Quando sto a lungo davanti al pc, la mia mente, già fortemente debilitata e provata di sua natura, si “in-compiuterisce”.
Una volta lessi di una “metaforizzazione-similitudine” molto efficace, riguardante gli oggetti coi quali, nel corso della sua millenaria avventura, l’uomo si è circondato per sfangarla un po’ meno duramente in questa vitaccia.
Mi riferisco a tutte le invenzioni, gli attrezzi, i marchingegni e le diavolerie escogitate per portare all’esterno di sé capacità o facoltà già insite nella costituzione psico-fisica umana, amplificandone gli effetti.
Quella metafora infatti parlava giusto a proposito di “protesi”.
Il coltello si può considerare allora come protesi dei denti; la zappa, come protesi delle mani e delle unghie; il vestiario come protesi della pelle (e andando ancora più verso i nostri bisnonni primitivi, come protesi del folto pelo di produzione propria che potevamo sfoggiare quando avevamo ancora la coda); gli occhiali e ammennicoli ottici vari, come protesi della vista; la scrittura, come protesi della parola; e via via “protesizzando” di questo passo, si può arrivare sino al calcolatore elettronico come protesi del nostro pensiero.
Fin qui il discorso è piuttosto elegante e suggestivo.
Non so a voi, ma a me, così, anche come immagine di per sé, fa un certo effetto pensare alle mie unghie che si trasferiscono nella zappa e diventano più potenti; alla mia voce che si adagia fra le lettere scritte e lì diventa cosa ben più elegante e nobile di quanto non sia la mia loquela zoppicante; oppure ancora, al mio pensiero che fluisce fra i bit e i chip che riecheggiano fra i RAM (…e dopo questa, se i tre/terzi dei sei/mezzi di lettori che ho, abbandonassero sdegnati la lettura, me lo sarò solo meritato…).
Fin qui tutto bene insomma, tutto suggestivo e metaforico e compagnia bella come si deve.
La faccenda strampalata succede tuttavia quando la protesi ti ritorna indietro come un boomerang e si mette a dettare lei le regole alla “fonte umana” da cui si era distaccata. Per fortuna non mi sto riferendo al caso in cui la zappa ti ritorna sulle unghie, ma come dicevo in apertura, parlo di quando, dopo un prolungato uso del pc, il “ragionar computerese” ti si insinua fra le sinapsi e le va a rimodellare.
Allora succedono cose buffe, che possono specificarsi con svariate modalità.
Per farmi capire meglio citerò solo due esempi più “universali”, perché legati a due comandi molto usuali e diffusi in tutte le applicazioni windows: il pennellino “applica proprietà” e la freccetta azzurrina arrotolata dell’undo (“annulla digitazione”).
Nel pennellino sono incappato proprio di recente.
Causa una fugace visione in corridoio, ho scambiato la collega di lavoro X, per la collega Y, molto somigliante alla prima. Senza motivo di predilezione particolare per l’una o per l’altra, la mia mente, tratta in inganno sul momento, era ormai convinta di vedere Y. Una volta visto meglio che si trattava invece di X, mi è scappato irrefrenabile l’istinto di andare a pescare il pennellino nella toolbar del mio pensiero, per applicare le caratteristiche di Y ad X.
Il bello è poi che, dopo tali “epifanie informatiche”, quando quasi all’istante ti sei ripreso dal lapsus interiore, ti senti pure straniato e anche soffusamente idiota.
L’undo, volendo, è ancora più subdolo e pericoloso. La salvifica freccettina svirgolata la ricerco infatti spesso fra le mie opzioni esistenziali ogni volta che faccio una qualche cazz…scempiaggin…ata, di qualsivoglia natura o gravità.
Qui la delusione è molto più cocente, perché ti ritrovi immancabilmente solo con la tua cazz…sciempiaggin…ata. Ti accorgi che non era una “digitazione”. Tanto meno “unduabile”.
E’ una sensazione molto parente di quelle provate al risveglio da certi sogni, mentre nella mente ti risuona la sciocca ma solida considerazione che se la vita fosse uno schermo di pc, forse le cose sarebbero meno difficili.
Una volta lessi di una “metaforizzazione-similitudine” molto efficace, riguardante gli oggetti coi quali, nel corso della sua millenaria avventura, l’uomo si è circondato per sfangarla un po’ meno duramente in questa vitaccia.
Mi riferisco a tutte le invenzioni, gli attrezzi, i marchingegni e le diavolerie escogitate per portare all’esterno di sé capacità o facoltà già insite nella costituzione psico-fisica umana, amplificandone gli effetti.
Quella metafora infatti parlava giusto a proposito di “protesi”.
Il coltello si può considerare allora come protesi dei denti; la zappa, come protesi delle mani e delle unghie; il vestiario come protesi della pelle (e andando ancora più verso i nostri bisnonni primitivi, come protesi del folto pelo di produzione propria che potevamo sfoggiare quando avevamo ancora la coda); gli occhiali e ammennicoli ottici vari, come protesi della vista; la scrittura, come protesi della parola; e via via “protesizzando” di questo passo, si può arrivare sino al calcolatore elettronico come protesi del nostro pensiero.
Fin qui il discorso è piuttosto elegante e suggestivo.
Non so a voi, ma a me, così, anche come immagine di per sé, fa un certo effetto pensare alle mie unghie che si trasferiscono nella zappa e diventano più potenti; alla mia voce che si adagia fra le lettere scritte e lì diventa cosa ben più elegante e nobile di quanto non sia la mia loquela zoppicante; oppure ancora, al mio pensiero che fluisce fra i bit e i chip che riecheggiano fra i RAM (…e dopo questa, se i tre/terzi dei sei/mezzi di lettori che ho, abbandonassero sdegnati la lettura, me lo sarò solo meritato…).
Fin qui tutto bene insomma, tutto suggestivo e metaforico e compagnia bella come si deve.
La faccenda strampalata succede tuttavia quando la protesi ti ritorna indietro come un boomerang e si mette a dettare lei le regole alla “fonte umana” da cui si era distaccata. Per fortuna non mi sto riferendo al caso in cui la zappa ti ritorna sulle unghie, ma come dicevo in apertura, parlo di quando, dopo un prolungato uso del pc, il “ragionar computerese” ti si insinua fra le sinapsi e le va a rimodellare.
Allora succedono cose buffe, che possono specificarsi con svariate modalità.
Per farmi capire meglio citerò solo due esempi più “universali”, perché legati a due comandi molto usuali e diffusi in tutte le applicazioni windows: il pennellino “applica proprietà” e la freccetta azzurrina arrotolata dell’undo (“annulla digitazione”).
Nel pennellino sono incappato proprio di recente.
Causa una fugace visione in corridoio, ho scambiato la collega di lavoro X, per la collega Y, molto somigliante alla prima. Senza motivo di predilezione particolare per l’una o per l’altra, la mia mente, tratta in inganno sul momento, era ormai convinta di vedere Y. Una volta visto meglio che si trattava invece di X, mi è scappato irrefrenabile l’istinto di andare a pescare il pennellino nella toolbar del mio pensiero, per applicare le caratteristiche di Y ad X.
Il bello è poi che, dopo tali “epifanie informatiche”, quando quasi all’istante ti sei ripreso dal lapsus interiore, ti senti pure straniato e anche soffusamente idiota.
L’undo, volendo, è ancora più subdolo e pericoloso. La salvifica freccettina svirgolata la ricerco infatti spesso fra le mie opzioni esistenziali ogni volta che faccio una qualche cazz…scempiaggin…ata, di qualsivoglia natura o gravità.
Qui la delusione è molto più cocente, perché ti ritrovi immancabilmente solo con la tua cazz…sciempiaggin…ata. Ti accorgi che non era una “digitazione”. Tanto meno “unduabile”.
E’ una sensazione molto parente di quelle provate al risveglio da certi sogni, mentre nella mente ti risuona la sciocca ma solida considerazione che se la vita fosse uno schermo di pc, forse le cose sarebbero meno difficili.
12 commenti:
Carino! A me succede anche il contrario, però. Tipo che mi viene da usare il cursore del mouse come stuzzicadenti... :-)
ahahahha :-) ti va ancora bene se la maybeina non si mette a rincorrere il mouse: allora sì che sarebbe vero delirio bestiin-informatico :-)
ce la vedo maybe che gioca col mouse!! ma non con il maus... a parte le mi di cazz..., propongo un punto di vista diverso, almeno per me salvifico ed estrapolato dall'uso della spada secondo musashi etc. ovvero scuola giapponese: l'oggetto come *estensione* di sé, la spada come estensione della mano, la tastiera come estensione del mio pensiero... vedi un po' se così va meglio... :-)
interessante, Farly...estensione è molto meglio di protesi e anche se non si direbbe, concettualmente dà più il senso di qualità (laddove protesi era invece piuttosto quantitativo)...
il problema è che si verificano poi anche molte distorsioni: ad es., ogni mattina per strada vedo sconfortanti esempi di automobili come doppie estensioni: di teste, e di di cazz..:-)
tutti gli oggetti possono essere estensione di chi li usa, ergo l'auto è estensione di chi la guida, ora, come dissi ad un signore alla guida di macchinone e che quasi mi investiva, a volte viene usata come estensione di (o confusa con) la parte sbagliata del corpo... ma proseguendo nell'analisi, se uno è testa-di-cazzo, l'auto è, per definizione, estensione di questa sua natura-parte, da cui le note auto TDC marca molto diffusa a Roma ad esempio, sopratutto all'ora di punta.
verissimo, Farly...è per quello che la "TDC Motors" non teme recessione di sorta :-)
Tornando un momento serio: è forte questa metafora dell'estensione, comporta anche una quota di responsabilità e di potenzialità di trasmettere cose belle al di fuori di sè...ci sarebbe poi anche un'implicazione "a luci rosse", ma magari questa non è la sede opportuna per disputarne :-)
gilly c'è sempre un'implicazione a luci rosse, gialle, verdi, blu... se si parla di estensione di sé si estende tutto di sé... quindi se ne può parlare senza manco dirlo :-) estensione implica responsabilità e capacità d'uso, ampliare la capacità è un po' questa l'idea di base, tant'è che quando usi una katana, ti si dice di respirarci dentro, di respirare nelle braccia e quindi nella spada. a volte io respiro nella macchina fotografica, e spesso quelle sono le foto migliori ;-)
hai ragione Farly...sono sempre il solito occidentalazzo ottuso :-) ribadisco che mi piace un sacco questo concetto dell'estendersi, e anche questa cosa del "respiare dentro" è bellissima...grazie...
è molto evocativa, mi piace proprio...il respiro poi è una nostra estensione particolarissima, perchè va e ritorna a noi, in un certo senso...molto ricco di poesia, volendo...
Ora ritorno occidentalazzo e dico però: com'è che quando respiro io nella macchina fotografica, lungi dal fare foto più belle, mi si appanna il mirino? :-)
perchè invece di pensarla come estensione dei tuoi occhi, la scosti, la guardi e ci aliti sopra :-D
scabil dice blogspot!
ahahahahahh è bellissimo leggervi,o miei cari compari di cazzeggio, soprattutto da brilli....
rose che aspetti a unirti? ;-) fulopha :)
exuveras :-)))
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