Oggi vi ho pensato, amici blogger tutti.
Anzi: oggi "ci" ho pensato.
Ho pensato a noi che ci nutriamo di parole, che mangiamo sintassi e poi ci alitiamo semantica in faccia l'un l'altro.
Ho pensato a noi onnivori sillabici, che come tanti segugi da tartufo ci indaghiamo vicendevolmente le scritture, alla ricerca del profumo iluminante e misterioso di una gemma di senso e di bellezza interrata in una qualche frase altrui.
Specularmente, ho pensato ancora a noi che cerchiamo di disseminare il terreno delle nostre narrazioni di potenziali spunti che possano affascinare ed ammaliare l'immaginato lettore come preso nel laccio di una subitanea folgorazione.
Ho pensato a tutto questo stando davanti ad un libro, naturalmente.
Dall'altra parte di quella sottile cortina "bianco-allitterata" della pagina che periodicamente ci calamita dentro di sè e ci risucchia nel suo mondo "numinoso".
Un mondo della cui sostanza epifanica ho avuto ancora una volta conferma, per il tramite di una nuova, fascinosa ed "olimpica" epifania del lettore. Naturalmente.
«...Eppure ci fu un tempo in cui gli dèi non erano innanzitutto una consuetudine letteraria. Ma un evento, una apparizione subitanea, come l'incontro con un bandito o il profilarsi di una nave...[...].
Poiché, per noi, tutto ha inizio con Omero, ci chiediamo allora: come viene nominato, nei suoi versi, questo evento? Quando scoppia la guerra di Troia, già gli dèi frequentano meno la terra rispetto a un'età precedente...[...].
Ogni età primordiale è un'età in cui si dice che gli dèi si sono quasi dileguati. Soltanto a pochi, prescelti dall'arbitrio divino, gli dèi si mostrano:
"Non a tutti appaiono gli dèi in piena evidenza", enargeîs, ci dice ancora l'Odissea. Enargeîs è il terminus technicus dell'epifania divina: aggettivo che contiene in sé il bagliore del "bianco", argós, ma finirà per designare una pura indubitabile "evidenza". Quella specie di "evidenza" che poi venne ereditata dalla poesia. Ed è forse il tratto che la differenzia da ogni altra forma...[...].
Spostiamoci ora alla scena di oggi, quale appare ogni giorno sotto ai nostri occhi: innanzitutto, gli dèi ci sono ancora. Ma non sono più una sola famiglia, per quanto complicata, che abita in vaste dimore sparse sulle pendici di una montagna...[...]...Il potere delle loro storie continua ad agire. Ma la situazione ha questo di peculiare: che la composita tribù sussiste ormai soltanto nelle sue storie e nei suoi idoli dispersi. La via del culto è sbarrata...[...].
Questa, si direbbe, è diventata la condizione naturale degli dèi: apparire nei libri. E spesso in libri che pochi aprono. E' forse un preludio all'estinzione? Solo in apparenza. Perchè nel frattempo tutte le potenze del culto sono migrate in un solo atto, immobile e solitario: quello del leggere.
Per un immane abbaglio il mondo, obnubilato dall'intossicazione telematica, si pone questioni piuttosto vacue sulla sopravvicenza del libro. Mentre il fenomeno che sta davanti a noi e non viene nominato è un altro: l'altissima, inaudita concentrazione di potenza che si è addensata, e si sta addensando, nel puro atto del leggere.
Che davanti agli occhi ci sia uno schermo o una pagina, che vi scorrano numeri, formule o parole, nulla cambia: si tratta pur sempre di lettura.
Il teatro della mente sembra essersi dilatato, per accogliere schiere di segni in attesa, incorporati in quella protesi che è il computer. Ma, con superstiziosa sicurezza, tutti i sortilegi e tutti i poteri vengono attribuiti a ciò che appare sullo schermo, non alla mente che lo elabora - e innanzitutto lo legge.
Eppure, che cosa potrebbe essere altrettanto avanzato tecnologicamente quanto una trasformazione che avviene in modo del tutto invisibile come all'interno della mente?
Il processo è carico di conseguenze nascoste: anche se la mente è ancora rudimentale, congiungendosi con lo schermo a formare un nuovissimo Centauro essa si abitua a vedersi come un teatro iluminato...[...].
E già ora negli interstizi di quel teatro si aprono, davanti agli occhi di chiunque, le vaste caverne dove risuonano, come sempre, i nomi degli dèi...»
"La letteratura e gli dèi"
Roberto Calasso - 2001
Ho pensato a noi che ci nutriamo di parole, che mangiamo sintassi e poi ci alitiamo semantica in faccia l'un l'altro.
Ho pensato a noi onnivori sillabici, che come tanti segugi da tartufo ci indaghiamo vicendevolmente le scritture, alla ricerca del profumo iluminante e misterioso di una gemma di senso e di bellezza interrata in una qualche frase altrui.
Specularmente, ho pensato ancora a noi che cerchiamo di disseminare il terreno delle nostre narrazioni di potenziali spunti che possano affascinare ed ammaliare l'immaginato lettore come preso nel laccio di una subitanea folgorazione.
Ho pensato a tutto questo stando davanti ad un libro, naturalmente.
Dall'altra parte di quella sottile cortina "bianco-allitterata" della pagina che periodicamente ci calamita dentro di sè e ci risucchia nel suo mondo "numinoso".
Un mondo della cui sostanza epifanica ho avuto ancora una volta conferma, per il tramite di una nuova, fascinosa ed "olimpica" epifania del lettore. Naturalmente.
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«...Eppure ci fu un tempo in cui gli dèi non erano innanzitutto una consuetudine letteraria. Ma un evento, una apparizione subitanea, come l'incontro con un bandito o il profilarsi di una nave...[...].
Poiché, per noi, tutto ha inizio con Omero, ci chiediamo allora: come viene nominato, nei suoi versi, questo evento? Quando scoppia la guerra di Troia, già gli dèi frequentano meno la terra rispetto a un'età precedente...[...].
Ogni età primordiale è un'età in cui si dice che gli dèi si sono quasi dileguati. Soltanto a pochi, prescelti dall'arbitrio divino, gli dèi si mostrano:
"Non a tutti appaiono gli dèi in piena evidenza", enargeîs, ci dice ancora l'Odissea. Enargeîs è il terminus technicus dell'epifania divina: aggettivo che contiene in sé il bagliore del "bianco", argós, ma finirà per designare una pura indubitabile "evidenza". Quella specie di "evidenza" che poi venne ereditata dalla poesia. Ed è forse il tratto che la differenzia da ogni altra forma...[...].
Spostiamoci ora alla scena di oggi, quale appare ogni giorno sotto ai nostri occhi: innanzitutto, gli dèi ci sono ancora. Ma non sono più una sola famiglia, per quanto complicata, che abita in vaste dimore sparse sulle pendici di una montagna...[...]...Il potere delle loro storie continua ad agire. Ma la situazione ha questo di peculiare: che la composita tribù sussiste ormai soltanto nelle sue storie e nei suoi idoli dispersi. La via del culto è sbarrata...[...].
Questa, si direbbe, è diventata la condizione naturale degli dèi: apparire nei libri. E spesso in libri che pochi aprono. E' forse un preludio all'estinzione? Solo in apparenza. Perchè nel frattempo tutte le potenze del culto sono migrate in un solo atto, immobile e solitario: quello del leggere.
Per un immane abbaglio il mondo, obnubilato dall'intossicazione telematica, si pone questioni piuttosto vacue sulla sopravvicenza del libro. Mentre il fenomeno che sta davanti a noi e non viene nominato è un altro: l'altissima, inaudita concentrazione di potenza che si è addensata, e si sta addensando, nel puro atto del leggere.
Che davanti agli occhi ci sia uno schermo o una pagina, che vi scorrano numeri, formule o parole, nulla cambia: si tratta pur sempre di lettura.
Il teatro della mente sembra essersi dilatato, per accogliere schiere di segni in attesa, incorporati in quella protesi che è il computer. Ma, con superstiziosa sicurezza, tutti i sortilegi e tutti i poteri vengono attribuiti a ciò che appare sullo schermo, non alla mente che lo elabora - e innanzitutto lo legge.
Eppure, che cosa potrebbe essere altrettanto avanzato tecnologicamente quanto una trasformazione che avviene in modo del tutto invisibile come all'interno della mente?
Il processo è carico di conseguenze nascoste: anche se la mente è ancora rudimentale, congiungendosi con lo schermo a formare un nuovissimo Centauro essa si abitua a vedersi come un teatro iluminato...[...].
E già ora negli interstizi di quel teatro si aprono, davanti agli occhi di chiunque, le vaste caverne dove risuonano, come sempre, i nomi degli dèi...»
"La letteratura e gli dèi"
Roberto Calasso - 2001
6 commenti:
ma... ma... ma....
non dovevi assentarti per qualche giorno?????
io tranquilla a cazzeggiare nel web e quando torno qui mi trovo nuovi post???
ma non si fa mica così!!!!!
gli dei in calasso sono sempre piuttosto complicati, mi piacciono di più in hillman, dove sfogano le loro essenze, dove se io do di matto alla grande la colpa è di un qualche dio folle e guerresco che mi possiede :-) bel pezzo però.
@->Maffy: ehehehehehe, chiedo venia, Maffy :-) non avevo precisato che si trattava di un'assenza di pochi giorni :-)...
ora dovrei essere di nuovo ai ritmi consueti, cioè più che imprevedibili :-)
Grazie per la tua simpatia sempre molto gradita :-)
@->Farly: è vero, Farly, Calasso è spesso oscuro, e mica millanto la capacità di capirlo sempre :-)
Però è un gran forzatore di concetti, dote che io apprezzo molto in genere, e quando mi capita di cogliere (forse) quel che voleva dire, trovo che sia sempre una gran goduria spiritual-intellettuale...
Beh, Hillman è un grande pure, sì, sono abbastanza diversi, ma io li apprezzo entrambi...Diciamo che Calasso si spinge molto al limite della "significazione" :-)
Grazie :-)
capisco la fascinazione da calasso, è solo che a volte si incarta talmente di dottissime citazioni (e beato lui che sa tutta quella roba) che mi perdo :-) però il brano che hai messo è molto bello e ne condivido l'effetto epifanico ....
ehehehehehehe...concordo, Farly...in certi passi è veramente arduo stargli dietro a Calasso, diventa quasi misterico...
Uno dei più bei libri suoi che ho letto è "K", una biografia di kafka scritta a modo suo: stupenda, benchè sempre molto difficile e a tratti più che ostica :-)
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