lunedì 17 novembre 2014

Sentir la mancanza del sentirsi mancanti


Da non so più quanto tempo ormai, mi succede un piccolo fatto. Si tratta più che altro di un vezzo, un diversivo estemporaneo semi-involontario, quasi un tic. Magari son lì, intento in qualche impalpabile cosetta della più svariata natura (scrivere, leggere, pensare, fantasticare, immaginare o altre attività inattive del genere) e zac! Ecco che mi viene voglia di guardare l’orologio. Non ci sarebbe niente di strano, se non il fatto che la cosa capita spesso e volentieri quelle volte in cui sapere l’orario non mi serve proprio a niente.

Ma l’aspetto ancor più insolito è un altro. Non passano che pochi attimi da quando ho consultato il display del cellulare (nella mia modalità attuale di controllare l’ora, dato che non son solito portare l’orologio al polso), e già mi sono scordato in pieno che ore sono. Proprio non c‘è verso: l’ho vista una manciata di secondi fa, ma non so assolutamente l’ora.

La cosa mi è successa per tanto tempo, ma solo di recente mi è venuto da chiedermi come mai. Che cosa vuol dire questa necessità quasi inconscia di voler sapere l’orario, resa ancor più effimera e volatile dall’immediato oblio che l’accompagna? Non ho saputo darmi spiegazioni precise e circostanziate, a simili quesiti. Però in proposito, mi hanno accarezzato la mente alcuni vaghi lampi d’intuizione, che mi sono parsi interessanti. 

Una prima suggestione (molto mitologico-fanta-leggendaria, me ne rendo conto, ma che non mi vergogno a spiattellare qui senza pudore) consiste nell’ipotesi che la nostra natura, per sua “costituzione ontologica”, non sia fatta per manifestarsi ed esplicarsi nel tempo. Il tempo è sì un abito che ci sentiamo cucito addosso secondo una taglia perfettamente studiata dal Grande Sarto Universale, ossia dalla realtà stessa in cui siamo calati. Ma questo vestito, pur essendo anche esaltante per molti aspetti, è a tratti costrittivo, imprigionante, quasi soffocante.

Anche senza voler scomodare i grandi filoni di pensiero della gloriosa tradizione, sia occidentale che orientale (penso in primis a Platone e al Buddha), questo sospetto indiziariamente subodorato secondo cui il nostro essere deriverebbe dalla “atemporalità” e ad essa sarebbe destinato a ritornare, non può fare a meno di affacciarsi alla nostra sensibilità. Il “non-tempo”, la brama di non essere nel tempo, sono fattori che rechiamo dentro di noi, come impronte genetiche immateriali. Ecco perché troviamo la massima soddisfazione in tutte quelle espressioni della vita che son capaci di ravvivare questa propensione latente celata nel nostro profondo. La musica o l’arte in genere, per esempio. Ma anche altre “attività” per lo più “non finalizzate”, come possono essere innamorarsi (e se appena c’è modo poi, fare l’amore), lasciarsi andare alla contemplazione, alla meditazione, star lì, semplicemente respirare ed esserci, grattarsi la pancia, annusarsi un’ascella, dormire magari, e così via. Si tratta, in tutti questi casi, di “mezzi di trasporto fuori dal tempo”.

Ma forse questa spiegazione non è completa, né sufficiente, per coprire tutto il senso del mio guardare l’ora per scordandomela subito appresso. Guardare l’orologio per dimenticare immediatamente il suo responso, è forse, come ho detto, sintomo di una sotterranea fame di atemporalità. Ma se è vero che la nostra essenza è in parte composta da questo anelito ad essere ri-partoriti al di fuori del tempo, per altri aspetti non possiamo negare la nostra natura di esseri perennemente “mancanti” (inteso sia in senso attivo, ossia persone “che mancano”, in quanto sempre separati da un’agognata pienezza; ma anche e soprattutto in direzione passiva, nel senso di individui “ai quali manca”, che provano il sentimento della mancanza di qualcosa). 

Nella mancanza viviamo immersi, in essa sguazza il nostro intimo. Portando un po’ agli estremi il concetto, potremmo quasi dire che di mancanza si nutre la nostra esistenza stessa. Viviamo per ciò che ci manca. Lì è nascosta la molla esistenziale più attiva e mobilitante che possiamo immaginare. Ciò che abbiamo perde in un batter d’occhio tutta la sua importanza e il suo valore, se non ci fosse sempre sullo sfondo ciò che ci manca, a fare da orizzonte essenziale costante. Così allora forse si spiega, secondo altri aspetti, il mio adocchiare invano l’orario. E’ per assaporare un vago sapore imprecisato del tempo, che ogni tanto mi ritrovo a consultare gratuitamente l’orologio. Lo faccio per sentire ribadita la mia indefinita natura di entità “mancante”, che meglio non può essere espressa se non dal senso del tempo, con tutte le sue golose promesse da gran dottore capace di curare le mancanze future.

Ovviamente, tra le due spiegazione sussiste un’ovvia contraddizione. Guardo l’orologio invano, perché voglio star fuori dal tempo? Oppure perché nella sensazione della temporalità pura, mi ci voglio sentire calato? 

Per tutte e due le cose. 

Ecco perché la vita è così affascinante, ma tormentosa insieme. Ecco perché siamo assetati senza sosta di un’acqua che mai ci può dissetare. Siamo di continuo attirati dentro al vortice maliardo del tempo, ma aneliamo anche a sfuggire da esso. Siamo fatti di questa incredibile contraddizione. La accogliamo in noi inspirando, ci scorre in tutto il corpo, nelle vene, e poi la ributtiamo fuori di nuovo, insieme al fiato.

E’ tutto questo che mi passa attraverso, quando controllo l’orario e subito dopo mi scordo di che ore sono: il profondo sentimento della mancanza di sentirmi mancante.


3 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

Molto sentito e vibrante, Gilli.:)
Anch'io mi perdo a guardar l'ora, immotivatamente. Mi perdo a fissare l'orologio del campanile e subito, in un sussulto d'orgoglio mi dico, è tardi!, sorridendo ebete come un Bianconiglio fumato..:))))e non mi muovo.
Siamo fatti così. Del resto, nella vita, se togli l'arte, i libri e fare l'amore, cosa resta? Tempo buttato.:)))))
Bacini sospesi nel tempo! ;)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: nel programma di attività che segnali, cara Vale, c'è quasi tutto :-) aggiungerei anche contemplare e carezzare i gatti :-)

Grazie Vale :-) era uno scritto che poteva esser gradito solo ad animi bagigeschi :-)

Bacini cronoillogici :-)

Vanessa Valentine ha detto...

I gatti! Come ho potuto dimenticarli??;))))
E pensare che ho qui una Bagigia che rompe in continuazione per i croccantini...:)))))