Alle mie già acclarate caratteristiche di pigro orso campagnolo, asociale, con discreta propensione alla nuvolosità concettuale, andrebbe aggiunta anche la qualifica di “impiccione cortese”.
“…Di bene in meglio!...”, esclamerà con giubilo lo stuolo di leggiadre donzelle sgomitanti in fila rissosa, nel tentativo di depositare la domanda in carta bollata per “domandarmi in isposo”.
Ma vi prego…vi prego, signore e signori!!!...non venite subito a conclusioni affrettate: esercitare l’impiccionaggio cortese non è pratica così molesta come si potrebbe erroneamente arguire dall’espressione presa di per sé.
Potrà suonare strano, ma l’impicciarsi cortesemente non ha niente a che vedere con la curiosità morbosa, il pettegolezzo, o il farsi i fatti degli altri. O meglio, per paradosso, è un farsi i fatti degli altri esattamente nell’ottica del rispetto per gli altri.
Da quando lavoro in questo posto qui in cui sto lavorando (il ragionamento fila, mi pare…), sono entrato nel tunnel dell’open space. Questa diavoleria americana di metter giù la gente al lavoro come tante marionette su uno smisurato palcoscenico, crea strani meccanismi interpersonali e prossemici.
Uno degli effetti open-spaziali più evidenti è proprio il venire a conoscenza di tante persone, rimanendo tuttavia tale familiarità a livelli molto superficiali (a parte i tre o quattro colleghi coi quali collabori in modo contiguo e diretto).
Ed è qui che scatta il campagnolismo più eclatante, dal quale in seconda battuta deriva anche l’impiccionaggio cortese.
Ho già trattato un’altra volta della differenza fra “tipo metropolitano” e “tipo provinciale”: ecco, quando sono immerso nell’open-space mi sento “metro-provinciale”, con ricadute campagnolesche frequenti.
Da una parte non me la sento di conoscere con più di tanto approfondimento le decine di persone che passano in rassegna tutti i giorni sulla croisette open-spaziale, troppa sarebbe l’energia psichica richiesta per l’improbo compito (e qui sta la componente da “tipo metropolitano”).
Ma nello stesso tempo non mi va nemmeno di vedermi passare davanti simulacri di umanità svuotata (e qui sta la componente da “tipo provinciale”).
Ciascuna persona è una storia che si muove e si auto-racconta, un libro rilegato sulle pagine dei giorni della propria vita. Trattare gli altri con superficialità e distacco non è sintomo di superiorità. Al contrario, è perdita continua di patrimoni inestimabili che dagli altri potenzialmente potremmo ricevere.
Anche la persona all’apparenza più insignificante, reca dentro di sé una scintilla di bellezza.
Prendete me, tanto per fare un eccellente esempio di insignificanza umana: se io fossi un altro e vedessi passare “me” per la strada, penserei: “…minchia che tipo sciapo e anonimo...però anche lui deve avere qualcosa di decente, dentro…”.
Come conciliare tuttavia una sana asocialità con il desiderio di continuare a “leggere” un po’ più nel profondo le persone con cui si viene in contatto?
Ecco che giunge in aiuto l’impicciata cortese.
Ci sono tanti mezzi per imbastire piccole indagini innocue, del tutto in buona fede.
Tipo fare mini-interviste a chi conosce un po’ meglio certe persone, oppure ricercare sull’elenco dei recapiti interni per capire di cosa si occupa il tale o la tal collega, e una volta colti alcuni indizi più corposi, in taluni casi si può approfondire sul web la conoscenza di certe persone che magari svolgono anche ruoli “sociali-pubblici” più evidenti (attività di volontariato, sportive, culturali, e così via).
Come dicevo, non si tratta di morbosità al fine di chissà quali intenti pettegoli. E’ solo il desiderio di sapere che quel tale che magari saluti appena al mattino, passando in mezzo alle postazioni più distanti, non è un automa, una sbiadita appendice del terminale video che ha di fronte, ma è una persona viva, è una storia, fatta di interessi ed entusiasmi, impensati fino a quando ci si mantiene alla conoscenza del suo semplice aspetto superficiale, colto al volo distrattamente.
Impicciarsi dei fatti altrui non è quindi solo e sempre un fatto di invadenza e maleducazione: mantenendo la cosa nel limite dell’urbanità e della discrezione più delicate, può anche assumere nobili sfumature, intenti di solidarietà umana soffusa e, oserei dire, di sintonia “felina” con il prossimo.
“…Di bene in meglio!...”, esclamerà con giubilo lo stuolo di leggiadre donzelle sgomitanti in fila rissosa, nel tentativo di depositare la domanda in carta bollata per “domandarmi in isposo”.
Ma vi prego…vi prego, signore e signori!!!...non venite subito a conclusioni affrettate: esercitare l’impiccionaggio cortese non è pratica così molesta come si potrebbe erroneamente arguire dall’espressione presa di per sé.
Potrà suonare strano, ma l’impicciarsi cortesemente non ha niente a che vedere con la curiosità morbosa, il pettegolezzo, o il farsi i fatti degli altri. O meglio, per paradosso, è un farsi i fatti degli altri esattamente nell’ottica del rispetto per gli altri.
Da quando lavoro in questo posto qui in cui sto lavorando (il ragionamento fila, mi pare…), sono entrato nel tunnel dell’open space. Questa diavoleria americana di metter giù la gente al lavoro come tante marionette su uno smisurato palcoscenico, crea strani meccanismi interpersonali e prossemici.
Uno degli effetti open-spaziali più evidenti è proprio il venire a conoscenza di tante persone, rimanendo tuttavia tale familiarità a livelli molto superficiali (a parte i tre o quattro colleghi coi quali collabori in modo contiguo e diretto).
Ed è qui che scatta il campagnolismo più eclatante, dal quale in seconda battuta deriva anche l’impiccionaggio cortese.
Ho già trattato un’altra volta della differenza fra “tipo metropolitano” e “tipo provinciale”: ecco, quando sono immerso nell’open-space mi sento “metro-provinciale”, con ricadute campagnolesche frequenti.
Da una parte non me la sento di conoscere con più di tanto approfondimento le decine di persone che passano in rassegna tutti i giorni sulla croisette open-spaziale, troppa sarebbe l’energia psichica richiesta per l’improbo compito (e qui sta la componente da “tipo metropolitano”).
Ma nello stesso tempo non mi va nemmeno di vedermi passare davanti simulacri di umanità svuotata (e qui sta la componente da “tipo provinciale”).
Ciascuna persona è una storia che si muove e si auto-racconta, un libro rilegato sulle pagine dei giorni della propria vita. Trattare gli altri con superficialità e distacco non è sintomo di superiorità. Al contrario, è perdita continua di patrimoni inestimabili che dagli altri potenzialmente potremmo ricevere.
Anche la persona all’apparenza più insignificante, reca dentro di sé una scintilla di bellezza.
Prendete me, tanto per fare un eccellente esempio di insignificanza umana: se io fossi un altro e vedessi passare “me” per la strada, penserei: “…minchia che tipo sciapo e anonimo...però anche lui deve avere qualcosa di decente, dentro…”.
Come conciliare tuttavia una sana asocialità con il desiderio di continuare a “leggere” un po’ più nel profondo le persone con cui si viene in contatto?
Ecco che giunge in aiuto l’impicciata cortese.
Ci sono tanti mezzi per imbastire piccole indagini innocue, del tutto in buona fede.
Tipo fare mini-interviste a chi conosce un po’ meglio certe persone, oppure ricercare sull’elenco dei recapiti interni per capire di cosa si occupa il tale o la tal collega, e una volta colti alcuni indizi più corposi, in taluni casi si può approfondire sul web la conoscenza di certe persone che magari svolgono anche ruoli “sociali-pubblici” più evidenti (attività di volontariato, sportive, culturali, e così via).
Come dicevo, non si tratta di morbosità al fine di chissà quali intenti pettegoli. E’ solo il desiderio di sapere che quel tale che magari saluti appena al mattino, passando in mezzo alle postazioni più distanti, non è un automa, una sbiadita appendice del terminale video che ha di fronte, ma è una persona viva, è una storia, fatta di interessi ed entusiasmi, impensati fino a quando ci si mantiene alla conoscenza del suo semplice aspetto superficiale, colto al volo distrattamente.
Impicciarsi dei fatti altrui non è quindi solo e sempre un fatto di invadenza e maleducazione: mantenendo la cosa nel limite dell’urbanità e della discrezione più delicate, può anche assumere nobili sfumature, intenti di solidarietà umana soffusa e, oserei dire, di sintonia “felina” con il prossimo.
12 commenti:
se poi - fatte le dovute impicciate cortesi - arrivi pure ad allungare le mani, allora è P-E-R-F-E-T-T-O!
ehehhee...quello è un altro capitolo, Rose...lo tratterò nella sezione "impicciate cortesi finalizzate alle affinità suine" :-)))
grazie per la tua simpatia sempre luminosa e profumata :-)
ma che suine... un po' di sana umanità!!! :-) stai ispirato in questo periodo, pure questo mi è piaciuto di post
ehehehehhe...grazie Farly :-) oh...me lo avete detto voi, eh...la prossima volta che effettuo un tastaggio non autorizzato di deretan femmineo, schivando il manrovescio, esclamerò: Ferma, ferma!!!...sono autorizzato dalla Rose e dalla Farly!!!
ahahaha :-)
non ho detto che ti puoi lanciare in allungamento-di-mano non autorizzato, quello è ad altissimo rischio (se poi la signora ha fatto un corso di autodifesa...) ma se leggi bene i segnali non verbali forse non prendi sberle ;-)
è lì il mio problema, Farly: in quei casi sono un vero analfabeta, non so leggere per nulla :-)
Ci saranno scuole srearli di recupero per la materia in oggetto?
sì sì ... un bel corso di programmazione neuro-linguistica ad esempio :-)
qui in Campagnolandia fanno solo corsi del tipo: "Il dialetto locale è superiore agli idiomi ostili" :-)
hovia dice blogspot... sempre a proposito anche se in idioma ostile :-D
alla fine, ciò che si impone sempre come verità suprema è la saggezza blogspot con la sua universalità onnicomprensiva metadatale :-))))))
ahhahahahahh i corsi di campagnolandia, poveri noi...
ehehehee...perchè, Rose, non lo sapevi? Ne partirà giusto giusto uno nei prossimi giorni, un corso sul tema: "Età dell'oro: come rimpiangerla al meglio -
A corollario: pratiche di avversità applicata verso il moderno e contro la mania delle novità: vecchio è bello!!!"
:-D ahahahahahhaha
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