Quella notte, avevano fatto l’amore in maniera portentosa.
Tutto era nato inaspettatamente da un candido film in bianco e nero visto alla tele. In realtà, scoprirono anni dopo, la pellicola sarebbe stata a colori.
Ma in casa allora c’era solo quello scatolotto antiquato a rimandare nella stanza i bagliori azzurrini di “Sogni proibiti”, con Danny Kaye e Virginia Mayo.
Della storia, pur nella sua semplicità, si erano intrisi con incanto, e ancor prima di infilarsi sotto le coperte, una tensione irresistibile a fondersi in uno, li aveva dolcemente tormentati tra l’incertezza di correre subito a letto per placare l’urgenza, e il piacere di portare invece a termine l’incantevole visione.
Dopo, in coincidenza con il più elevato dei picchi di piacere toccati all’unisono, una buffa sferzata di scintille era corsa giù per il lungo tubo che reggeva l’antenna, conficcato ben bene fin nella loro stanza del sottotetto.
Avevano riso di gusto per lo stravagante arcano, abbracciati ed esausti di godimento.
Nove mesi dopo era nato un frugoletto, a cui misero nome Tono Di Grigi.
Cresceva sano, rubizzo e robusto, poi un giorno all'asilo la suora gli chiese di scegliere il pastello rosso dall’astuccio, ma il piccolo non capiva. Tono Di Grigi non poteva vedere i colori.
Tutti lo commiserarono per questa manchevolezza sfortunata, ma Tono, anche qui, proprio non li capiva.
Vedere il mondo in bianco e nero era per lui una gioia estrema. Non sapeva davvero cosa farsene di questi…come li chiamavano?...colori?...
Immaginate di vedere tutto come in un vecchio film, dove la fierezza è quella di Gary Cooper, la leggiadria, quella di James Stewart, la grazia felina, quella di Marlene Dietrich, la gioia di sorridere, quella di Billy Wilder…
Tono Di Grigi non sapeva desiderare niente di più bello.
Solo un paio di crucci gli rimanevano. Gli amici lo prendevano un po' in giro per la sua particolarità, con la tipica spietatezza di certi bambini.
E poi non poteva mai partecipare quando gli altri lanciavano sfide a “strega comanda color”, un gioco che si raffigurava molto bello, e per il quale sarebbe stato disposto a perdere persino la beneamata visione in bianco e nero, ma che di fatto gli rimaneva precluso.
Restava allora a guardare e a suo modo, era bello anche così.
Un giorno conduceva il gioco una bimba di un anno più grande di Tono. Era vispa, spiritosa, svelta, e nei giochi sembrava sempre trovarsi come se ci fosse nata direttamente dentro.
Fu allora che Tono si accorse di una magica stranezza. Ogni volta che la bimba comandava, per gli altri contendenti, il colore da andare a toccare, tutto quanto intorno avesse quella tinta, lui riusciva a vederlo per qualche attimo nella sua giusta tonalità.
La bimba urlò: “…Strega comanda color…AZZURRO!!!...” e il cielo, le imposte di una casa, una vecchia 126 parcheggiata lì sotto, s’illuminarono cromaticamente per Tono.
Ordinò di nuovo: “…Strega comanda color…FUCSIA!!!...” e Tono comprese il vero motivo per cui una vecchietta di passaggio dovette schermirsi divertita dal nugolo di bambini che le erano corsi intorno per toccarle il golfino.
Tono non si teneva più dalla voglia di andare a dire il piccolo miracolo alla bimba, ma portò pazienza sino a partita terminata. Poi finalmente le parlò con gran concitazione dell’inusitato fenomeno.
E solo alla fine, nella sua confusione, ammirandone i ricciolini scarmigliati e stringendole la mano ancora sudaticcia di ordinazioni cromatiche, le disse: “…Mi chiamo Tono Di Grigi…”.
Al che lei: “…Io sono Arcoba Lina!!!...”.
Da quel giorno diventarono molto amici e passavano tanto tempo in compagnia. A Tono non pareva vero di poter continuare a vedere il mondo con l'epico gusto di un western di John Ford e all’occorrenza, lasciare che Lina lo pitturasse per lui.
Quell’estate di vacanza dalla scuola furono inseparabili. Giocavano tutto il giorno a colorare il mondo insieme.
Perché tra l’altro, scoprirono anche, Lina era capace di far vedere a Tono colori invisibili a qualsiasi altro normale vedente. Bastava che la bimba dicesse un colore di fantasia e se nel mentre i due si stavano tenendo per mano, entrambi vedevano veramente quel colore sull’oggetto indicato.
“…Di che colore è quel muro?…” chiedeva Tono.
“…Color pelliccia di gatto svevo…” rispondeva magari Lina, oppure “…color frutto esotico di Burpinia…o color ruggito di arvicola newyorkese…o color Gheppofurbio marsupiato del Madagastir…” e subito tutti e due vedevano insieme quei buffi colori, stringendosi forte le mani dal divertimento.
L’inizio del nuovo anno scolastico segnò purtroppo la fine dell’incanto. Lina si trasferì altrove con la famiglia, e non potevano più vedersi per inventare colori.
Tono ritornò di buon grado a gustarsi il suo monocromo vedere e qualche volta ancora, potevano pur sempre telefonarsi.
Ecco allora che magari Arcoba Lina, fra un saluto e un aggiornamento sulla sua nuova vita, piazzava lì a sorpresa un bel “…color bue mostarda di Stoccarda…”, e di nuovo il piccolo gioco di prestigio si compiva sotto gli occhi di Tono, per qualche attimo immerso nell'anticamera di casa con moquette e carta da parati in perfetta tonalità "bue mostarda di Stoccarda”.