domenica 9 dicembre 2018

Piàta t'al vè a dì a tu nòna


La Bassa è una terra piatta, si sa, e dal punto di vista geografico il discorso non fa una grinza.
È da una prospettiva “spirituale” che la definizione inizia ad andare un po' stretta.

Se si pretende infatti di far passare come buona l'equazione “terra piatta” uguale “gente piatta”, ecco che la matematica dell’animo si ribella vivamente e denuncia tutta la stonatura del traballante sillogismo.

Si usa dire abbastanza spesso che da queste parti non c'è niente. Anche questa frase contiene solo una mezza verità.

Perché proprio con la sua altra imprecisa metà, questa frase ci svela come in realtà, quello che c'è non sia poi così tanto poco.

Soltanto che, per poter cogliere la ricchezza effettiva di “quel poco”, servono speciali lenti della sensibilità, e non sto parlando di superpoteri da supereroi.

Se uno vive nella Bassa per un po' e ne assorbe il paesaggio esistenziale, quelle lenti se le sente crescere naturali addosso, appoggiate leggere sul naso che quasi nemmeno sa di averle.

Il segreto sta in un classico meccanismo psicologico. Chi ha poco, deve ingegnarsi a far fruttare al meglio le combinazioni degli scarsi elementi a disposizione.

Il grande progettista non è chi sa architettare la stratosferica villa lussuosa con un budget di dieci milioni di euro.

Il vero, grande progettista lo si vede quando, con quattro lire a disposizione, riesce a instillare in un modesto edificio, un profondo e genuino “sentimento di casa”.

La Bassa ti mette alla prova ogni giorno, a saper trovare significati degni di nota, combinando sempre in modo inedito e rinnovato quelle quattro lire di realtà.

Fare una passeggiata sull'argine è proprio il minimo di budget a disposizione per riempire il tempo di senso.

Eppure ogni volta “fatico” a tornare a casa senza aver scattato almeno un paio di foto discrete. Certo, non dico mica dei capolavori. Eppure, sempre piccole scene che raccontano come certe micro bellezze minimali siano spesso in agguato lungo la “piattezza” in cui mi inoltro.

Poco prima di partire, o perlomeno sui passi iniziali del percorso, mi ripeto sempre: “…Oggi niente foto…che immagine vuoi ci sia ancora da spremere, in questi quattro campi spelacchiati?...”.

Ma quasi regolarmente vengo smentito.

Basta gettare un’occhiata distratta a un angolino di paesaggio visto e rivisto in mille occasioni, ma questa volta osservato in un suo dettaglio diverso, che un nuovo racconto sotto forma di foto può nascere all'improvviso…

Spostato appena fuori dall’asfalto della pista ciclabile, sul ciglio erboso, mi colpisce una curiosa combinazione geometrica fra i campi appena là sotto.

Il diverso momento di progressione nei rispettivi stati di coltivazione di due terreni, un fosso divisorio, la carraia che cuce insieme il tutto, la spalla dell’argine a fare da sottofondo obliquo “scompiglia-piani”…tutto questo parla della femminilità della terra.

Introduce nell’idea di triangolazioni fertili allo stesso tempo così concrete, ma anche evocatrici di un astratta combinazione dal vago sapore astrattista moderno.

Tutto sembra condurre l’occhio a condensare lo sguardo all'interno dell’incrocio centrale di erba-terra-luce. Ma le linee di fuga sono molteplici, la prospettiva è frantumata, e insieme tutto porta anche a fuggire visivamente fuori dai confini dell’immagine.

Un po' come in fondo fa la Bassa medesima.

Che è piatta, sì, ma ti risucchia in sé con una marea di significati, nati da un riflesso continuo di scambio, fra il proprio meditare visivo e lo sguardo meditativo stimolato da ogni cosa intorno.

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