A se stesso
Giacomo Leopardi
Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.
Bella
Direte che sembra un discorso da ubriachi. Sì, e allora, del cammello in una grondaia o dell’ombrello e la macchina da cucire, ne vogliamo parlare?
Ad ogni modo, “questa non è una pippa”, e così beccatevi la rubiconda rivisitazione dell’immortale componimento giacominico, rivoltato come un pedalino canzonatorio con il lato più puzzolente girato verso il molesto slittamento temporale.
All’ora legale stessa
Gilli Pixel
Or poserai per qualche mese,
stantia ora legal. Perì
ch'eterna tu ti credesti. Perì. Ben sento,
in noi di vuoto Sviluppo,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per l’inverno. Assai
frangesti i corbelli. Non val cosa nessuna
gli sfasamenti tuoi, né di sospiri è degna
la sveglia. Amaro, dessert e caffè
la vita, altro mai nulla; e pausa pranzo è il mondo.
T'acqueta omai. Fai disperare
le ultime volte. Al gener nostro il fato
non donò che il dormire. Omai disprezzo
te, la finanza creativa, il brutto
poter che, utilitario, a comun levatacce impera,
e l'infinita vanità del Prodotto Interno Lordo.
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