sabato 10 dicembre 2011

Neon on my naked skin



«...Neon on my naked skin, passing silhouettes
Of strange illuminated mannequins...»

Big in Japan”, Alphaville – 1984

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Perché uno non deve poter andare in piazza nudo? O anche una, per dire. Nuda però, lei. E nudi tutti: per le strade, al lavoro, nei luoghi di divertimento, e così via.

Vi sembra questo un quesito troppo pazzo da poter essere preso in considerazione? A dire il vero, ci ho riflettuto abbastanza, prima di decidermi a scrivere qualche nota su questo bizzarro tema. Non vi nascondo che mi sono chiesto più volte: «...non è che andrò a compromettere la mia reputazione?...». Però poi, ad un certo punto, ecco calare fra i miei pensieri il decisivo folgorante passaggio in grado di spazzare via ogni remora: «...Ma quale reputazione?...».

E così, procediamo pure…

A pensarci bene, tutto l’apparato culturale a supporto dell’occultamento del mistero della nudità risulta essere esso stesso una sorta di mistero. In fondo nascondiamo un qualcosa le cui fattezze conosciamo già benissimo. Se non nei dettagli formali, perlomeno per grandi linee sostanziali.  Per dire, non è che nel bel mezzo di una spiaggia, se una signora decide di mettersi in topless, qualche attimo prima del fatidico disvelamento, gli astanti stanno tutti lì ad interrogarsi con fremebonda curiosità, in preda ad un devastante rovello interiore:  «...Minchia…chissà adesso cosa sbucherà fuori da quella maglietta. Ci sarà mica sotto la famiglia dei Barbapapà?...».

Invece no. Nessuno si aspetterà altro che la fuoriuscita di un normale seno, dalle fattezze dimensionali peraltro già ampiamente intuite anche sotto la cortina del vestiario. Lo stesso fenomeno si verificherà con quelle altre parti del corpo, sia maschili che femminili, che la nostra tradizione culturale ha decretato di dover rilegare nel capitolo di pertinenza della nudità. Si sa che tutti, celati da alcuni strati di tessuto più o meno spessi a seconda anche della stagione, hanno sotto quelle robe lì, quegli organi sagomati per grandi linee in un modo già ben noto.

Molto stranamente però, in virtù di un qualche incantesimo “culturale”, quando abbiamo a che fare con una persona “da vestiti”, magari stando uno di fronte all’altro, o all’altra, in una normale conversazione, non c’è niente di più remoto ad entrambi delle rispettive nudità. E’ come se quel sottile sipario di cotone o di lana che li separa dalla vista, annullasse automaticamente l’esistenza stessa dei componenti concreti di quella segretezza fisica.

Questo meccanismo è talmente potente da negare in certi casi persino l’evidenza. Riprendendo sempre l’esempio della spiaggia: che differenza oggettiva passa fra una donna in bikini e la stessa nuda? Dal punto di vista della “rivelazione corporale”, la differenza è praticamente nulla. Cosa sono pochi centimetri quadrati di costume in più o in meno? Sotto un risvolto “culturale” invece, c’è un abisso di significati.

Da tutte queste considerazioni, si arguisce insomma che il nodo della questione è soprattutto di natura simbolica, e dunque, in fin dei conti, mentale. E qui la portata paradossale del discorso s’impone già in modo notevole: i principali elementi esistenziali della nostra fisicità sono essi medesimi anche i principali portatori di un carico “mentale” così vasto. Very very bizarre indeed.

Non a caso, la questione della nudità si è sviluppata, approfondita e complicata soprattutto nell’ambito delle culture più elaborate, quelle che più marcatamente hanno segnato un decisivo scarto dallo “stato di natura” (con tutto rispetto parlando delle tradizioni cosiddette primitive, non meno portatrici di architetture culturali altrettanto complesse, ma di una complessità dal DNA profondamente diverso e peculiare). Questo è uno dei più naturali sentieri che potrebbe imboccare il discorso, ma mi sembra fin troppo scontato.

Mi interessano di più le stranezze, le stonature e volendone trovare, parlando di nudità, ne sbucano fuori a iosa. Non mi venite a dire, per esempio, che non vi siete mai sognati almeno una volta di aggirarvi per i luoghi quotidiani a voi consueti, se non completamente nudi, perlomeno con una porzione del corpo di quelle preposte a sancire la nudità, completamente scoperta. Se anche vi presentaste per negarlo, con una dichiarazione scritta e controfirmata dal notaio, non ci crederei.

Un tempo era un sogno che facevo spesso. Frequentavo i posti e le persone più familiari, con indosso magari una camicia o la maglietta, le calze, le scarpe, ma nel mezzo niente di niente: solo pendolarismo palese allo stato puro, oppure, a seconda delle versioni, alpinismo svettante con grado di inerpicata più o meno ripido. Quando un questione passa sotto il vaglio dei sogni, vuol dire che ci sta sotto qualcosa di molto complicato.

Pur lasciando sempre aperta la possibilità di mille altre spiegazioni, nel mio caso, quel sognarmi nudo fra la gente lo interpreto in un modo abbastanza preciso. Anche se può suonare contraddittorio, credo che abbia a che fare in qualche maniera con la timidezza e con la difficoltà di relazione con gli altri. Non nel senso più immediato evocabile da questa interpretazione: non è che la mia nudità rappresentasse in quei frangenti onirici il mezzo drastico per sbaragliare le mie titubanze sociali. No, perché le sensazioni abbinate al sogno erano piuttosto di sottile disagio, non di liberazione.

Dietro al mio “smutandevole” disagio si celava una forma di pietà, di compassione. Che è poi ciò che io ritengo essere di fatto il nucleo stesso del senso più intimo e riposto nell’atto del sentirsi nudi in presenza di un altro essere umano. Nel sogno, compativo gli altri, mi fondevo con il loro patire, con la loro “incompletezza espressiva forzata”. Non erano nudi come me e pertanto risultavano praticamente soggiogati da una costrizione a “mentire”, ad essere forzatamente qualcosa d’altro rispetto al “sé” più vero, alla propria individualità più genuina e primigenia.

Il mio disagio attingeva però nel medesimo tempo anche alla fonte di una parallela mini-disperazione. La consapevolezza riguardo alla stortura di quella situazione, non trovava infatti una possibile soluzione nell’eventualità che si denudassero tutti seguendo il mio esempio, liberandosi da ogni ostacolo alla completa intesa spirituale e fisica fra gli umani. La verità incontrovertibile risiedeva invece nella inevitabilità dell’essere vestiti, condizione insormontabile durante la vita “da svegli”. Essere vestiti è una forma di autodifesa necessaria dinnanzi alla possibilità di essere travolti da un eccesso di interiorità umana.

Ecco allora che, forte di queste ulteriori meditazioni, mi viene da riprendere l’assunto iniziale e riformulare il quesito in misura ancora più folle. Perché non mi è dato di poter correre in piazza, mischiarmi ad un capannello di amici e amiche, calarmi di colpo braghe e mutande e declamare: «…Ti compiango, o mesta umanità! Segui il mio esempio: abbandona la maschera mutandale e rivelati per quella che sei, nella cristallina onestà senza cortine frammiste, nella limpidezza dei tuoi ciondolanti nasi dalle gote villose e dei tuoi sorrisi verticali!...».

E molto modestamente, in marzullesca guisa, al mio stesso interrogativo porgo risposta: perché sarebbe tutto inutile. Una “liberazione” simile ci caricherebbe di un onere spirituale eccessivamente gravoso da poter essere sopportato. L’esperienza della nudità condivisa risulta in fin dei conti essere questione troppo potente. Giusto nell’estremismo narrativo del sogno la possiamo tollerare. Oppure nella condivisione ristretta con la persona (per i più vivaci: le persone) dalla cui carica emotiva e spirituale abbiamo deciso di lasciarci travolgere.

Perché in quel “compatirsi” nudi e vicini si nasconde in fondo anche la malcelata brama di fondere le rispettive imperfezioni e limitatezze nell’illusione di una conquistata completezza ideale comune. La nudità condivisa è eroica rivelazione reciproca della parte più profonda delle rispettive vulnerabilità, laddove esse si presentano più fragili, più precariamente in equilibrio. E questa è un’operazione esistenziale che richiede di mettere in gioco un carico di energie spirituali troppo grandi, da poter essere esperita e sopportata al di fuori di una relazione duale o poco più.

8 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

La nudità te la puoi permettere girando per casa...gran senso di libertà, chiaro, se la temperatura dell'ambiente è d'accordo.
Una vacanza da naturista è una di quelle cose che farò, prima o poi, mettersi nudi non mi sembra né drammatico né orribile, è un atto appunto naturale.
La cultura, un po' morbosetta, nasconde, usando vari alibi.:))))
Se è un atto consapevole e ragionato, è davvero rivoluzionario (la pelle ci fa tutti fratelli, di qualsiasi colore noi si sia).
E suonerà la solita solfa del femminile che guarda la gente nuda e pensa, embè?, ma ho visto in rete qualche giorno fa vecchie foto del carnevale olandese, con la gente nuda in bici col corpo artisticamente pitturato...e mi ha fatto una tenerezza, tutte quelle parti tenerine che poggiavano sulle selle...eheh, l'umanità è proprio buffa.
Che poi, giustamente dici, là sotto siamo tutti più o meno uguali, nasuti o sorridenti...:)))))
Pensa che comodo, Gilli, d'estate, uscire nature a prendere il giornale, senza star là a rompersi le uova per abbinare maglietta e pantaloni...pensa al tempo risparmiato!:)))))))

ANTONELLA ha detto...

un tema importante che come dici tu svela disagi più profondi nella comunicazione e nella relazione con l'altro. Gramellini scriveva che dopo un viaggio in Egitto si era sentito colpito dai manifesti italiani dove campeggiava il nudo quando la sua vista ne era rimasta digiuna per un bel po'. ma lì diciamo che la nudità ha un valore di mercificazione anzichè di liberazione che fa una grande differenza. Io personalmente sono andata in un campo nudista in Spagna e dopo un giorno di disorientamento mi sono triovata davvero bene priva degli abiti ed alla fine diventava normalissimo , ma sicuro è un discorso difficile

Gillipixel ha detto...

@->Vale: non lo so, Vale...i miei pensieri sono un po' ambivalenti, su questo tema...l'idea del naturismo, da una parte affascina anche me, ma per altri versi mi pare un po' patetica, non saprei decidermi :-) Perchè c'è pure un fatto: stante che non si tratterà solo di veneri e di adoni (me compreso, il più scarso di tutti :-), chi mi obbliga a sopportare, nel caso, la vista di tante brutture? :-) Io stesso, mi sentirei a disagio ad infliggere la mia allo sguardo altrui :-)
Pensa che non sopporto quelli che d'estate girano in bici sull'argine a troso nudo...io tengo rigorosamente la maglietta e quando mi passa vicino un descamisado, penso: ma copriti, che non ci tengo proprio :-) Fosse una donzella, sarei più indulgente, ma finora sull'argine le ho viste solo abbottonate :-)

Ad ogni modo, ci voglio provare ad andare dal giornalaio in veste adamitica...poi ti faccio sapere :-)

Bacini vestiti :-)

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: sicuramente è un discorso complesso e ricco di implicazioni, Anto...non ho avuto l'esperienza di essere nudista fra nudi :-) e quindi, sotto questo punto di vista, mi devo astenere da esprimere opinioni o impressioni...di certo, anche sentendo questa tua testimonianza, si può dire che il mistero si intensifica, nel senso che mi confermi come la nudità possa caricarsi di una miriade di significati e può mutare continuamente nella nostra percezione, magari ritornando indietro nei suoi significati, perchè immagino che anche per te, vissuta in seguito in altri contesti, sia tornata a ri-signifciare altre emozioni, altre valenze esistenziali, ecc....

Bella anche la cosa che mi dici di Gramellini, che ribadisce il concetto :-)

Bacini difficili :-)

Cristina Berardi ha detto...

Ciao Gilli, sono passata a trovarti e...per recuperare che era un po' che non riuscivo a fermarmi da te a leggere, ho letto i ultimi tuoi due post! :=))
Quando riesco ad avere tempo per leggerti sono contenta, perchè scrivi sempre cose che mi piacciono, che fanno riflettere e sorridere (come i miei disegni...spero :=))
Ti scrivo qui una riflessione sul precedente:
Sono molto d'accordo con te: se riusciamo a restare bambini (dentro) riusciremo a sopravvivere meglio in questo folle mondo...e una cosa che mi faceva riflettere qualche giorno fa: i bambini di tutto il mondo da millenni giocano gli stessi semplici giochi raccontano gli stessi scherzi, anche se sono lontani migliaia di miglia. a me questa cosa fa pensare!
Per ultimo vorrei lasciarti un pensiero sulla nudità ...intellettuale (quella che preferisco) ...io cerco sempre di essere nuda intellettualmente CI TENGO A SPECIFICARE! :=DDDDD
un caro saluto
e un p.s.:.... di tutte le parti corporali proprio l'ascella dovevi scegliere per questo post???!!

Gillipixel ha detto...

@->Cristina: ahhahahhhahah :-) e c'hai ragione, Cri, l'ascella in effetti non era il massimo dell'eleganza :-) ma sai com'è, io agisco sempre secondo il motto: se c'è da essere matti, lo si sia fino in fondo :-) e poi, non è detto che fosse mia, quella ritratta...si sa, Gillipixel è un'entità scritta e come tale è evanescente ed incorporeo...oppure anche le parole scritte hanno le ascelle? Uhm, bel quesito questo :-) qasi quasi mi dà l'idea per scrivere un altro articoletto folle :-)

Quello che dici riguardo alla comunanza spirtuale fra i bambini mi ha ricordato la teoria junghiana dell'archetipo collettivo...secondo Jung nell'uomo ci sarebbero delle radici spirtiuali comuni, anche fra individui e culture che non sono mai state in contatto...la tua osservazione è molto interessante, anche in questa ottica...

Quando passi di qui è sempre una gioia, e se lasci qualche parola è gioia doppia :-) e medesime belle sensazioni provo a vedere i tuoi disegni, certo: sono vitali e poetici, e si vedono che nascono da uno spirito sognatore, ma nel senso più bello del termine...

Grazie Cri, sei sempre la benevenuta, e mi raccomando: presentati sempre nuda...intellettualmenteeeee!!! Cosa avevi capito?!?!? :-) ehehehehe

Bacini disegnati da te :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

allora, l'ascella non mi dispiace. un disvelamento, possibilmente deodorato, con una sua certa sensualità :-D

la nudità a me piace, non mi disturba mai, ma essendo freddolosa, vi ricorro poco ... l'estate certo la invoco e la desidero, solo che in un mondo sessuofobico cattolicheggiante, ciò non è consentito, solo in qualche spiaggia, si può senza senza conseguenze.
poi una volta, nel deserto, ho scoperto che la copertura totale, possibilmente con lana spessa due dita, era la miglior difesa...

che dire, al dilà delle sovrastrutture culturali, lo star coperti ha le sue buone ragioni :-)

bcini sartoriali

Gillipixel ha detto...

@->Farly: eheheheheh, sei la prima ad aver apprezzato 'sta foto un po' fetusa e ferina, Farly :-) grazie :-)

In effetti ci sono anche tantissime ragioni pratiche per restare coperti, ma le più potenti credo rimangano quelle mentali...
Non ultima forse, c'è dietro anche una sorta di architettura paraculesca maliziosa :-) nel senso che andare a scoprire è molto più eccitante e coinvolgente del fatto di trovare già tutto palesato :-)

Avevo sentito quella cosa del deserto che mi dici...infatti i tuareg mica per niente si chiamano uomini blu, e non uomini in canottiera :-)

Bacini naturisti :-)