'arte del farmi ascoltare. La mia presenza in un ambiente, in modo particolare se le persone presenti sono in discreto numero, difficilmente s'impone, è sempre flebile e delicata, scarsamente assertiva.

Ecco dunque dove tutta la mia immedesimazione nel personaggio di Cristiano principalmente si manifesta: in questa insufficiente “perizia sociale”, in questa insipienza nel rapporto con gli altri, una dimensione per me spesso fonte di difficoltà. Anche se molte volte, paradossalmente proprio in virtù di queste “eccezionalità” a loro modo preziose, le soddisfazioni risultano altrettanto copiose, spesso manifestandosi in forma di insospettabili mini-diamanti rinvenuti nella grande miniera della sensibilità umana, mia ed altrui.

E che fine ha fatto in tutto questo discorso la figura di Cyrano? Se non si nasconde dietro il mio naso (per altro di discrete dimensioni, ma non tali da far rivivere con sufficiente fedeltà l'abnorme sembiante dell'impavido spadaccino poeta), in quale altro anfratto della mia personalità è rimasto impigliato? La risposta è presto detta. Anzi, l'avete avuta sotto gli occhi ogni volta che vi siete imbattuti a leggere un mio sgangherato articoletto, un raccontino bislacco pubblicato qui sul blog, oppure uno dei miei innumerevoli e debordanti fraseggi sul nulla.

Cyrano, per quanto mi riguarda, abita nella mia scrittura. Solo in quella dimensione mi sento di possedere  propriamente ed interamente una nobiltà d'animo capace di trattare in punta di fioretto e di florilegio linguistico qualsivoglia confronto dialettico e, per estensione, sociale. Solo scrivendo posso gustare appieno di un senso di libertà sconfinata che non teme gli ostacoli frapposti dalle convenzioni e,  pur sempre nel limite delle umane possibilità, non teme nemmeno restrizioni esistenziali di sorta.

E' nella disgraziata grazia della scrittura che rimane impigliata la mia aspirazione ad elevarmi, a salire più in alto, ad affermare la mia interiorità più bella, a librarmi in cielo vestito di una personalità compiuta ed elegante. E' nella piacevole e dorata “prigionia” della scrittura che si condensa tutta l'ambivalente identificazione che mi pare di scorgere con la contraddittoria dualità Cyrano-Cristiano. Solamente coi piedi ben saldi su quel piedistallo dalle fondamenta poggiate sopra sillabe e proposizioni, podio ideale limitante ma ad un tempo foriero di potenzialità infinite, riesco a sferrare stoccate e fendenti che non conoscono rivali, colpi leggeri, quanto possono essere i pochi milligrammi di una manciata di pixel, e pur sempre pesanti dell'intensità di cui soltanto un'anima nuda sa essere capace.

5 commenti:

ross ha detto...

TOCCATA

ANTONELLA ha detto...

ma sarà possibile poi elevarsi con la scrittura? servirsi del " bello" dello stile più elegante per poter innalzarsi più di quanto forse ci sentiamo? O forse un poco la scrittura camuffa, inganna, mistifica. Uno di quelli famosi disse che la parola uccide e che una cosa appena promunciata finisce per avere quel limite che non avrebbe se non fosse racchiusa dal " dire" umano in fondo così piccolo e finito. mah. Flaiano diceva che con l'andare negli anni si doveva togliere un pezzo di vocabolario dal nostro gergo per arrivare alla saggezza estrema che doveva essere muta

ANTONELLA ha detto...

.. ma è anche vero che chi non parla potrebbe avere proprio nulla in testa. Dilemma.....
baci silenziosi

Gillipixel ha detto...

@->Ross: lieto di essere riuscito a dire cose che ti hanno raggiunta, cara Ross :-)

Bacini in punta di fioretto :-)

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: mi poni una serie di questioni-suggestioni, cara Anto, alle quali non saprei bene come risponderti :-) Ho cercato di raccontare delle "propensioni" umane per come le vedo dentro di me, filtrate attraverso un'opera letteraria che ritengo importante...

E' vero, la scrittura può essere strumento d'inganni, ma in me lo sento più come mezzo di aumentata franchezza...poi, può essere anche vero il contrario: c'è un sacco di gente che parla a raffica, ma in testa non è che abbia tanto contenuto :-)

Su una cosa però mi sento di concordare con una certa sicurezza: quando si raggiunge un punto in cui non è più necessario dire nulla, allora sì che si è agguantata la saggezza vera :-)

Grazie per il tuoi commenti stimolanti :-) Mi è piaciuta da matti la tua osservazione sulla limitatezza del "dire" umano...la sento molto mia...grazie davvero...

Bacini non dicibili :-)