Non mi è passata del tutto la sindrome del silenzio, ma qualcosa oggi mi sento di dirla.
Un po’ come dopo un’influenza: magari non ho proprio quella gran fame, ma un brodino lo assaggio volentieri insieme a voi.
E nella miglior tradizione del mio blog, fraseggerò un po’ sul nulla.
Vi volevo parlare della segregazione visiva e di riflesso anche un po’ di Platone, il caro vecchio “spalle larghe”.
“Segregazione visiva”…uhm…in realtà non ricordo bene se si dice propriamente così. Forse era “aggregazione”. Boh…in ogni caso anche se fosse segregazione, nel significato di cui vi voglio parlare qui, non ha niente a che fare con robe angosciose di gente che costringe altra gente, per fortuna.
Si tratta invece di una curiosa modalità secondo la quale il nostro apparato visivo funziona, e che quando ne ho sentito parlare mi ha causato una mini-epifania di tipo scientistico-gioioso.
Forse voi lo sapevate già, ma io prima di allora non lo sapevo: la nostra vista non funziona per niente come una telecamera. Nel senso, non è che abbiamo dentro una sorta di pellicola che riceve e registra passivamente le immagini. Il risultato della visione è invece frutto di un lavorio di costruzione dell’immagine (se così si può dire), per ottenere la quale serve la collaborazione non solo degli organi più strettamente deputati (occhi e loro ammennicoli diretti), ma in misura cruciale contribuiscono anche le scelte del cervello, della mente.
Una conferma di tutto ciò è data dal fatto che la capacità di vedere la si acquisisce da piccoli, la si impara come impariamo a camminare e a parlare.
Sembra strano a dirsi così, perché ad ognuno risulta di aver sempre visto le cose, e questa fase di apprendimento non consta più di tanto fra i propri ricordi.
Ma c’è una spiacevole controprova “in negativo” a questo dato: i ciechi che ormai adulti guariscano dalla cecità, difficilmente riescono a recuperare una capacità di vedere “corretta”, proprio perché non hanno attraversato le fasi di perfezionamento del meccanismo visivo nel momento più propizio, ossia durante l’infanzia (se ci sono psicologi della percezione in “sola lettura”, spero non svengano per le mie eventuali castronerie, e nemmeno per il modo un po’ raffazzonato con cui espongo le cose).
Per farla breve: cosa c’entra la segregazione (o aggregazione, boh…) visiva? In pratica si tratta di quell’operazione innescata più che altro dal cervello quando dà il suo contributo alla visione. La mente raggruppa (segrega, aggrega) i tasselli visivi provenienti dalla manovalanza ottica (luci, colori, sagome e simili filtrati dalla retina) e li “classifica” come oggetti noti o familiari.
Alcune leggi che stanno dietro questo fenomeno sono state ben studiate dalla corrente psicologica della Gestalt [Max Wertheimer (1880-1943) e soci], con esempi pratici molto interessanti e anche divertenti.
Va beh, esclamerete a questo punto: detto questo, dove minchia stiamo andando a parare?
Stiamo andando a parare nel fatto che quando guido la macchina, soprattutto se di sera o al mattino presto, e in generale con scarsità di luce, io segrego di continuo gatti, piccoli di fagiano, baldi leprotti o improbabili passanti, tutti quanti rigorosamente inesistenti.
Non so se vi è mai successo, ma in quelle condizioni di scarsa luminosità mista al fattore accelerante della velocità, a me capita di scambiare (per un milionesimo di secondo, prima di capire la realtà effettiva della sagoma) una macchia nera sull’asfalto, per un incauto micio attraversante; un cartello incelofanato, per un omino piantato lì insensatamente ad un incrocio; un cespo d’erbacce, per le orecchie vispe di una lepre sul ciglio della strada, e così via.
In quei casi mi pare di capire che la mia mente dia vita a segregazioni erronee, stanti le condizioni di particolare rapidità con la quale è chiamata a sentenziare la sua classificazione dell’oggetto che sto vedendo.
Sì, bene, e allora? Rumoreggerete di nuovo voi…ci avevi promesso cultura, Platonate a spalle larghe, e invece va a finire come sempre con le solite gillipixate ristrette…
Vi spiego dunque cosa c’entra Platone (o come mi pare di capire che c’entri).
Ricordate cosa diceva Platone: l’apprendimento è come una sorta di ricordo, di riscoperta di un patrimonio di sapienza già presente in noi, e chissà come obliato nel momento della nascita o giù di lì.
Ecco, questa cosa della segregazione visiva, apprendendola dalla psicologia, è come se l’avessi “ricordata”, in quanto presente in me come esperienza di fatto praticamente da sempre.
In questo modo, concettualizzando le realtà che già possediamo, perché presenti in noi o nel mondo che ci circonda, è come se ci facessimo interpreti di una doppia appropriazione di esse.
Ed aggiungerei che è questo che provo quando incappo in un'epifania (sia essa "del lettore"(*) o di altra natura): pare di gustarsi il paradosso di ricordare una cosa saputa da sempre.
Insomma, per concludere: ve lo avevo detto che non ero guarito bene dalla sindrome del silenzio…però vi avevo promesso un brodino, ma mi sa che non è riuscito proprio bello grasso di cappone o di gallina ruspante, ma liscio liscio, di dado, e pure un po’ scarso.
----------------------
(*) = toh, neanche a farlo apposta, il tema di questo sproloquio gillipixico si intona bene al link delle origini del mio "andarperpensieri"...
E nella miglior tradizione del mio blog, fraseggerò un po’ sul nulla.
Vi volevo parlare della segregazione visiva e di riflesso anche un po’ di Platone, il caro vecchio “spalle larghe”.
“Segregazione visiva”…uhm…in realtà non ricordo bene se si dice propriamente così. Forse era “aggregazione”. Boh…in ogni caso anche se fosse segregazione, nel significato di cui vi voglio parlare qui, non ha niente a che fare con robe angosciose di gente che costringe altra gente, per fortuna.
Si tratta invece di una curiosa modalità secondo la quale il nostro apparato visivo funziona, e che quando ne ho sentito parlare mi ha causato una mini-epifania di tipo scientistico-gioioso.
Forse voi lo sapevate già, ma io prima di allora non lo sapevo: la nostra vista non funziona per niente come una telecamera. Nel senso, non è che abbiamo dentro una sorta di pellicola che riceve e registra passivamente le immagini. Il risultato della visione è invece frutto di un lavorio di costruzione dell’immagine (se così si può dire), per ottenere la quale serve la collaborazione non solo degli organi più strettamente deputati (occhi e loro ammennicoli diretti), ma in misura cruciale contribuiscono anche le scelte del cervello, della mente.
Una conferma di tutto ciò è data dal fatto che la capacità di vedere la si acquisisce da piccoli, la si impara come impariamo a camminare e a parlare.
Sembra strano a dirsi così, perché ad ognuno risulta di aver sempre visto le cose, e questa fase di apprendimento non consta più di tanto fra i propri ricordi.
Ma c’è una spiacevole controprova “in negativo” a questo dato: i ciechi che ormai adulti guariscano dalla cecità, difficilmente riescono a recuperare una capacità di vedere “corretta”, proprio perché non hanno attraversato le fasi di perfezionamento del meccanismo visivo nel momento più propizio, ossia durante l’infanzia (se ci sono psicologi della percezione in “sola lettura”, spero non svengano per le mie eventuali castronerie, e nemmeno per il modo un po’ raffazzonato con cui espongo le cose).
Per farla breve: cosa c’entra la segregazione (o aggregazione, boh…) visiva? In pratica si tratta di quell’operazione innescata più che altro dal cervello quando dà il suo contributo alla visione. La mente raggruppa (segrega, aggrega) i tasselli visivi provenienti dalla manovalanza ottica (luci, colori, sagome e simili filtrati dalla retina) e li “classifica” come oggetti noti o familiari.
Alcune leggi che stanno dietro questo fenomeno sono state ben studiate dalla corrente psicologica della Gestalt [Max Wertheimer (1880-1943) e soci], con esempi pratici molto interessanti e anche divertenti.
Va beh, esclamerete a questo punto: detto questo, dove minchia stiamo andando a parare?
Stiamo andando a parare nel fatto che quando guido la macchina, soprattutto se di sera o al mattino presto, e in generale con scarsità di luce, io segrego di continuo gatti, piccoli di fagiano, baldi leprotti o improbabili passanti, tutti quanti rigorosamente inesistenti.
Non so se vi è mai successo, ma in quelle condizioni di scarsa luminosità mista al fattore accelerante della velocità, a me capita di scambiare (per un milionesimo di secondo, prima di capire la realtà effettiva della sagoma) una macchia nera sull’asfalto, per un incauto micio attraversante; un cartello incelofanato, per un omino piantato lì insensatamente ad un incrocio; un cespo d’erbacce, per le orecchie vispe di una lepre sul ciglio della strada, e così via.
In quei casi mi pare di capire che la mia mente dia vita a segregazioni erronee, stanti le condizioni di particolare rapidità con la quale è chiamata a sentenziare la sua classificazione dell’oggetto che sto vedendo.
Sì, bene, e allora? Rumoreggerete di nuovo voi…ci avevi promesso cultura, Platonate a spalle larghe, e invece va a finire come sempre con le solite gillipixate ristrette…
Vi spiego dunque cosa c’entra Platone (o come mi pare di capire che c’entri).
Ricordate cosa diceva Platone: l’apprendimento è come una sorta di ricordo, di riscoperta di un patrimonio di sapienza già presente in noi, e chissà come obliato nel momento della nascita o giù di lì.
Ecco, questa cosa della segregazione visiva, apprendendola dalla psicologia, è come se l’avessi “ricordata”, in quanto presente in me come esperienza di fatto praticamente da sempre.
In questo modo, concettualizzando le realtà che già possediamo, perché presenti in noi o nel mondo che ci circonda, è come se ci facessimo interpreti di una doppia appropriazione di esse.
Ed aggiungerei che è questo che provo quando incappo in un'epifania (sia essa "del lettore"(*) o di altra natura): pare di gustarsi il paradosso di ricordare una cosa saputa da sempre.
Insomma, per concludere: ve lo avevo detto che non ero guarito bene dalla sindrome del silenzio…però vi avevo promesso un brodino, ma mi sa che non è riuscito proprio bello grasso di cappone o di gallina ruspante, ma liscio liscio, di dado, e pure un po’ scarso.
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(*) = toh, neanche a farlo apposta, il tema di questo sproloquio gillipixico si intona bene al link delle origini del mio "andarperpensieri"...
7 commenti:
altro che dado hai fatto un brodo misto, un pizzico di psicocafè in salsa gillipixel :-) sarebbe da analizzare cosa fa la mente in questi momenti di segregazione-aggregazione, uhmm mi sta venendo un discorso lungo in mente rimando:-) chelm dice infatti blogspot
eheheeheheh...grazie Farly, sei sempre super-carina iper-gentile
:-)
e tra l'altro blogspot si rivela sempre un oracolo incredibile: chelm :-) hahahahah...bellissimo...
spero che quel discorso lungo diventi presto oggetto di un tuo nuovo scrittino falocchesco :-)
aggiungo solo 2 cose:
1) stavolta sono particolarmente fiero del mio montaggio col micio acrobata davanti ai sommi capoccioni greci :-)
2) spesso faccio citazioni buffesche che magari non vengono colte, andando "sprecate" :-)
...così, volevo precisare che il titolo "Segregator di mici e di costumi" è un parafrasar cazzeggiando di un celebre verso dell'opera lirica Andrea Chenier (di Umberto Giordano), che più seriosamente suona così: "Sovvertitor di popoli e di costumi" :-)
eh che vuoi fare, sei troppo colto per noi miseri mortali ;-) io ad esempio l'opera non la conosco quasi, anche perchè mi annoio presto davanti a spettacoli costruiti tutti su diminutivi e superlativi :-D
ahahhahahah :-) l'opera la conosco un po', non è male, ma la cosa che davvero anche io trovo ridicula (e sottolineo la "u" :-) sono le prose antiquate e polverose...quelle sì, sono insopportabili...però certe melodie...minchia!!!...tanto per esprimersi con un giudizo da melodramma :-)
ah...un'idea, Farly: prova a sentirti "Recondita armonia" dalla Tosca di Puccini, oppure "Una furtiva lagrima" dall'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti, oppure ancora "Voi che sapete" dalle Nozze di Figaro di Mozart...lascia perdere la prosa antiquata e concentrati sulla musica... :-) poi mi dici cosa te ne pare...se ti va e se hai tempo, of course :-)
caro gilly, quelle arie le conosco e le trovo belle davvero, il mio problema è reggere un'intera opera tutta insieme :-)
ehhehhee...ah beh, non avevo capito, Farly...se è per quello è lo stesso mio problema...ma sarebbe un discorso un po' lungo da fare, e magari prossimamente potrei utilizzarlo per uno scrittino :-)
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