"...Purtroppo abbiamo anche l'umanità..." ho scritto alcuni giorni addietro, in forma di titolo-commento ad un video pescato su youtube, musicato con una canzone di Alberto Fortis.
Nessuno avrà capito cosa volessi dire, perchè in effetti non volevo dire quasi nulla.
Il senso di quell'intervento voleva essere concentrato tutto sulla bellezza della musica, che in qualche modo rappresenta sempre una fuga dalla realtà. La musica ci concede l'accesso a mondi talmente sublimi e superiori, che il "mondetto"(...Farly, perdonami per il diminutivo estremo...) ordinario della quotidianità, con le sue modeste e limitate dimensioni, non potrà mai nemmeno sfiorare.
E non so se è esperienza comune, ma perlomeno a me la musica fa questo effetto: mi rende alquanto superflua l'umanità. Non è un atteggiamento cattivo o snob, dell'umanità ho bisogno io come ne hanno bisogno tutti.
Si tratta invece solo di mettere se stessi fra parentesi per il tempo di una canzone o di una melodia, cullarsi per alcuni istanti nell'illusione di bastare a se stessi in quel piccolo mondo idealizzato di note.
Ecco allora il piccolo lembo di senso che poteva tenere insieme l'ascolto di una bella canzone e quella frase: "...Purtroppo abbiamo anche l'umanità...".
Ma vi devo spiegare un dettaglio in più: quella lapidaria affermazione parafrasava anche una buffa sentenza scaturita fra i fatti di paese campagnoli, qui dalle mie parti.
L'orizzonte ristretto di paese ha mille difettose implicazioni, non ultima una certa limitatezza mentale che spesso e volentieri piazza un bel paio di paraocchi alle prospettive della gente.
Però nel contempo, questa dimensione circoscritta ha anche il pregio di saper divenire il luogo di aneddoti e vicende che si caricano nel ricordo di un'affettività quasi mitologica, finendo per rappresentare un patrimonio culturale collettivo.
L'episodio legato alla frase è il seguente.
C'era una piccola fabbrica in paese, la chiamerò "Caudata" (tanto il nome vero non ha importanza), nata fra gli anni '50 e '60 ed oggi ormai dismessa, che era un po' l'orgoglio dell'imprenditoria locale, dando essa da lavorare ad un sacco di operai.
Si trattava tuttavia, almeno io credo, di un orgoglio mantenuto un po' "sub judice".
Nel senso che, sì va beh, quella fabbrichetta dava da mangiare a molti, ma non è che lavorare lì dentro fosse un idillio. Quasi tutti venivano dalla "libertà" del lavoro in campagna (che poi anche lì ci sarebbe da disquisire: "...Ah, signora mia, i bei tempi andati della servitù della gleba!!!...), e ritrovarsi di colpo imbrigliati in turni e compiti da catena di montaggio era stato un balzo notevole.
C'era poi il fatto che la meritoria fabbrichetta, regolarmente, ogni giornata lavorativa, alla stessa ora pecisa, "impuzzolava" il circondario con un nuvolone nero odor-uovo-marcio capace di fare venire la nostalgia più struggnete per il sano e penetrante odore di letame di vacca.
Capita un giorno in paese l'inviata del giornale di provincia, per una piccola indagine sulla realtà locale. Raccoglie impressioni fra la gente e sente diverse opinioni.
Fra gli intervistati c'è pure un tizio che non si sa bene se più per una sua acuita sensibilità nella critica sociale, oppure più per una scarsa dimestichezza con l'idioma italico (servendosi infatti egli regolarmente del dialetto come lingua ufficiale universale), elencando pregi e difetti del luogo, giunge al passaggio cruciale in cui, con una sublime perla ferma nel tempo la sospensione del giudizio generalizzata in paese circa i presunti vantaggi della modernità:
"...e poi, purtroppo, abbiamo anche la Caudata...".
Nessuno avrà capito cosa volessi dire, perchè in effetti non volevo dire quasi nulla.
Il senso di quell'intervento voleva essere concentrato tutto sulla bellezza della musica, che in qualche modo rappresenta sempre una fuga dalla realtà. La musica ci concede l'accesso a mondi talmente sublimi e superiori, che il "mondetto"(...Farly, perdonami per il diminutivo estremo...) ordinario della quotidianità, con le sue modeste e limitate dimensioni, non potrà mai nemmeno sfiorare.
E non so se è esperienza comune, ma perlomeno a me la musica fa questo effetto: mi rende alquanto superflua l'umanità. Non è un atteggiamento cattivo o snob, dell'umanità ho bisogno io come ne hanno bisogno tutti.
Si tratta invece solo di mettere se stessi fra parentesi per il tempo di una canzone o di una melodia, cullarsi per alcuni istanti nell'illusione di bastare a se stessi in quel piccolo mondo idealizzato di note.
Ecco allora il piccolo lembo di senso che poteva tenere insieme l'ascolto di una bella canzone e quella frase: "...Purtroppo abbiamo anche l'umanità...".
Ma vi devo spiegare un dettaglio in più: quella lapidaria affermazione parafrasava anche una buffa sentenza scaturita fra i fatti di paese campagnoli, qui dalle mie parti.
L'orizzonte ristretto di paese ha mille difettose implicazioni, non ultima una certa limitatezza mentale che spesso e volentieri piazza un bel paio di paraocchi alle prospettive della gente.
Però nel contempo, questa dimensione circoscritta ha anche il pregio di saper divenire il luogo di aneddoti e vicende che si caricano nel ricordo di un'affettività quasi mitologica, finendo per rappresentare un patrimonio culturale collettivo.
L'episodio legato alla frase è il seguente.
C'era una piccola fabbrica in paese, la chiamerò "Caudata" (tanto il nome vero non ha importanza), nata fra gli anni '50 e '60 ed oggi ormai dismessa, che era un po' l'orgoglio dell'imprenditoria locale, dando essa da lavorare ad un sacco di operai.
Si trattava tuttavia, almeno io credo, di un orgoglio mantenuto un po' "sub judice".
Nel senso che, sì va beh, quella fabbrichetta dava da mangiare a molti, ma non è che lavorare lì dentro fosse un idillio. Quasi tutti venivano dalla "libertà" del lavoro in campagna (che poi anche lì ci sarebbe da disquisire: "...Ah, signora mia, i bei tempi andati della servitù della gleba!!!...), e ritrovarsi di colpo imbrigliati in turni e compiti da catena di montaggio era stato un balzo notevole.
C'era poi il fatto che la meritoria fabbrichetta, regolarmente, ogni giornata lavorativa, alla stessa ora pecisa, "impuzzolava" il circondario con un nuvolone nero odor-uovo-marcio capace di fare venire la nostalgia più struggnete per il sano e penetrante odore di letame di vacca.
Capita un giorno in paese l'inviata del giornale di provincia, per una piccola indagine sulla realtà locale. Raccoglie impressioni fra la gente e sente diverse opinioni.
Fra gli intervistati c'è pure un tizio che non si sa bene se più per una sua acuita sensibilità nella critica sociale, oppure più per una scarsa dimestichezza con l'idioma italico (servendosi infatti egli regolarmente del dialetto come lingua ufficiale universale), elencando pregi e difetti del luogo, giunge al passaggio cruciale in cui, con una sublime perla ferma nel tempo la sospensione del giudizio generalizzata in paese circa i presunti vantaggi della modernità:
"...e poi, purtroppo, abbiamo anche la Caudata...".
4 commenti:
allora mondetto è vezzeggiativo quindi mi provoca reazioni allergiche di minor entità, fra l'altro nel contesto mi piace, anche mondino sarebbe passato alla censura allergica stavolta... descrivi una realtà piccola, la descrivi bene, con quel "purtroppo abbiamo anche" finale che restituisce un senso quasi poetico... tiè m'è piaciuto sto post! :-D il gatto della foto poi è spettacolare ....
Farly, sei troooooppppooooooo carina :-) ma grazie!!! I tuoi commenti mi lusingano sempre un sacco e sono un'abitudine così bella che a volte non ci penso a quanto sono importanti e preziosi. GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!!! :-)
Il miciotto è un tipetto di mia conoscenza che mi zonza intorno a casa :-) è veramente buffo ed assai elegante nella sua ciccezza poetic-felina :-)
sì il gatto sta bene lì, ciccione e contento, vero simbolo di realtà serena per chi, come lui, se ne può fregare della fabbrica, del nuovo televisore da comprare e di quant'altro fa status symbol umano :-)
vorrei essere un gatto ogni tanto...
a chi lo dici, Farly...esser gatto, sarebbe stupendo...uscire dall'umano ed addentrarsi nel felino..."trasumanar per infelinar", mi vien da dire parafrasando Dante (mi pare, boh...:-)
ehehhee...maooo :-)
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