lunedì 13 luglio 2009

Una certa gattitudine


C’è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Finora però ho sempre esitato ad affrontarlo.
Dire “un tema” è riduttivo. In effetti si tratta di una delle mie passioni più care: i gatti.
A parte alcuni accenni qua e là ed un piccolo scritto che toccava solo tangenzialmente l’argomento felino, ho sempre tentennato a “dire di mici” per il timore di non riuscire a rendere giustizia con le parole a tutti i significati che mi sentirei di esprimere in merito.
Non so nemmeno se adesso è arrivato il momento giusto. Sia come sia, oggi parlo di gatti. Alcuni pensieri sparsi, niente di che, ma mi va di parlarne.

I gatti per me non sono semplici animali. Non fraintendetemi, non vi sto propinando uno di quei deliri di estremismo animalista nei meandri dei quali il senso delle proporzioni si smarrisce bellamente.
Molto più “semplicemente”, dico invece che i gatti sono un’identità parallela, una “dimensione specchio” che da un po’ di tempo accompagna la mia vita.
Non è una cosa facile da descrivere. Potrei dire allora che in presenza di un gatto provo un senso di sintonizzazione di energie fra la mia persona e la sua pelliccevole aura.
Il mio sguardo è calamitato inevitabilmente dalla misura perfetta delle sue mosse. La mia vista ed i suoi movimenti si sposano esattamente sui confini di un velo di stile del quale si finisce per non riconoscere più l’inizio, né la conclusione.
Il gatto scolpisce eleganza intorno a sé semplicemente muovendosi. Come Michelangelo era in grado di vedere la futura grazia delle sue creazioni sublimi ancora imprigionata nel blocco di marmo, così il gatto sa anticipare intorno a sé tutta l’aria che sarà necessario fendere per dar vita alle sue movenze elegantissime.

In particolare, ai tempi della mia strascicata adolescenza, questa simbiosi felina raggiunse picchi di intensità tali che la mamma ad un certo punto, tra il serio e il faceto, si disse preoccupata di quelle contemplazioni che mi conducevano nei territori a me solo noti dell’estasi pelliccifera.
Temeva che mi trasformassi in una sorta di «Birdy» in versione felina, una specie di “Catty”, che ne so, pronto da un momento all’altro a zompettare fuori in giardino per andarmi a rifilare gli unghioli contro la corteccia del cigliegione.
Un’altra cosa che mi viene da dire sui gatti può sembrare la più estemporanea e fuori contesto possibile, ma in realtà è fondamentale e riguarda la loro buffa seriosità.
In ogni gatto si cela un piccolo Buster Keaton del mondo animale.
Naturalmente queste immagini sono solo degli spasmi metaforici che tentano di dire, ma non fanno altro che testimoniare l’indicibilità di questo importante capitolo micesco.
Le conseguenze emozionali della seria buffezza del micio non trovano paragoni fra le altre dimensioni sperimentabili dal sentire umano. E’ un senso di gioia che nasce come per esplodere in una risata, ma sfocia nei termini di uno stupore muto, arrovesciato su di un sorriso che non può che essere rivolto all’interno di se stessi.
Un sorriso che sente tutta l’inutilità e l’inadeguatezza dell’esporsi al mondo, perché nessun sorriso saprebbe render conto della magica laboriosità messa in gioco dal nostro amico micio, mentre intesse nell’aria beffe dal sapore autorevole, portatrici ad un tempo degli estremi di una saggezza millenaria e della freschezza ingenua dei versi di un neonato.
E nei dettagli di una mossa gattesca, talvolta mi è parso di cogliere un barlume di vero, quasi che stessi sentendo l’amico micio raccontarmi, a forza di passatine di zampa dietro l’orecchio, stiracchiate ed eccelse ronfate in pose plastiche, di come la vita possa essere grandiosa ed effimera nel contempo, gloriosa e beffarda, il tutto però sempre con grande classe.

Ecco, lo sapevo che non sarei riuscito a dire tanto sul gatto, e soprattutto con un minimo di ordine e comprensibilità. Il gatto è per me un pensiero troppo elevato e che sento troppo.
Ma quello che ho cercato di dire sono stati quei pochi tratti che mi sembravano essenziali per definire il mio modo di sentire la felinità.

12 commenti:

ANTONELLA ha detto...

Eloquio brillante ed elogio travolgente del gatto, della sua eleganza innata e di ciò che rappresenta anche per me.un bacio alla mia gattina in home page sul mio blog

Gillipixel ha detto...

Grazie Antonella...i mici sono veramente una magia molto grande ed è per questo che è così difficile parlarne rendendo l'idea :-)...sono contento se almeno alcune frasi buone le ho azzeccate :-)
L'ho vista la tua gattina nera sul blog, è molto simpatica :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

frrrrr maaaoooo e non dico altro

Gillipixel ha detto...

eheheheheeh :-) ho capito tutto, Farly...in effetti detto quello, null'altro conta :-)
frrrrr-mmmmaaaaooooo :-)

Maffy ha detto...

si fan le fusa qui, eh.....

Gillipixel ha detto...

@->Maffy: ehehehehe :-) e perchè no? Si è un po' fusi e si fan le fusa: cosa desiderare di più
:-D

Luce ha detto...

ma quanto è bello quello nella foto!!!!!!! che occhiiiii!!!

Gillipixel ha detto...

@->Luce: eheheheee, grazie Luce, riferirò i tuoi complimenti al miciotto :-)
è un felinotto che mi ronza intorno a casa, non è propriamente il mio micio...non si lascia avvicinare tanto, ma è comunque bellissimo da osservare :-)
in questa foto era nel suo pieno fulgore pelliccevole, l'avevo scattata intorno a marzo o giù di lì...
sei sempre di una gentilezza simpaticamebnte squisita :-) grazie

maria rosaria ha detto...

ma hai dipinto un ritratto poeticissimo del "mondo gatto"! si sente che ti piacciono da matti (vale anche per me) e ne hai parlato esaustivamente, altroché! ne parlai anche io in un post un po' burlesco... se ti interessa c'è anche un video che sicuramente conoscerai, il post è del 16 gennaio. a presto

Gillipixel ha detto...

eheheehhe...grazie, Maria Rosaria...darò certamente un'occhiata sia al tuo scritto, sia al video :-)

scodinzola ha detto...

Carina la definizione "pelliccevole aura"... I gatti piacciono anche a me; ne ho uno tutto nero con la punta della coda bianca. I gatti però sono l'animale "ruffiano per eccellenza". Si ricordano di te solo quando loro ne hanno bisogno: quando hanno fame non ti danno tregua, quando hanno voglia (loro) di giocare te li ritrovi in mezzo al tuo cammino all'improvviso e sono capaci di strapparti un sorriso. Ma se hanno la pancia piena, lasciali stare. Non si ricordano nemmeno se tu sei di questo mondo.

Gillipixel ha detto...

grazie Scodinzola per il gentile commento :-)
è vero, i gatti sono così, ma a me piacciono anche per quello :-)
e poi, a mio parere, a saperli ascoltare in profondità, non sono così "cinici" come possono apparire: quella che sembra indifferenza è forse solo un senso molto spiccato di indipendenza...i gatti sanno trovare altre vie per far passare il loro affetto...hanno un modo, non so come dire, più "scandinavo" :-) invece i cani sono più "mediterranei", in quel senso...
non so, questa è la mia impressione :-)