Ho scoperto che esistono fobie per tutti i gusti. C’è una paura un po’ per ogni aspetto della vita, un’ansia per ogni piccolo particolare, oggetto, situazione. E c’è una definizione per ogni strizza.
Durante gli anni della mia fanciullezza, forse anche a causa della modestia del conoscere comune oppure per l’ingenuità dei tempi, più in là di sapere cosa fosse la claustrofobia, non si andava.
Le paure all’epoca avevano una consistenza ben più tangibile, terricola. Anche se nessuno si era mai preso la briga di coniarne le definizioni corrispettive (e mi sbizzarrirò io ad ipotizzarle qui, ex post, per l’occasione), le fife dei tempi andati avevano ad esempio l’immediata consistenza della randellofobia (paura di prendere legnate sulla schiena), oppure il dinamismo meccanicistico dell’autotrenofobia (paura di ritrovarsi guancia a guancia con il radiatore di un camion e rimorchio, lanciato a discreta velocità sull’autostrada del sole). Certi individui particolarmente raffinati ed acculturati potevano poi giungere a struggersi fra le più diffuse angosce, paventando le conseguenze psicologiche di una digitoacciaccofobia (paura di darsi una martellata sul ditone piantando un chiodo). Ma questo era il massimo della ricercatezza pensabile, in fatto di paure “d’antan”.
Poi pian piano si è appreso che, all’opposto della “claustro”, esisteva anche il suo corrispettivo in negativo, ossia l’agorafobia, o paura degli spazi aperti. Solo molto tempo dopo, nel vocabolario corrente si sono aggiunte l’aracnofobia (strizza per i ragni) e la talassofobia (repulsione per il mare). E già qui si stava andando un po’ sul difficile e sul prezioso.
Questo, per quel che mi riguardava, era tutto quanto bisognava sapere sulle fobie. Fino all’altro giorno, quando sono venuto a conoscenza di una fobia che mai e poi mai avrei pensato esistesse, la “venustrafobia”, genere di idiosincrasia di fronte alla quale non ho potuto fare a meno di venirmene fuori con una delle più classiche asserzioni di carattere scientifico-sociale: minchia, ma come siamo diventati complicati. Viviamo veramente in un’epoca tortuosa e mentalmente smacchinevole.
Dovete sapere infatti che la “venustrafobia” altro non è se non la paura per le belle donne. Chi avrebbe mai immaginato, solo qualche anno addietro, di poter giungere a questo punto, lungo il cammino glorioso della storia delle fife vigenti. Anche se posso capire ed umanamente comprendere il sottile significato dei turbamenti e dei disagi che sottostanno a questo genere di timore ufficializzato da tanto di termine tecnico, devo ammettere che prima di sentire parlare di “venustrafobia”, la mia personale esperienza mi aveva piuttosto parlato attraverso fenomeni esattamente di segno contrario. Più che altro, sono sempre state le belle donne, in mia presenza, a soffrire di gravi forme di “gillipixifobia”, anziché io a patire la loro vicinanza.
In virtù di queste considerazioni e nuove prese d’atto, mi sono detto che se anche la “venustrafobia” è stata ufficialmente catalogata come potenziale paura soffribile dall’uomo, allora nessun limite o restrizione saranno mai più opponibili all’esistenza di qualsivoglia altro tipo di fifa, anche la più fantasiosa e bizzarra. Ed ecco come mi è venuto in mente di illustrare, per voi direttamente in anteprima, cari amici viandanti per pensieri, un colorito campionario delle principali fobie che potrebbero affermarsi con un certo rilievo nel corso del ventunesimo secolo.
Senz’altro indugio ulteriore frapposto, passo dunque di seguito ad enumerarvele.
La laidungulofobia: paura degli individui portatori noncuranti di sudiciume sotto le unghie.
La bibliosfarfallofobia: paura di sfogliare con rapidità le pagine di un libro, facendole scorrere velocemente sotto il pollice.
La lavagnosgrattofobia: paura dello stridore causato da un oggetto ruvido fatto strisciare contro il piano della lavagna.
La rectofrangiofobia: paura di pettinarsi con la frangia a destra.
La mancofrangiofobia: paura di pettinarsi con la frangia a sinistra.
La idiofobia: paura di essere circondati da una massa di idioti
La magnofratrefobia: paura di intrattenersi a conversare con uno spettatore assiduo, appassionato e sfegatato sostenitore del “Grande Fratello” (individuo a sua volta notoriamente affetto da cogitofobia: terrore di pensare).
La banalofobia: paura delle persone che sparano banalità di continuo (nota anche come stagionammezzofobia).
La flatulopneumofobia: paura di tirare il fiato, dormendo in una camerata di rinomati scoreggioni.
La scatocinodigitofobia: paura di pestare le cacche dei cani sui marciapiedi, aggravata, nei casi più eclatanti, dalla compresenza della plantofaustofobia: paura di incontrare subito un tizio che, senza pietà per la tua suola ancora pienamente inzaccherata, ti viene anche a dire: «…Porta fortuna!...».
6 commenti:
E come si chiama la fobia per i colleghi idiotincompetenti?
@->Ross: ehehehehe, chissà come si dice, Ross...'spetta, fammi pensare...deve chiamarsi professionullofobia :-) oppure incompetidiofobia, oppure ancora buonannullofobia :-) o anche maldestrofobia, o presuntosaccenzafobia :-) o anche sotuttoiofobia :-)
Bacini competenti :-)
ma vaaaaa!!!. fancazzismofobia!!
@->Ross: ah, no :-) ma quello è un altro tema, si dice tecnicamente nullofacenzafobia :-)
L'idiofobia, Gilli, è una paura concreta! A me gli scemi fanno un terrore! Sono pericolosi!! E là fuori ce ne sono tanti!!! (e un sacchissimo guardano il Grande Fratello, quindi non si scappa...) :)))))))
@->Vale: anche per me, Vale, quella è la fobia più insidiosa e temibile...a volte sono subdoli e sotterranei, si celano sotto il sembiante di individui ordinari, ma quando meno te lo aspetti, come in un film di fantascienza degli anni '50, sbucano fuori banalizzando ed appiattendo il mondo...è la terribile: Invasione degli ultraidioti :-)
Bacini irlandesi :-)
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