lunedì 17 dicembre 2018

Tautofotia


Sognare è uno sport completo.

E non parlo di sogni in senso figurato, come ad esempio si usa dire per riferirsi a un desiderio, oppure a un’aspirazione futura.

No, no. Parlo precisamente dei sogni veri e propri, quelli sognati dormendo.

In certi sogni ci si sente come un apparecchio fotografico a sua volta fotografato.

Se è il soggetto a scattare la foto, come fa ad essere nel contempo oggetto della scena? Chi viene ripreso e chi schiaccia il pulsante?

Chi è che guarda? E chi è il guardato?

Alla fine della catena, c'è un occhio supremo che osserva tutti gli altri dall’alto? Oppure non termina mai il susseguirsi di “guardanti riguardati” di riflesso?

Sono io che vedo me stesso attraverso lo sguardo degli altri, oppure guardo gli altri pensando a come mi vedono?

Quando si tratta di sogni, questo tipo di interrogativi avviluppati su se stessi, spuntano come funghi.

E non si pensi che siano solamente questioni oziose da perdigiorno.

D’accordo, un po' lo sono anche.

Ma non scordiamo che di sogni si sono occupati da sempre i più grandi poeti, letterati e pensatori.

La stessa modernità, per certi suoi importanti capitoli, si fonda sui pilastri del sogno, infissi nel terreno della conoscenza, lungo l’arco del pensare che va da Sigmund Freud, passando per Andre Breton e Salvador Dalì, fino ad approdare a Gigi Marzullo.

La questione del “guardare riguardato”, innescato dal sogno, può suggerire una piccola, ma suggestiva riflessione.

Nei sogni avviene una specie di deflagrazione dei punti di vista.

Mentre durante le ore “da svegli”, vivendo la quotidiana “vita vigile”, siamo per forza di cose ancorati al nostro punto di vista personale, quando ci immergiamo in un sogno, questa saldezza di riferimento esplode in mille occhi disseminati attorno alla multiforme realtà onirica.

Ne dobbiamo concludere che rimanere dentro a un unico punto di vista, sempre fissato e monolitico, ci sta stretto?

Forse.

E forse ne possiamo ricavare anche un insegnamento.

Se è vero (come sembra sia vero) che l’ambiente del sogno è come una sorta di officina, in cui ogni notte portiamo il “nostro essere” a riparare, allora il meccanico titolare dell’officina ci suggerisce anche un'importante avvertenza da usare per una buona manutenzione della nostra “automobile esistenziale”.

Cambiare spesso i punti di vista da cui, e i modi con cui, si osservano le cose, può essere una buona cosa che giova al motore del vivere.

Avere opinioni abbastanza certe, pensieri saldi, convinzioni su cui fare affidamento, rimane il modello guida.

Ma sclerotizzarsi sulle posizioni, incaponirsi sulle idee, aggrapparsi ai giudizi come cozze allo scoglio, va molto meno bene.

E non ve lo di dico mica io.

Me lo hanno spiegato alla concessionaria dei sogni.

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