Mi sto confrontando in questi giorni con una lettura alquanto impegnativa, nonché parecchio “elevata”. Si tratta di un romanzo campione dello psicologismo più rimuginante, di una storia tanto andarperpensierosa che più di così non si potrebbe. Come al solito, mi guarderò bene dal propinarvi una recensione, compito per il quale mi sono già dichiarato altre volte inadatto. Mi appiglierò invece alla mia attuale lettura, nelle modalità epifaniche che più mi sono congeniali, cogliendo una piccola, preziosissima perla dallo scrigno di questo grande libro.
Dopo un centinaio di pagine percorse lungo i sentieri della vicenda assai mentale del protagonista, mi sono infatti imbattuto in questo fuoco di fila di considerazioni multicolore:
«…Il velo di Dio steso sopra le cose ne fa degli enigmi. Se non fossero tutte così minuziosamente particolareggiate, e così inesauribilmente ricche, forse mi riposerebbero di più. Ma io sono prigioniero della percezione, testimone obbligato. La realtà è troppo appassionante…».
“Herzog” – Saul Bellow – 1961
Oltre ad avermi beato le sinapsi in virtù della sua bellezza, questa epifania del lettore mi ha dato lo spunto per alcune riflessioni. Da una parte, le parole di Saul Bellow hanno consolidato in me la propensione ad interrogarmi intorno ad uno dei grandi misteri dell’età contemporanea, che è sempre il seguente: perché tanta gente al giorno d’oggi si ostina ancora a drogarsi, quando il mondo mette a disposizione una miriade di stimoli già così immensa di per sé, che non basterebbero 32 vite per sperimentare tutto quanto?
Ma questa è stata soltanto una riflessione di superficie.
La parte più profonda del mio meditare ha riguardato un'altra sfumatura, quella che credo sia la principale da cogliere nelle parole dello scrittore. Anche se non ci voleva certo una perspicacia stratosferica, per afferrare questo aspetto, visto che la maestria narrativa di Bellow è così ficcante da imporsi con estrema evidenza.
Ciò che il maestro del romanzo americano intende sottolineare con le sue considerazioni è l’ambivalenza di conseguenze che la proprietà multiforme del reale può significare per la sensibilità umana.
La ricchezza di dettagli del mondo può rivelarsi così “intollerabilmente intensa” (attraverso lo strumento dell’amplificazione percettiva che le è proprio) sia nei momenti di gioia, ma purtroppo e drammaticamente, anche nei momenti infelici della vita. Questo è il senso, per come l’ho capito io, della fulminante affermazione di Bellow a chiosa di questo minisaggio filosofico: «…La realtà è troppo appassionante…».
Se fate mente locale a periodi della vita in cui vi siete sentiti particolarmente infelici, non mancherete di riportare alla memoria le circostanze che vi videro in quei momenti alquanto oppressi dalla presenza di “troppo mondo”.
Allo stesso modo, penso capiti se si ripensano periodi della vita sereni e soddisfacenti: il mondo intorno a noi era sempre “troppo”.
Soltanto che, nella prima ipotesi scarseggiante di gioia, il mondo era “troppo” per essere rigettato, per levarsene dai piedi almeno piccoli pezzettini. Mentre nella seconda congiuntura, quella dei momenti gioiosi, il mondo era “troppo” per essere abbracciato quanto si sarebbe voluto.
Come spesso accade per tantissime altre peculiarità proprie della nostra essenza di umani, anche in questo caso un dono fra i più belli che ci sono stati “messi a disposizione” per impreziosire le dimensioni esistenziali in cui siamo calati, si rivela un’arma a doppio taglio.
Nei periodi propizi, “troppo mondo” è una ricchezza di cui non ci sentiamo mai sazi, e che ci fa sfiorare vertiginose sensazioni di onnipotenza “sensitiva”, mista a lievi sentori di insoddisfatta frustrazione.
Nei periodi infausti, “troppo mondo” diviene il potenziale detonatore che rischia di innescare la deflagrazione dell’identità di una persona, la quale si disperde dietro i mille rivoli della realtà, divenuti altrettanti infiniti piccoli specchi frammentati, riflettenti ciascuno una porzione di se stessi troppo minuscola, perché sia possibile ricostruire da ciascuna di quelle immagini esplose, un quadro sufficientemente riconoscibile della propria personalità (e in questo caso, ad essere onesti, torna leggermente a rivalutarsi il punto di vista dei drogati…).
4 commenti:
Er Cipolla
te direbbe
"Mamma mia comme stò"
Gillipil
vedo che pure Te come Me, non cia niente da fa ... de mejo:-)
e nella fratellanza e comprensione blogghereccia
auguro a Te e de riflesso a Me
un paio de Coniette de play boy
in carne ed ossa però ... s'intende:-D
@->Paolo: ma no, Paolo, t'inganni: le conigliette sono pura illusione corporale, introiettata mentalmente attraverso gli anfratti sub-corticali, complice un'industria della degradazione femminile che non conosce pudori di sorta e che trascina il povero illuso nel vortice della sublimazione iper-realistica di una presunta fuga dalla dimensione del solipsismo erotico...
Ciao Pa' :-) mo' famme dà n'antro tiro al fiasco de Chianti :-)
troppo mondo.... ci penserò prima di addormentarmi ... e poi scriverò
@->Ross: nooo, Ross :-) prima di dormire è meglio di no, lo sai che le gillipixate hanno l'effetto peperonata :-)
Bacini peperonati :-)
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