L’estate mi mette tristezza.
Quando sono triste, l’obiettività va a farsi benedire e le mie peggiori magagne concettuali si lasciano sorprendere a brache calate, totalmente indifese e disarmate di fronte a qualsiasi minimo rilancio dialettico altrui. Mi trasformo in un “lamentone” supremo, più pedante di un James Blunt abbandonato da 10 morose in un botto solo.
Quando sono triste, le automobili mi fanno più schifo del solito. Gli automobilisti mi fanno pena, e dovendo io stesso stringere il volante ogni giorno, 30 km. ad andare e 30 a venire, per la proprietà transitiva tirate voi le vostre conclusioni.
Quando sono triste, il mio “passatismo” si aggrava e la mia apertura mentale di fronte alle novità si fa agile come un gatto di marmo.
Così, quando sono triste, divento ancor più triste se vedo costruire delle case.
In periodi di umore ordinario, una casa nuova mi lascia al limite indifferente. Invece quando sono triste, mi maltratta l’anima l’idea del terreno fagocitato da malta e mattoni, dei prati che non potranno più essere chiamati tali, di ogni stelo di spontaneità naturale fagocitata.
Dev’essere questo il punto, mi pare: le sensazioni trasmesse da qualcosa di libero che sta per cessare di esserlo. Il primo giorno di scuola che spazza via gli anarchici vagheggiamenti delle vacanze. Il grembiulino col fiocchetto che prende il posto della maglietta inzaccherata con la maionese del panino sbafato a merenda giocando coi LEGO. Il grigiore del lunedì che opprime gli sfumati bagliori del fine settimana.
Il fatto è che stavolta l’edificio o la serie di edifici in questione verranno su cancellando un campo al quale avevo dedicato anche un leggiadro scritto in cotal sede bloggatoria.
La mefitica carie del cemento armato è arrivata così a far cadere in un battibaleno centinaia di denti di leone.
Ma sotto la spianata compatta creata dai rulli compressori, io so che si annida ancora la “vis germogliante” dei milioni di petali gialli che lì la natura aveva previsto dovessero dispiegarsi negli anni a venire. Passando vicino a quel campo, si possono quasi sentire le pallette dei piumini futuri che spingono con la loro grazia pelosa contro il terreno che adesso le comprime ammutolite.
Non rimane che lasciar fare il loro corso alle cose degli umani, tanto quelle pallette di pazienza ne hanno da vendere.
Eh, già…l’estate mi mette proprio tristezza e mina gravemente la mia capacità di giudizio nelle sue fondamenta. Non chiedetemi di essere coerente, d’estate.
Adesso che ci penso, però…Minchia, siamo ancora in primavera!
Quando sono triste, l’obiettività va a farsi benedire e le mie peggiori magagne concettuali si lasciano sorprendere a brache calate, totalmente indifese e disarmate di fronte a qualsiasi minimo rilancio dialettico altrui. Mi trasformo in un “lamentone” supremo, più pedante di un James Blunt abbandonato da 10 morose in un botto solo.
Quando sono triste, le automobili mi fanno più schifo del solito. Gli automobilisti mi fanno pena, e dovendo io stesso stringere il volante ogni giorno, 30 km. ad andare e 30 a venire, per la proprietà transitiva tirate voi le vostre conclusioni.
Quando sono triste, il mio “passatismo” si aggrava e la mia apertura mentale di fronte alle novità si fa agile come un gatto di marmo.
Così, quando sono triste, divento ancor più triste se vedo costruire delle case.
In periodi di umore ordinario, una casa nuova mi lascia al limite indifferente. Invece quando sono triste, mi maltratta l’anima l’idea del terreno fagocitato da malta e mattoni, dei prati che non potranno più essere chiamati tali, di ogni stelo di spontaneità naturale fagocitata.
Dev’essere questo il punto, mi pare: le sensazioni trasmesse da qualcosa di libero che sta per cessare di esserlo. Il primo giorno di scuola che spazza via gli anarchici vagheggiamenti delle vacanze. Il grembiulino col fiocchetto che prende il posto della maglietta inzaccherata con la maionese del panino sbafato a merenda giocando coi LEGO. Il grigiore del lunedì che opprime gli sfumati bagliori del fine settimana.
Il fatto è che stavolta l’edificio o la serie di edifici in questione verranno su cancellando un campo al quale avevo dedicato anche un leggiadro scritto in cotal sede bloggatoria.
La mefitica carie del cemento armato è arrivata così a far cadere in un battibaleno centinaia di denti di leone.
Ma sotto la spianata compatta creata dai rulli compressori, io so che si annida ancora la “vis germogliante” dei milioni di petali gialli che lì la natura aveva previsto dovessero dispiegarsi negli anni a venire. Passando vicino a quel campo, si possono quasi sentire le pallette dei piumini futuri che spingono con la loro grazia pelosa contro il terreno che adesso le comprime ammutolite.
Non rimane che lasciar fare il loro corso alle cose degli umani, tanto quelle pallette di pazienza ne hanno da vendere.
Eh, già…l’estate mi mette proprio tristezza e mina gravemente la mia capacità di giudizio nelle sue fondamenta. Non chiedetemi di essere coerente, d’estate.
Adesso che ci penso, però…Minchia, siamo ancora in primavera!