martedì 6 novembre 2018

Le lezioni del professor Lenzuolo


Alzi la mano chi non conosce Jackson Pollock.

Va beh, tirate pure giù. Cerco di raccontarvelo un po' io, per quello che ne so.

Non perché mi ritenga chissà quale gran sapientone. È solo che, di recente, ho avuto l'occasione di “ascoltare” una lezione sull’argomento, tenuta niente meno che dal lenzuolo del mio letto. Mi piacerebbe riferirvi cosa mi ha spiegato.

Lo so, vi stanno già fremendo le dita in maniera spasmodica, dalla voglia matta di chiamare la neuro. Ma se avete solo qualche attimo di pazienza, magari dopo vi ricrederete.

Jackson Pollock (1912-1956), americano, è stato uno dei più influenti e significativi pittori della storia moderna dell'arte.

Anche se le quotazioni di mercato sono tutt'altra faccenda rispetto al valore artistico, basti pensare che una sua opera del 1948, intitolata “No. 5” (“Number Five”, 2.4 m × 1.2 m), è stata venduta all’asta nel 2006 per 140 milioni di dollari. Nei cinque anni successivi, fino al 2011, la cifra più alta di sempre pagata per un quadro.

Il “problema” che molti hanno con Pollock è come dipingeva: sia per il metodo, sia per gli esiti.

Chi ha poca familiarità con l’evoluzione del linguaggio dell’arte negli ultimi decenni, potrebbe vedere nei suoi lavori nient'altro che un caotico miscuglio di colori lanciati a casaccio sul supporto pittorico.

I più rozzi ancora, parlerebbero di indefinibili “sbordacciate” (sbrodolate), poco diverse dallo stato in cui si ritrova il pezzo di cartone, messo sotto dall’imbianchino per non sporcare il pavimento, quando ha terminato di dare un paio di mani al nostro soggiorno o alla cucina.

In effetti Pollock lavorava in modo non tanto diverso. Ci sono anche interessanti filmati che lo ritraggono all’opera.

Posava a terra un grosso pannello rigido, fatto di una dura fibra di cartone detta “fiberboard”. Con una latta di vernice in una mano e il pennello nell'altra, iniziava a girare intorno al piano, facendovi cadere sopra ampie sgocciolate di colore.

Questa curiosa tecnica venne definita non a caso “dripping painting” (“pittura per sgocciolamento”), a sua volta specificazione particolare della “action painting” (“pittura d’azione”, o meglio ancora “astrazione gestuale”).

“Sgocciolamento” e “azione” sono le due parole fondamentali.

Come forse per nessun altro artista, è stato molto importante che la realizzazione di una qualche opera di Pollock sia stata fermata in tempo reale dalla cinepresa.

Simile a uno sciamano in preda alla trance creativa, lo si vede “danzare” sopra l’opera, lasciando cadere le sue gentili frustate di colore.

L’obiettivo di tale fare artistico, si condensava tutto nel rendere testimonianza a dei gesti,  fermandoli con tracce concrete. Erano “gesti dipinti”, quelli ottenuti alla fine.

Dove sta il senso di tutto ciò?

Ovviamente, avete a disposizione tutti i libri di storia dell’arte immaginabili, per approfondirlo. Ma a me stava a cuore riferire quanto ho imparato dal mio lenzuolo.

Al mattino, quando tiro indietro le coperte dal letto per arieggiare un po', mi affascina sempre il modo in cui il lenzuolo disegna schemi casuali sul piano del materasso.

Sono forme che non hanno alcun significato, eppure a modo loro, ne suggeriscono molti.
Composizioni spontanee che evocano una specie di “caos controllato”, un disordine armonico.

A volte non posso fare a meno di tentare qualche scatto fotografico, perché quel “disegno non disegnato” mi sembra suggestivo più che mai.

Ed è stato a questo punto che ho compreso meglio Pollock. Il fatto di usare il cellulare per fotografare, ha aiutato molto.

Alzando o abbassando l’apparecchio, per escludere o comprendere nell’inquadratura quella certa piega della stoffa, quel punto d’ombra, oppure quella striscia più luminosa, stavo facendo un'operazione molto simile al “dare pennellate” del pittore americano.

In un modo o nell'altro, stavo cercando di trovare un senso al caos. Ecco il cuore del mistero di tutta l'intenzionalità espressiva di Pollock.

Chino sulla sua opera, spostandosi lungo traiettorie dettate dalla sensibilità del momento e dosando le pennellate secondo uno schema molto più istintuale che ragionato, Pollock faceva “filosofia dipinta”.

Cercava la risposta a un interrogativo esistenziale antico come gli uomini: perché in questo gran guazzabuglio incomprensibile che è l’universo, solo a noi sembra di cogliere un senso, che purtuttavia si mantiene sempre sfuggente e beffardamente inafferrabile?

Ora, detto questo, sono sicuro che rimarrà sempre chi salterà su dicendo: ma un quadro di Pollock lo saprei fare anche io!

Bene. Vai dal ferramenta, procurati latte di colori assortiti, pennelli e pannello. Torna a casa, fai il tuo Pollock. Poi corri a Londra e presentati alla casa d’aste Christie’s. Proponi la tua opera.

Se riesci a spuntare un solo penny in più, oltre al calcio nel culo che ti arriverà, sarò il primo io a pagarti da bere.

2 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

Accidenti, non ho pensato ad immortalare le macchie di colore lasciate sul lenzuolo dall'atto artistico e creativo del rovesciare l'intero vassoio della colazione.
Pure le uova col bacon c'erano...
(I calci in culo mi furono risparmiati ma, sai com'è, all'epoca ci amavano ancora)

Gillipixel ha detto...

Era un'occasione, Cincia :-) peccato non averla colta :-) a parte gli scherzi, se si ha un po' l'occhio fotografico, ogni giorno capita di cogliere nei più insospettati pacchetti di realtà visiva, quanti compositivi degni di nota...è un divertimento sa poveretti :-) ma fantasiosi e di spirito vispo :-)