sabato 3 novembre 2018

Le insidie del di più


“Less is more” (“Il meno è di più”).

Ogni tanto mi torna alla mente questo formidabile (e densissimo) motto di Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969), maestro tedesco dell’architettura moderna, che realizzò la parte più significativa della sua opera negli Stati Uniti.

Difficilmente capita di incontrare una frase che dice così tanto, in così poche parole.

Solo tre, nell'originale inglese: less is more.

Cinque, nella traduzione italiana: il meno è di più.

Il “di più” è stato una grande conquista moderna e da almeno una settantina d’anni a questa parte ci ha tirato fuori da un “troppo poco” secolare patito nelle epoche precedenti.

Detto questo però, non si possono ignorare le diverse ombre del ragionamento.

Del “di più” ha goduto, e continua a godere, una parte relativamente piccola dell'umanità. Già questo non va per niente bene.

Ma poi, anche la parte di mondo che in teoria si sta gustando appieno le delizie del “di più”, si ritrova, e nemmeno così raramente, con un gusto sgradevole in bocca.

Il “di più” è diventato un problema anche per chi ce l’ha. Abbiamo troppo “di più”.

Siamo sovrappeso, sovra-informati, sovra-stimolati, sovradimensionati, sovraimpressi, sovraespressi,  sovraimpressionati, sopravvalutati, sopra troppi pensieri, emotivamente sovralimentati, sentimentalmente sovraesposti, mentalmente ipernutriti, iperconnessi, ipertesi, ipercinetici, ipercommercializzati, oversponsorizzati, ultrarivenduti.

Insomma, ammettiamolo: il “di più” ci è abbastanza sfuggito di mano.

Beninteso, nessuno auspica un rovinoso ritorno al “troppo poco”. È tanto ovvio, quanto quasi inutile sottolinearlo.

Quello che forse ciascuno nel proprio piccolo può cecare di fare, senza pretese o velleità di voler mutare dinamiche storiche troppo grandi per la modesta portata del singolo individuo, è rivalutare le virtù del “meno”.

Siamo troppo calati in un eccesso di aspettative ipertrofiche, in una tendenza alla bulimia di cose e sensazioni, la quale finisce per inflazionare le esistenze.

La piccola frase “Less is more”, di Mies Van Der Rohe, è molto poliedrica in fatto di significati e ricca di mille spunti di riflessione.

Ma a mio avviso, uno dei sensi più genuini e proficui che le possiamo attribuire, ci porta verso l’invito a coltivare una sorta di “ecologia dell’esistenza” (parafrasando un po' l’idea di “ecologia della mente” dell’antropologo Gregory Bateson).

Sforzarsi di mantenere sempre vivaci, efficienti e operanti in noi, riserve di stupore, di capacità di meravigliarci ancora, di essere curiosi, di ascoltare, di essere in grado di assaporare al meglio la dimensione del desiderare.

Questo è il “di più” di cui abbiamo maggiormente bisogno, e passa per una revisione dei modi di guardare al mondo e alla vita, attraverso le salutari lenti degli “occhiali correttivi” del “meno”.

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