venerdì 17 agosto 2018

Demian (1919) - Hermann Hesse


Ho letto “Demian” (1919) di Hermann Hesse (Mondadori – 12 €).

Dopo la folgorazione adolescenziale per “Narciso e Boccadoro”, ma soprattutto per “Siddharta” (libro che ha definitivamente suggellato il mio innamoramento per la lettura, i libri e il loro mondo), avevo dato per perso il contatto con questo scrittore.

A sorpresa è invece tornato di recente a farmi vibrare su notevoli frequenze, con la lettura del “Giuoco delle perle di vetro”, e adesso di “Demian”, appunto.

Forte di questo ridotto, ma non insignificante, campione statistico, mi sento di dire che l’opera di Hesse non ha smesso di stupirmi per la relazione felicemente contrastata, sempre rinvenibile fra la forma del suo scrivere e i contenuti.

La prosa di Hesse è levigata, pulita, precisa, classica e definita per confini noti. Le sue tematiche sono invece magna e ribollio, un rovello, un anelare incessante a dimensioni ulteriori.

Gli scritti di Hesse sono come un David michelangiolesco che cela sottopelle gli attriti esistenziali di Hieronymus Bosch.

In “Demian”, narrando le inquietudini intime di un giovane alla ricerca di se stesso, Hesse ripercorre il tema fondamentale a lui caro, controcanto continuo di tutta la sua produzione letteraria: il fatto che nel mondo e nel vivere, si incontra il male, e il fatto che con esso si debbano fare i conti, indagandone il senso, al di là di moralistici atteggiamenti esorcizzanti.

Non a caso, proprio in virtù di questa indagine (di cui il romanzo è pregno) intorno a una “nuova ontologia” dell'amalgama inestricabile fra bene e male, in “Demian” aleggia con gran evidenza l’ombra di Freud, mentre Nietzsche fa capolino molto di frequente.

In questo senso è notevole la suggestione emanata dalla scelta dell’autore di incentrare la narrazione sul fulcro della figura biblica di Caino.

Avventurandosi lungo impervi crinali filosofici, Hesse ipotizza una versione di Caino come profeta di una certa dimensione di saggezza, effettivamente posta “al di là del bene e del male”.

“Demian” contiene poi vari altri luoghi dell’anima fondamentali per Hesse: l’importanza dell’amicizia; la necessità (quasi inevitabilità) di affidarsi a uno spirito guida, unita all’altrettanto inderogabile esigenza di superarne l'autorità, con la scoperta di propri personali sentieri di vita; il confronto-scontro con l'essenza erotica della vita.

Se infine si può rilevare un appunto a questo romanzo, esso andrebbe rivolto a un certo “automatismo simbolico” nel quale talvolta Hesse indulge. Taluni significati e spiegazioni attribuite a sogni, premonizioni, intuizioni intime, suonano a tratti un po' stereotipate.

Ma si tratta solo di un vago e indefinito sentore. La generale atmosfera di dubbio fecondo, di cui tutta la storia è intrisa, garantisce al lettore un viaggio di pregio nei territori dell'interiorità.

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