martedì 11 dicembre 2018

Quell'ominide nel sottoscala


A volte, riguardo a una certa questione, basta spostarsi pochi centimetri di lato, per osservare la cosa da una prospettiva totalmente diversa.

Avrete sentito parlare delle pitture rupestri, quei graffiti antichissimi scoperti dentro grotte preistoriche, un po' in varie parti del mondo.

Raffigurano perlopiù scene di caccia, animali colti in pose dinamiche e molto rappresentative dei concitati momenti di un inseguimento, di un appostamento o di situazioni simili.

Gli antropologi, gli studiosi del tema, gli esperti insomma, concordano ormai abbastanza su un fatto.
Per l’uomo primitivo, in virtù di qualche magica continuità, nell’animale raffigurato era presente lo spirito stesso dell’animale vero, quello vivo in carne e ossa, scalpitante là fuori nella prateria.

Nella mente dell’uomo preistorico, animale vivo e animale disegnato erano praticamente intercambiabili.

Come questo fosse possibile, non lo si può spiegare fino in fondo, ma era così. Allo stesso modo di tanti meccanismi mentali dei bambini, anche loro spesso propensi a fondere e confondere oggetti reali e “oggetti emotivi”.

Questa cosa che nei propri disegni, il nostro remoto antenato ci vedesse un mix di reale e concepito, a una prima considerazione volante ci fa tendenzialmente sorridere.

Noi uomini “moderni”, con alle spalle la grande lezione scientifica di Galileo, sappiamo che, in ambito comunicativo, un “segno” è solamente uno veicolo neutro per trasportare un “significato”.

Una foto, una frase scritta, un disegno, una registrazione audio o video, sono solamente macchie di inchiostro o colore sulla carta, o pixel su uno schermo. Tra forma e contenuto, “pretendiamo” di sapere che esiste una notevole differenza e un distacco netto.

La pensavo grosso modo così anche io, fino a quando non ho letto una cosa sulla bella “Storia dell’arte” di Ernst Gombrich, scritta nel 1950.

La riflessione è proposta sotto forma di invito-provocazione a fare un piccolo esperimento (anche solo mentalmente, basta per capirne il senso).

Immaginate di sfogliare una rivista e di soffermarvi sulla foto in primo piano di qualche personaggio più o meno famoso. Immaginate di prendere uno spillo e di forare proprio nella pupilla il suo volto.
Si tratti di un personaggio amato o di uno detestato, non si può negare che la cosa ci causerebbe un certo “coinvolgimento emotivo”.

Credo sarebbe molto difficoltoso farlo davvero, e qualora ci riuscissimo, nell’attimo in cui la punta dello spillo trapassasse effettivamente “l’occhio cartaceo”, un brivido di disagio correrebbe di sicuro dall'ago ai polpastrelli, alla mano.

Forare la carta in un altro punto della pagina, magari una parte in bianco, o sullo sfondo appena a lato della testa del medesimo personaggio, non sarebbe per niente la stessa cosa.

Ecco dunque che le diverse zone inchiostrate non hanno tutte lo stesso valore, non contengono tutte la stessa “energia significante”.

Alcune sono più intense di altre, più “dense di vero”, più cariche di una strana forma di contatto privilegiato con la realtà.

Possiamo ancora dire allora che il vecchio caro uomo primitivo fosse così sprovveduto e ingenuo? Forse possiamo dirlo un po' meno.

Raschiando millenni di civilizzazione, l’uomo primitivo è ancora lì a fare capolino, nel retrobottega del nostro essere.

Tutto questo ci fa pensare e ci mette in guardia allo stesso tempo.

Ogni volta che crediamo di comunicare un qualche contenuto “obiettivo”, dovremmo mettere in conto che forse ci stiamo solo illudendo.

In noi operano sempre continui, sotterranei “motori inconsci”, in contatto diretto con la nostra sfera emotiva e irrazionale più profonda.

Anche scrivere una semplice frase su internet, credendo di dire una cosa chiara, non è mai un atto banale e scontato.

I nostri retroscena emotivi lavorano sempre in sottofondo, e se ne siamo almeno un po' consapevoli, forse è già una buona cosa.



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