Nel posto in cui lavoro (non sto a dire dove e cosa sia, tanto non cambia nulla ai fini dei pensieri ai quali voglio andare dietro oggi) sono impiegate anche diverse persone con limitazioni fisiche o mentali varie, in base alla relativa legge che obbliga all’assunzione di una percentuale di disabili proporzionata al numero dei lavoratori della ditta o ente in questione (ma pure questo non è il discorso che voglio affrontare). Già ci sarebbero buoni spunti per riflettere sul motivo per cui io stesso mi ritrovo a lavorare lì, ma anche qui finirei per divagare.
La considerazione che mi interessa è un’altra. Queste persone svolgono i loro compiti con diligenza ed impegno, ma naturalmente a volte si trovano più in difficoltà e questo magari causa qualche perdita di tempo fuori programma ai cosiddetti “normali”, che devono intervenire e metterci una pezza (…andrebbe poi verificato chi e cosa siano mai ‘sti “normali”).
Se uno analizzasse la cosa in termini quantitativi (parlo di un ipotetico “soggetto analizzatore” diverso da me stesso, perché l’analisi quantitativa decisamente non è fra le mie specialità), non esiterebbe a definire il fenomeno come un intralcio all’efficienza generale di quel posto di lavoro (e qui vi arriva la conferma definitiva circa il fatto che l’ipotetico “soggetto analizzatore” non potrei decisamente essere io, dato che non è di certo mio costume perdere il sonno preoccupandomi dell’efficienza dei posti di lavoro).
Da un punto di vista qualitativo tuttavia, il quadro cambia decisamente in senso favorevole. Chi è costretto a staccare dal proprio compito per questi piccoli momenti di assistenza si ritrova più o meno costretto ad entrare in una dimensione psicologica particolare: deve fare i conti con il senso del limite e della comprensione. Non parlo ovviamente di un atteggiamento pietistico, che qui non c’entra niente. Intendo invece dire che chi è chiamato a “supplire” deve fare uno sforzo per capire dov’è il “confine” dell’abilità dell’altro e calarsi nel suo modo di vedere le cose.
Sul momento, fra i meno pazienti, possono nascere anche “micro-incazzature” malcelate, oppure in un secondo tempo, moti di ironia un po’ crudele scambiata dietro alle spalle. Certo, non sono mica qui a raccontarvi il seguito di Alice nel suo paese delle meraviglie.
Ma l’effetto più importante che ne deriva è che alla fine tutto l’ambiente di lavoro risulta ingentilito. Queste persone, anche semplicemente con la loro presenza, introducono una nota di delicatezza, che si riverbera in termini di serenità su tutti quelli che lavorano lì.
Una bella conferma del fatto che due più due non fa quasi mai quattro.
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