Dicevo nella parte precedente di questo scritto sui Pellirosse, che in ogni atto di conoscenza il rischio dell'intervento del "pre-giudizio" è praticamente inevitabile. Rimane importante tuttavia sforzarsi di minimizzare l'impatto di questa componente pregiudiziale.
In questo senso, va osservato che il libro di cui volevo parlare, «Storia degli indiani d'America» di Phlippe Jacquin (dal quale sono tratti tutti i brani virgolettati), risalendo alla metà degli anni '70, mi pare paghi un discreto tributo alle allora prevalenti categorie interpretative della realtà di ispirazione marxista.
Per dirla in maniera un po' "sempliciottistica", credo che il marxismo abbia percorso strade distorte di indagine sul mondo, ma che ne abbia rivelato anche risvolti di senso notevoli, e tenendo conto durante la lettura di questo "limite storico" e storiografico, quello di Jacquin rimane pur sempre un buonissimo libro.
Per dirla in maniera un po' "sempliciottistica", credo che il marxismo abbia percorso strade distorte di indagine sul mondo, ma che ne abbia rivelato anche risvolti di senso notevoli, e tenendo conto durante la lettura di questo "limite storico" e storiografico, quello di Jacquin rimane pur sempre un buonissimo libro.
Si rimane a bocca aperta, ad esempio, leggendo dell'armonia raggiunta dal popolo Pellerossa riguardo al proprio rapporto con i mezzi ed i beni di sopravvivenza:
«...La tribù indiana è profondamente democratica poiché tra i suoi membri non c'è nesso di prevalenza. Nessun membro della tribù è sottoposto a un obbligo di lavoro o di tributo verso un altro. Ognuno caccia e lavora secondo i propri bisogni familiari; una volta soddisfatti i propri bisogni, l'indiano può dedicare il suo tempo al riposo, alla danza, alla dialettica...[...].
...Nel mondo indiano ogni unità di produzione, vale a dire una famiglia, non ha bisogno degli altri, tranne nel periodo delle grandi cacce. La sua produzione non va oltre i suoi bisogni; in effetti l'indiano, allorchè giudica che i suoi bisogni sono appagati, cessa ogni attività di produzione. L'indiano rispetta la natura e controlla l'ambiente in cui vive, non per accumulare beni che gli sarebbero inutili, ma per soddisfare i suoi bisogni.
Il cacciatore sa che non può costituire scorte che impoverirebbero rapidamente le risorse dell'ambiente. Il nomadismo permette di sfuggire alla legge dei prodotti in decrescita e impone un limite al trasporto di oggetti - ciò che spiega lo scarso valore attribuito ai beni materiali...[...]...l'indiano dedica poco tempo alla ricerca del cibo; i bianchi rimasero sorpresi per la quantità di feste, danze, riunioni che si svolgevano negli accampamenti. L'indiano passava molto più tempo a decorare il suo vestiario, a fumare il "calumet" o a giocare con i figli, che a lavorare: non si è mai rassegnato a lavorare...».
A proposito di spazzare via i pregiudizi: non è che leggendo questo passo ci si possa lasciare andare ad utopiche rivisitazione di una possibile società a venire ricalcata su quel modello. L'organizzazione sociale degli indiani d'America è stata un unicum storico irripetibile nella sua forma, in quanto inserito in un contesto ambientale particolarissimo e in una congiuntura della storia frutto della sommatoria di una serie di fattori particolarmente "felici".
Del tutto in-scientificamente mi viene tuttavia da affermare che è sempre pur bello poter pensare che una società come quella (con anche tutti i suoi difetti) sia esistita in qualche angolo della storia.
E ancora: pur essendo una questione del tutto evidente, non mi ero mai chiesto come mai il popolo Pellirosse si presentasse così frammentato nella miriade delle sue orgogliose e gloriose tribù. Grazie al libro di Jacquin ho potuto approfondire anche questo aspetto.
La molla di tutto è l'aggressività, che nelle dinamiche sociali ampie di quel popolo si andò definendo come fattore di mantenimento di un equilibrio fra le genti, e di conseguente armonizzazione delle genti stesse con il proprio ambiente.
«...La guerra è figlia dell'aggressività...[...]...Qual è la funzione dell'aggessività? Secondo Eibl-Eibensfeldt, essa ha lo scopo "di suddividere gli individui e i gruppi" sul territorio da essi occupato e così garantire lo spazio minimo di cui essi hanno bisogno per sopravvivere. Nelle società primitive, l'aggressione fa scindere il gruppo in fazioni rivali che vanno a svilupparsi in un altro territorio...».
Questo "meccanismo" faceva sì che la distribuzione della popolazione sul territorio si mantenesse ampiamente sotto i margini di possibili "sovraffollamenti", mantenendo un equilibrio costante tra la distribuzione dei nuclei umani e le porzioni di territorio "consumate" da questi ultimi, con la conseguente possibilità lasciata sempre aperta alle risorse naturali di potersi rigenerare secondo i propri ritmi e tempi più consoni.
Non si trattava tuttavia di un'aggressività dal carattere distruttivo, che avrebbe vanificato tutto l'aspetto virtuoso delle dinamiche in gioco. Componente necessariamente associata a questo costante stato conflittuale era il notevole grado di "ritualità" attraverso cui ciascuna tribù indiana interpretava il proprio rapporto con i nuclei ad essa "esterni":
«...Per ridurre l'aggressività, oltre alla scissione del gruppo, esiste un altro sistema: il ritualismo...[...]
La guerra fa parte del funzionamento della società indiana. Lo stato di guerra è dunque permanente fra le tribù. Una tribù ha sempre nemici, non per la disputa d'un territorio o di risorse naturali, ma semplicemente per il compimento di riti significativi.
Per provare la sua bravura il guerriero indiano non ha bisogno di uccidere il suo avversario. Gli basta vincere una prova assegnatagli dalla tribù. Così, presso i Crow, quattro azioni di guerra sono ritenute onorevoli: sciogliere e portar via un cavallo dal campo avversario, appropriarsi dell'arco nemico nel corso d'un corpo a corpo, colpire l'avversario con la mano e organizzare una sepdizione vittoriosa...».
Inutile ricordare come in un contesto sociale simile, il senso dell'onore, unito al valore della parola data e delle leggi "non scritte", assumessero un'importanza fondamentale.
Considerati questi due grandi tratti generali del carattere dei Pellirosse, stupisce ancor meno pensare come questo nobilissimo popolo difficilmente avrebbe potuto reggere il tremendo impatto colonizzatore di un'altra parte dell'umanità fondata su presupposti esistenziali situati totalmente agli antipodi della sfera dei valori umani.
Il "bianco" ("wasichu", secondo la lingua Lakota Sioux) non solo contemplava la distruzione e l'appropriazione violenta, sia dell'avversario sia degli elementi naturali, come opzione possibile del proprio senso di aggressività, ma nel corso di tutta l'epopea della colonizzazione del Nord-America, più volte si dimostrò incapace di dimostrare lealtà e rispetto umano.
Basti ricordare che nel giro di pochi decenni, fra i nuovi americani e le tribù indiane vennero firmati ben più di 400 trattati: nessuno, dico nessuno, venne mai rispettato.
4 commenti:
Bello Gilli e grazie da un ammiratore sfegatato dei pellirosse.
Senti, mi hai fatto venire voglia di scrivere due cosette sugli indiani:
per la precisione sul loro modo di fare diplomazia e di fare la guerra: entrambi incredibilmente sofisticati e che lasciarono di stucco gli europei.
La visione del libro sul modo di fare politica e guerra degli indiani mi sembra che in effetti risenta di una impostazione da' piccolo grande uomo' tipica degli anni 70.
Ho letto parecchio sugli indiani e sul loro modo di fare politica e guerra: ti assicuro che ci sono parecchie cose interessanti.
Ti dispiace se riprendo il discorso citandoti e linkandoti?
Magari nel weekend o la prossima settimana.
Grazie
Ciao
W Crazy Horse: il piu' grande di tutti.
Gil (come il grande Villeneuve)...
complimenti per quello che riesci a trasmettere in ogni tuo post: non è cosa comune davvero.
Ho letto la risposta che hai dato a Scodinzola sul valore del leggere e dello scrivere e sono pienamente d'accordo, oltre a condividere la simpatia per chi ha scelto uno pseudonimo così simpatico: un modo di stare al mondo che è pronto a dare amicizia e affetto senza chiedere nulla in cambio, come sanno fare solo i cani per l'appunto, dimenando la coda.
Un saluto
e un Grazie
@->Yoss: ma scherzi, Yoss? che mi dispiaccia se mi linki?...ma sarà un vero onore!!! Vai pure senza remore e alla grande!!! :-) Grazie a te
Scrivendo questi pezzi sui Pellirosse, mi accorgevo, nel corso della stesura, di quanto vasto fosse l'argomento, difficilmente sintetizzabile, e di quante cose avrei voluto dire ancora...
così mi sono limitato a due aspetti che mi sembravano di maggiore importanza, e magari erano meno conosciuti...
Sono molto curioso di leggere ciò che scriverai sul popolo degli uomini, di certo saranno cose interessantissime...e, non so se proprio a breve scadenza, ma mi riprometto di scrivere ancora qualcosa pure io...però la prossima volta non voglio fare un brano da "storico" dilettante, ma mi voglio proprio divertire a dire cose da "fan" dei Pellirosse :-)
Grazie ancora...aspetto il tuo scritto :-)
P.S.: Anche Red Cloud era un grande :-)
@->Paolo: sei sempre gentilissimo nei tuoi commenti, Paolo...grazie
Il mio scrittino ispirato da Scodinzola è nato un po' per caso, ma come capita a volte con le cose casuali ed improvvisate, ha portato un bellissimo scambio di commenti, che mi sono piaciuti un sacco :-)
Grazie di nuovo :-)
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