mercoledì 14 novembre 2018

Dròch e i suoi fratelli


Chi vuol bene alla zia, ama anche l’etimologia!

Mi sono permesso di iniziare in modo scherzoso, per parlare di una disciplina che ho sempre trovato molto affascinante.

L’etimologia, appunto.

Come saprete, secondo la definizione ufficiale, si tratta della scienza impegnata nello studio dell’origine delle parole.

Per rendere meglio conto della bellezza della cosa, però, possiamo vedere l’etimologia come una sorta di attività d’indagine, indirizzata alla ricerca del cuore delle parole, del loro senso più intimo.

Dietro i modi di dire ci sono sempre dei modi di pensare. L’etimologia, in senso più ampio e complesso, consiste dunque nel ripercorrere a ritroso la lunga avventura del pensare umano, in ragione di come quest'ultimo si è dipanato sotto forma di parole.

Ad essere precisi, quando l’etimologia fa questo scatto di qualità, dovrebbe essere chiamata più propriamente “ermeneutica”.

Non è chiara l’origine di questo termine prezioso, traducibile con “arte dell’interpretazione”.

Ma per molti studiosi, nella parola “ermeneutica” sarebbe contenuto un evidente riferimento al dio greco Hermes, il messaggero degli dei, incaricato di fare da “traduttore” (per così dire) di quanto la divinità intendeva dire agli uomini.

Da qui deriva una straordinaria considerazione: nel nucleo più remoto delle parole, starebbe nascosta l’antica contrattazione giocata fra umano e divino nell’intento di scoprire e definire il senso del mondo.

Attenzione, questo non c'entra nulla con la fede o con le varie confessioni religiose.

Ha invece antropologicamente a che fare con il mistero dell’universo e della vita, che l’uomo primitivo, iniziando per le prime volte a nominare le cose, cercava in qualche modo di domare, contenere e forse sperava di dominare.

Non sarà un caso che, in tutt’altra tradizione culturale, quella ebraica, il vangelo di san Giovanni inizi niente meno che in questa maniera:
“…In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…”.

Ma com'è che sono finito a parlare di tutti questi argomenti?

Vi farà ridere, ma in realtà volevo soltanto raccontarvi qualcosa riguardo a un buffo termine dialettale e su un piccolo esperimento ermeneutico che ho provato a praticare su tale parola.

La paroletta in questione me l’ha ricordata di recente un caro amico, ed è “dròch”.

Di solito compare in abbinamento al verbo “dare”, in espressioni tipo “dàgh un dròch” (letteralmente: “dagli un drocco”), e sta a indicare un’esortazione a svolgere un certo lavoro affrettando la conclusione, senza curarsi troppo dei dettagli o delle rifiniture.

La parola è curiosa e di per sé merita attenzione, ma senza conoscerne l’origine si rimane un po' come sul più bello di una storia, di cui non ci venga raccontato il seguito.

In mancanza di etimologie sicure (che col dialetto sono ancor più difficili da ricostruire), riguardo a “dròch” mi sono creato una mia piccola ipotesi.

Per assonanza, mi sono ricordato l'esistenza di un altro termine dialettale piuttosto strano: “drucà”.
Lo sentivo dire più che altro da bambino, spietatamente riferito a persone che, per un motivo o per l’altro, presentavano limitazioni fisiche tali da rendere difficili i movimenti.

“L’è drucà” voleva dunque dire “è malandato fisicamente”.

Qui l’aggancio alla possibile etimologia mi è sembrato più immediato. In una terra in cui è alquanto assodata la familiarità con la parola “rocca” e con tutte le guerresche operazioni medievali di assalto e tentativi di distruzione della medesima, mi è parso naturale vedere nascosto nel dialettale “drucà”, l’italiano “diroccato”.

Mi sono chiesto se fra “dròch” e “diroccato” poteva esserci un nesso.

Forse “dàgh un dròch” (“dagli un drocco”), tradotto alla lettera potrebbe funzionare meglio con “dagli un dirocco”?

Si riferirebbe a un modo di terminare le cose così sbrigativo e grossolano, simile a quanto si richiede nelle operazioni necessarie a diroccare una rocca?

Non lo so. Forse il tutto potrà suonare un po' forzato, ma a volte con l'etimologia e con l’ermeneutica, la cosa importante, più del risultato ottenuto, è il divertimento gustato lungo il percorso fatto.

Mi sento allora di consigliarvele. Se vi capita, frequentate l’ermeneutica, praticate sani esercizi di etimologia.

Sono attività buone per la mente e costano anche poco. Molto meno che drogarsi, ad esempio...

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