venerdì 17 ottobre 2008

Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore…

(Foto di Gillipixel)


“…Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone

e terra e polvere che tira vento e poi magari piove…”

La leva calcistica della classe ‘68

Francesco De Gregori (Titanic, 1982)


Son giorni che tira aria di forte stonatura. O meglio, fischia sulle reni più dritta del solito, che per tirare, già tirava da tempo.

Fa specie continuare a rimanere immersi belli e giulivi nella sarabanda consumistica, mentre sotto i piedi si sente un rimbombo minaccioso e dietro le spalle riecheggiano scricchiolii che fanno correre brividi gelidi lungo la schiena.

Il mondo del consumo esasperato offre il fianco da sempre alle critiche più facili. È altrettanto vero che in questo sistema ci siamo cresciuti e ci siamo stati anche bene, spesso adagiandoci sulle blandizie della consuetudine. Dunque ci sarebbe poco da fare i criticoni, ma certe distorsioni non le possiamo mica nascondere alla maniera del domestico sciattone che occulta la polvere. Abbiamo pur sempre una coscienza critica che forse sa fare qualcosa di meglio di un vecchio tappeto spelacchiato.

Sembra una regola storica ineluttabile, sembra che ogni tipo di organizzazione umana complessa non possa fare a meno di riscoprirsi alla fine fondata su contraddizioni terribili. Ci abbiamo provato in tutte le salse, ogni volta con le migliori intenzioni: consigli di tribù modello Isola di Pasqua, monarchia, comunismo e consumismo, liberalismo, dittature illuminate e dittature buie, impero, repubblica, libero mercato e protezionismo, autarchia, oligarchia, democrazia, teocrazia, aristocrazia, salutami tua zia…

Ma niente: tutte le volte il “non senso” s’insinua, prima pian piano, subdolo, nelle pieghe del discorso e nel sospetto di quei pochi più diffidenti (o dissidenti), poi sempre più deciso prende piede, e facendosi clamoroso cola da tutte le parti, deborda, tracima, e alla fine c’è un tanfo di paradosso che anche volendo non si può fare finta di non sentirlo.

Sia ben chiaro: teniamoci pur ben stretta la nostra cara e vecchia democrazia, che è il colabrodo con meno buchi finora escogitato per tenere insieme il consorzio umano…

…Ma, insomma, tutta ‘sta menata per dire cosa?…per parlare di un clima surreal-contradittorio che stiamo vivendo, prendendo spunto da due piccole impressioni-riflessioni scaturite in questi giorni da due episodi, uno tratto dalla macro-storia che stiamo vivendo come mondo in generale, e l’altro capitato invece nella mia micro-storia quotidiana.

La prima cosa è l’affermazione di Berlusconi, secondo la quale “se un aiuto dello Stato all’economia sarebbe stato peccato in passato, oggi è un imperativo categorico”. Ecco, se ci fate caso, filosoficamente parlando, questa frase è una perla di incoerenza e di distorsione discorsiva. Con la specificazione “filosoficamente parlando” mi riferisco all’uso della razionalità comune al pensiero occidentale dai vecchi tempi in cui il buon Aristotele la codificò. Il principio di non contraddizione, di causa-effetto, e tutte quelle robe lì, insomma. Concordo sul fatto che siano faccende pallose, e che la fantasia, l’immaginazione e il sogno sono alternative ben più piacevoli. Ma quando uno parla in un contesto normale, si presuppone che usi proprio quei ferri vecchi aristotelici e non gli sfavillanti strumenti del mago di Oz.

Cosa succede invece nella frase del Berlüsca? Beh, è tutto uno sfavillio di razionalità creativa, anzi un fuoco di fila di contraddizioni ad andata e ritorno: la prima parte del discorso fa zoppicare la seconda e viceversa di rimbalzo.

Se in passato l’intervento dello Stato fosse stato un po’ più praticato per dare qualche straccio di regola a quel favoloso mondo del libero mercato e della selvaggia iniziativa privata, non pensa il nostro luminoso premier che forse non ci saremmo trovati ad un passo dal collasso di tutta la baracca, come in questi giorni è successo? E se oggi questo intervento è da lui stesso auspicato, non pensa che forse quel modello del mercato libero e sfenato non era poi quella gran meraviglia che ci voleva egli stesso fare credere? Non so, quando fa così, mi fa venire in mente Fonzie quando non riusciva a dire “ho sbagliato”, e piuttosto di niente biascicava un incerto “ho sbglt…gghhhzzz….”. Boh, sarà…ma se questa è una delle menti più illuminate del nostro capitalismo, il Cielo ci scampi dai più rintronati.

Il secondo episodio, legato al mio più modesto tran tran giornaliero, è molto meno frutto di analisi razionale e mosso in misura più generosa dall’impatto emozionale. È successo ieri: scorticavo il solito incartamento plastificato dell’inserto settimanale di un noto quotidiano, quando dal malefico involto di cellophane e locandine pubblicitarie salta fuori una mestissima simil-chiavetta di automobile…Noooooooooooooo…Nooooooooooooooooo…non provavo una tristezza simile dall’ultima volta che mi sono rivisto la scena della tombola nel “Cacciatore” di Michael Cimino. Chi lo sa, magari solo poco tempo fa, in un normale frangente consumistico ordinario dei tempi andati, la cosa non mi avrebbe fatto così impressione. Ma ora che siamo andati proprio ad un passo dal vedere il crollo totale, il tutto è suonato fortemente surreale. Già mi vedevo, sabato mattina, recarmi prono alla concessionaria ad infilare la mia triste chiavetta per sapere se ho vinto l’auto in palio…

Nooooooooooooooooo…Noooooooooooooooo…presto, un film di Bergman per tirarmi su di morale!!!

Nessun commento: