K.W.: «Adesso no! Ma l’hai indossata, durante la guerra civile!»
T.W.: «Non proprio. Anche allora facevo spesso di testa mia. Come sai, sono sempre stato refrattario alla disciplina, fin da giovane…»
K.W.: «Capisco quel che vuoi dire…tu non potresti mai obbedire ciecamente a un ordine! Sentiresti il bisogno di discuterlo o quantomeno…»
T.W.: «Quantomeno vorrei poter ragionare con la mia testa, proprio così…Ecco perché non sarei mai un buon militare…»
Il T.W. di questo scambio di battute non è, come magari si potrebbe anche ipotizzare forzando un po’ l’immaginazione in direzione intellettualoide, il grande drammaturgo americano Tennessee Williams.
E nemmeno dovete pensare che il suo interlocutore, K.W., rappresenti una sorta di alter ego immaginato dall’artista in atmosfere dal sapore kafkiano (“Kappa Williams”?) per sostenere questa sorta di dialogo con sé stesso.
T.W. è invece molto più semplicemente Tex Willer, il glorioso eroe del far west nato ormai mezzo secolo fa dalla fantasia di Giovanni Luigi Bonelli, mentre K.W. è il baldanzoso figlio di Tex, il giovane Kit Willer, anche noto col suo appellativo Navajo di Piccolo Falco.
Si fa presto però a dire “molto più semplicemente”.
Perché quello che sono andato notando nel corso degli anni, nella mia veste di fedele (anche se “intermittente”) lettore di Tex, è stata una crescente “raffinazione” del suo linguaggio, una progressiva cura riposta nella energia espressiva delle storie di volta in volta proposte. Questo sia dal punto di vista delle sceneggiature, sia per quanto riguarda il disegno e l’impostazione grafica.
In altre sedi molto più dotte di questa, ci si è posti la domanda se il fumetto possa essere considerato una forma d’arte oppure no. Mi viene in mente ad esempio il bellissimo “Apocalittici e integrati” di Umberto Eco, che propone spunti di riflessione geniali sul tema.
Naturalmente, non saprei rispondere all’ardua domanda, ma alcune considerazioni le posso fare.
Per prima cosa, direi che il fumetto deve essere considerato una forma di comunicazione di tutto rispetto. Il fumetto ha inaugurato un modo di esprimersi, di raccontare, totalmente peculiare della nostra epoca (intendendo, molto grossolanamente, il periodo dal secondo dopoguerra in avanti, oppure anche qualcosa un po’ prima).
Già per questo è degno della più alta considerazione, ma a ciò si aggiunga che della nostra epoca il fumetto è anche uno specchio quanto mai efficace. Poche altre forme espressive ne hanno saputo cogliere infatti ad un tempo la superficialità e la complessità, la banalità e la sua effettiva “articolazione sotterranea”. Poche altre forme espressive (penso però anche al cinema) riescono a cogliere la nostra epoca nella sua caratteristica principale di “tempo che si consuma velocemente”.
Questo accade perché fumetto e realtà moderna parlano praticamente lo stesso linguaggio, o perlomeno molto simile.
Un’altra osservazione che mi viene da fare (e qui ritorno in sostanza al dialogo fra Tex e Kit Willer, tratto dal “Texone” n. 23 del giugno scorso, intitolato “Patagonia”) è che con il tempo il linguaggio del fumetto si è evoluto fino a raggiungere livelli qualitativi in grado di trasmettere al lettore esperienze estetiche dotate di un valore di prim’ordine.
Questa elaborazione naturalmente è passata prima attraverso l’opera di diversi pionieri sperimentatori di soluzioni innovative in questa forma d’arte. Nella mia ignoranza fumettistica, mi viene da citare solo i clamorosi esempi della genialità di Andrea Pazienza, oppure della complessità e della raffinatezza narrativa di Hugo Pratt. Ma chissà quanti altri eccelsi autori saprebbe citare chiunque ne sappia un po’ più di me della storia del fumetto.
I colpi di genio dei grandi sono poi trapelati pian piano anche a livello di una produzione “più corrente”, in cui senza dubbio anche Tex rientra, e la lezione dei maestri è stata assorbita sino a far sì che si ottenesse un pregevole innalzamento generale della qualità di questa “forma d’arte-non forma d’arte”.
Un dialogo come quello riportato in apertura, probabilmente sarebbe stato difficile leggerlo alcuni anni fa in un fumetto come Tex o in altri della stessa “categoria”. Non che rappresenti una rivoluzione “intimista” sconvolgente, ma introduce delle sfumature d’animo del personaggio, delle riflessioni personali di una certa profondità, che lasciano adito ad un’ampia dimensione di dubbio.
Si sente nelle battute fra Tex e suo figlio Kit tutta una “contaminazione” con tematiche assorbite da un certo tipo di cinema western anni ’70, che hanno introdotto la figura dell’eroe che oltre a combattere i propri nemici è chiamato ad affrontar anche la sfida con una propria interiorità problematica.
Naturalmente il tutto è risolto sempre con le dinamiche brucianti del fumetto: non c’è tempo di soffermarsi troppo sui rimescolii d’animo personali, nel giro di alcune tavole il nostro eroe deve già essere pronto e scattante per massacrare a sganassoni lo smargiasso di turno o per difendersi da un agguato proditorio teso da una banda di balordi.
E probabilmente nemmeno si sarebbero potute vedere qualche tempo fa due tavole come le seguenti
che introducono il punto di osservazione della storia attraverso i piccoli dettagli quotidiani o drammatici.
Oppure come queste
anch’esse chiaramente debitrici al cinema di un certo modo di trattare il ritmo della narrazione visiva attraverso il montaggio delle inquadrature successive.
La contaminazione di linguaggi può tuttavia funzionare in alcuni casi in entrambe le direzioni, come succede in questa ultima sequenza di “fotogrammi”
è vero infatti che anche qui il narrato deriva senza dubbio da un’ispirazione di base “filmica”, ma in questo caso il fumetto si prende la sua rivincita amplificando l’effetto con un proprio mezzo modestissimo e tuttavia precluso al cinema, perlomeno in una forma così diretta, ossia l’allargamento del campo dell’inquadratura per enfatizzare l'effetto.
(Tutte le tavole, anche se riprodotte un po' malamente, sono tratte dall'ultimo episodio di Tex della serie "ufficiale", il n. 586 dell'agosto 2009, intitolato "Giochi di potere").
T.W.: «Non proprio. Anche allora facevo spesso di testa mia. Come sai, sono sempre stato refrattario alla disciplina, fin da giovane…»
K.W.: «Capisco quel che vuoi dire…tu non potresti mai obbedire ciecamente a un ordine! Sentiresti il bisogno di discuterlo o quantomeno…»
T.W.: «Quantomeno vorrei poter ragionare con la mia testa, proprio così…Ecco perché non sarei mai un buon militare…»
Il T.W. di questo scambio di battute non è, come magari si potrebbe anche ipotizzare forzando un po’ l’immaginazione in direzione intellettualoide, il grande drammaturgo americano Tennessee Williams.
E nemmeno dovete pensare che il suo interlocutore, K.W., rappresenti una sorta di alter ego immaginato dall’artista in atmosfere dal sapore kafkiano (“Kappa Williams”?) per sostenere questa sorta di dialogo con sé stesso.
T.W. è invece molto più semplicemente Tex Willer, il glorioso eroe del far west nato ormai mezzo secolo fa dalla fantasia di Giovanni Luigi Bonelli, mentre K.W. è il baldanzoso figlio di Tex, il giovane Kit Willer, anche noto col suo appellativo Navajo di Piccolo Falco.
Si fa presto però a dire “molto più semplicemente”.
Perché quello che sono andato notando nel corso degli anni, nella mia veste di fedele (anche se “intermittente”) lettore di Tex, è stata una crescente “raffinazione” del suo linguaggio, una progressiva cura riposta nella energia espressiva delle storie di volta in volta proposte. Questo sia dal punto di vista delle sceneggiature, sia per quanto riguarda il disegno e l’impostazione grafica.
In altre sedi molto più dotte di questa, ci si è posti la domanda se il fumetto possa essere considerato una forma d’arte oppure no. Mi viene in mente ad esempio il bellissimo “Apocalittici e integrati” di Umberto Eco, che propone spunti di riflessione geniali sul tema.
Naturalmente, non saprei rispondere all’ardua domanda, ma alcune considerazioni le posso fare.
Per prima cosa, direi che il fumetto deve essere considerato una forma di comunicazione di tutto rispetto. Il fumetto ha inaugurato un modo di esprimersi, di raccontare, totalmente peculiare della nostra epoca (intendendo, molto grossolanamente, il periodo dal secondo dopoguerra in avanti, oppure anche qualcosa un po’ prima).
Già per questo è degno della più alta considerazione, ma a ciò si aggiunga che della nostra epoca il fumetto è anche uno specchio quanto mai efficace. Poche altre forme espressive ne hanno saputo cogliere infatti ad un tempo la superficialità e la complessità, la banalità e la sua effettiva “articolazione sotterranea”. Poche altre forme espressive (penso però anche al cinema) riescono a cogliere la nostra epoca nella sua caratteristica principale di “tempo che si consuma velocemente”.
Questo accade perché fumetto e realtà moderna parlano praticamente lo stesso linguaggio, o perlomeno molto simile.
Un’altra osservazione che mi viene da fare (e qui ritorno in sostanza al dialogo fra Tex e Kit Willer, tratto dal “Texone” n. 23 del giugno scorso, intitolato “Patagonia”) è che con il tempo il linguaggio del fumetto si è evoluto fino a raggiungere livelli qualitativi in grado di trasmettere al lettore esperienze estetiche dotate di un valore di prim’ordine.
Questa elaborazione naturalmente è passata prima attraverso l’opera di diversi pionieri sperimentatori di soluzioni innovative in questa forma d’arte. Nella mia ignoranza fumettistica, mi viene da citare solo i clamorosi esempi della genialità di Andrea Pazienza, oppure della complessità e della raffinatezza narrativa di Hugo Pratt. Ma chissà quanti altri eccelsi autori saprebbe citare chiunque ne sappia un po’ più di me della storia del fumetto.
I colpi di genio dei grandi sono poi trapelati pian piano anche a livello di una produzione “più corrente”, in cui senza dubbio anche Tex rientra, e la lezione dei maestri è stata assorbita sino a far sì che si ottenesse un pregevole innalzamento generale della qualità di questa “forma d’arte-non forma d’arte”.
Un dialogo come quello riportato in apertura, probabilmente sarebbe stato difficile leggerlo alcuni anni fa in un fumetto come Tex o in altri della stessa “categoria”. Non che rappresenti una rivoluzione “intimista” sconvolgente, ma introduce delle sfumature d’animo del personaggio, delle riflessioni personali di una certa profondità, che lasciano adito ad un’ampia dimensione di dubbio.
Si sente nelle battute fra Tex e suo figlio Kit tutta una “contaminazione” con tematiche assorbite da un certo tipo di cinema western anni ’70, che hanno introdotto la figura dell’eroe che oltre a combattere i propri nemici è chiamato ad affrontar anche la sfida con una propria interiorità problematica.
Naturalmente il tutto è risolto sempre con le dinamiche brucianti del fumetto: non c’è tempo di soffermarsi troppo sui rimescolii d’animo personali, nel giro di alcune tavole il nostro eroe deve già essere pronto e scattante per massacrare a sganassoni lo smargiasso di turno o per difendersi da un agguato proditorio teso da una banda di balordi.
E probabilmente nemmeno si sarebbero potute vedere qualche tempo fa due tavole come le seguenti
che introducono il punto di osservazione della storia attraverso i piccoli dettagli quotidiani o drammatici.
Oppure come queste
anch’esse chiaramente debitrici al cinema di un certo modo di trattare il ritmo della narrazione visiva attraverso il montaggio delle inquadrature successive.
La contaminazione di linguaggi può tuttavia funzionare in alcuni casi in entrambe le direzioni, come succede in questa ultima sequenza di “fotogrammi”
è vero infatti che anche qui il narrato deriva senza dubbio da un’ispirazione di base “filmica”, ma in questo caso il fumetto si prende la sua rivincita amplificando l’effetto con un proprio mezzo modestissimo e tuttavia precluso al cinema, perlomeno in una forma così diretta, ossia l’allargamento del campo dell’inquadratura per enfatizzare l'effetto.
(Tutte le tavole, anche se riprodotte un po' malamente, sono tratte dall'ultimo episodio di Tex della serie "ufficiale", il n. 586 dell'agosto 2009, intitolato "Giochi di potere").
4 commenti:
Cavoli.. non è un post: è un trattato. Bellissimo. Volevo dirtelo
:-) ehm...ma Grazie, sei troppo carina, mi fai arrossire, Antonella...gulp...pant pant...coff coff...ehm...gulp (queste onomatopee fumettistiche mi sembravano particolarmente in tema per la mia risposta :-)
Grazie ancora :-)
Sotto ai cuscini del divano di mio nonno era pieno zeppo di numeri di tex willer, mio fratello li divorava avidamente, era bello vederli leggere uno in un angolo uno nell'altro, io mi limitavo a guardare le figure ora invece mi godo un bel panorama su questo mondo, wow.
@->Yrom.a: Tex è da tanto tempo nelle mie corde :-) come tutte le cose che si comincia ad apprezzare da bambini, rimangono radicate fra le nostre preferenze estetiche perchè sono sempre cariche di quel nostro mondo affettivo antico...
di per sè Tex è un "prodotto" (termine odioso, ma non mi veniva di meglio) estetico semplice...ma non è scevro di una sua magia peculiare :-)
Grazie della visita e buon panorama :-)
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