lunedì 26 novembre 2018

Masters in the shadow



[Piccolo omaggio al “Gusto Puro della Chiacchiera Inutile Fatta in Piazza”, una dimensione del vivere che dovrebbe essere tutelata dall'UNESCO come valore assoluto del patrimonio culturale immateriale dell'umanità]

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I “maestri nell’ombra” sono fini dicitori, eleganti abitatori della parola, soprattutto quella dialettale.

Con loro puoi trascorrere intere mezze mattinate o pomeriggi in piazza, visitando i territori della libera chiacchiera indirizzata al puro “non so dove” argomentativo, e ritrovarti di colpo calato nel paesaggio della più preziosa inutilità colloquiale.

Sanno ospitarti nei locali confortevoli del loro “dire”, gradevole e ricco di spunti di fantasia, mentre tutt’intorno viene sera (o mezzogiorno), che il tempo sembrava quasi essersi messo in sospeso per propria spontanea volontà.

Lo sconfinamento oltre i confini del regno del surreale è spesso la naturale conseguenza di questo vagabondaggio fra le parole.

Un “maestro nell’ombra” può ad un tratto venirsene fuori con questo improvviso lampo di verità non comprovata, ma empiricamente esperita:

“…Da quànda am sŏŋ vià a mangià màl, li vùlti ch’a mangi ben, a stàgh màl….” (“…Da quando mi sono abituato a mangiar male, le volte che mangio bene, sto male…”).

E a te non resta altro che prendere atto della micro-semi-genialità inversa a cui sei appena stato messo di fronte.

Poi l’occhio cade su un cartello curioso, molto importante nella sua funzione di tutela della sicurezza…ma il “rullo schiaccia-senso” della sfrenata e giocosa idiozia “paroliera” è ormai avviato e non si può fermare.

Allora, nella bacata e demenziale immaginazione “chiacchieratoria” in cui si è pienamente calati fino ai verbi e agli aggettivi, quel cartello si tramuta nell’invito a considerare l'eventualità di recarsi in una non meglio specificata località detta “FUGA”.

Al che domando: “…Maestro…sìt sicür che ind’l’ültma parola, i’àbian mia sbaglià ‘na létra?...” (“…Maestro…sei sicuro che nell'ultima parola, non abbiano sbagliato una lettera?...).

“…Partròp a sŏŋ sicür…” è l’inevitabile risposta “…se no in piàsa agh sarés metà ad la gént…” (“…Purtroppo sono sicuro, se no in piazza ci sarebbe metà della gente…”).

E così alla fine, mentre un paio di mezz’orette sono passate, inghiottite dalla piacevolezza del non tempo assoluto, è giunto il momento di darsi l’arrivederci al prossimo a-risentirci:

“…Maestro, at salöt…” (“…Maestro, ti saluto…”)

“…Ciao, at salöt ànca me…” mi fa a sua volta, “…e ricorda una cosa: sono sempre i peggiori che se ne restano…”.

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