domenica 9 agosto 2009

La visita del popolo degli uomini

I Pellirosse son tornati a farmi visita.
Questo argomento mi appassiona da parecchio tempo.
Però non ho mai pianificato in modo ordinato una ricerca sistematica o una serie di letture in merito. D'accordo, questo soprattutto a causa della mia pigrizia proverbiale. Ma anche perchè in generale credo che i bei libri "ti vengano incontro" quando lo vogliono loro.
Con gli indiani d'America è successo alcune volte.
In fondo non ho nemmeno letto tanto sull'argomento, ma ogni volta sempre cose piuttosto intense.
Il primo testo fondamentale lo incontrai da ragazzino: Dee Brown, "Seppellite il mio cuore a Wounded Knee". Poi venne "Sul sentiero di guerra", una raccolta di vive testimonianze dei protagonisti di quella tragica avventura definitiva. E dopo ancora, "Gli spiriti non dimenticano", la bellissima biografia del leggendario capo Lakota Sioux "Cavallo pazzo", scritta da Vittori Zucconi.
A questo libro stupendo è legato fra l'altro un episodio curioso. Giunto alla trecento e settantunesima pagina delle 375 dell'intera narrazione, la trovai completamente bianca (come potete arguire dalla maldestra foto-elaborazione che ho messo qui sopra).

Quando mi successe questo piccolo inconveniente librario, lì per lì, la tentazione di scendere sul piede di guerra ed affrontare a viso aperto la terribile tribù dei Feltrinelli, fu grande.
Ma poi considerai la cosa come un segno mandato dal Grande Spirito: era un invito a mantenere vivo il mio interesse per il "Popolo degli uomini", continuando a scrivere io stesso quella pagina lasciata in bianco e andandola a riempire con nuove "letture pellirosse".

Quando si parla di indiani d'America, bisogna innanzitutto cautelarsi riguardo ad un'altra grande tentazione. Infatti, lasciarsi lusingare da una idealizzazione pervasiva di tutto l'argomento, è un attimo. Ci vuole un niente a dare inizio al festival dell'«età dell'oro», parlando di Pellirosse, ci si mette un nonnulla a dotarsi di tutto punto dell'armamentario completo della nostalgia per il regno perduto di una vagheggiata Arcadia del «buon selvaggio», con tutti gli annessi e connessi.
Non è questa la mia intenzione.
Ogni epoca storica ha avuto ed ha i propri significati.
La cosa più saggia da fare, a mio modesto parere, è tentare di mettersi dinnanzi ai vari "evi" presi in esame con la mente il più possibile sgombra da preconcetti (anche se alcuni residui inevitabilmente rimarranno sempre in ciascuno di noi).
Mettersi in ascolto con lo scopo primario di tentare di comprendere le complessità del flusso storico: ecco, già il diporsi in questo atteggiamento mentale è un buon passo d'inizio per affrontare la conoscenza di epoche e di popoli.

Non solo spazzare il campo da ogni sorta di pregiudizio, dunque, ma addirittura mettersi nell'ottica che un giudizio definitivo non lo si vorrà avere mai. Una posizione del tutto ideale, ovvio, perchè l'istinto di giudicare è insito nella natura umana stessa. Ma pur sempre un ideale che va tenuto costantemente dinnanzi quando si affronta ogni atto del conoscere.
Conoscere nuove idee, conoscere nuove persone, conoscere nuovi luoghi, conoscere nuovi sentimenti: sempre tenendo presente che non li si conoscerà mai sino in fondo, perchè ciascuna di queste cose è un'entità complessa, in evoluzione, in progressione, ed alla fine della fiera, infinita.
Compresi i fatti storici del passato lontano: la loro comprensione non è mai definitiva. Anzi, più tempo si frappone all'urgenza ed alla passionalità bruciante dei fatti vissuti in presa diretta, più l'equilibrio e la capacità di dipanare la matassa di cause e concause storiche si perfezionano.

Ecco insomma, cari amici: l'andar per pensieri è pratica eccitante e foriera di divertimento gratuito, ma come vedete può condurre facilmente a partir per la tangente.
Dovevo parlare di Pellirosse ed ho finito per disquisire di equilibri conoscitivi. Per cui, al momento sospendo qui la mia trattazione e vi rimando ad una seconda puntata sull'argomento indiani d'America.
Non senza avervi anticipato prima che la recente visita fattami dai Pellirosse è dovuta proprio all'elegante tometto che potete osservare sempre nella foto: «Storia degli indiani d'America» di Philippe Jacquin.




5 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

ciao gatto curioso :-) è vero che "gli indiani d'america" sono un tema con il quale facilmente si scivola nell'idealizzazione-proiezione. i miei amici ex-hippies americani a volte mi fanno sbellicare con le loro passioni "indiane"... ciò non toglie che è stata una delle civiltà non-tecnologiche più affascinanti che ho incontrato. facevano una vita durissima, ma con una grandissima dignità e, per noi occidentali, con una carica di poesia enorme. aspetto il seguito. baci farlocchi

Yossarian ha detto...

Proprio un bel post Gilli. Io AMO FOLLEMENTE i pellirosse.

Ho letto il canonico 'Alce Nero parla', oltre a 'Seppellite il mio cuore a Wounded Knee', piu' un volume di non mi ricordo piu'di chi, intitolato 'gli indiani d'America' e altri vari et eventuali.

Ti segnalo inoltre due libri fantastici che ho tradotto per Piemme (io tanto non becco una lira, non ti preoccupare. Va tutto agli autori e alla casa editrice), intitolati: 'La Profezia del Lupo' e 'Il Popolo delle Nebbie'.

Li hanno scritti due autorevoli etnologi americani e sono ambientati nell'America precedente all'arrivo dei bianchi.

Il primo e' un giallo e non scherzo un cazzo, E' UN GIALLO con delitto e una rudimentale 'prova del DNA' che permettera' di scoprire il colpevole, e il secondo una storia un po' mistica ma non sbroc, di guerre e potere.

Il tutto senza nessuna compiacenza o vittimismo 'hippy-e' la loro cccultura': il che li rende ancora piu' belli e piu' attuali. Nemmeno una traccia di sbrocchismo.

Il mio popolo preferito sono gli algonchini che vivevano sul fiume Potomac e lungo la baia di Chesapeake.

Chapeau al post.

PS la cosa piu' bella delle due traduzioni fu che mi diedero mano libera per reinventare i nomi dei protagonisti in italiano.

Sono ancora fierissimo di aver tradotto fra gli altri, il nome del capoguerriero 'Nine Killer', perche' in un singolo combattimento aveva ucciso nove nemici', con l'italiano: 'Nove Coltelli'.

Con gli altri mi sbizzarii ancora di piu' e fu fantastico.
Credo che Alce Nero non avrebbe avuto nulla da obiettare sulla mia traduzione dei nomi.

:-)

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ehehheeh, proprio così, Farly...infatti l'intenzione era quella di entrare subito a capo fitto nel tema, ma poi, precisa che ti preciso, sottilizza che ti sottilizzo, premetti che ti precauziono :-) ho finito per dilungarmi in questo prologhetto lunghetto (notare il vezzeggiativo preferito al diminutivo: ormai mi sono rovinato fra vaccini e pomate :-DDD

Baci ricambiati e spero di essere all'altezza con la seconda puntata, anche se non so bene quando riesco a farla :-)

Gillipixel ha detto...

@->Yossarian: i tuoi complimenti mi lusingano oltremodo, Yoss...gongolo come una nutria messa di fronte a 10 km. di argine da perforare come un groviera :-) grazie davvero, troppo gentile...e grazie anche per gli interessanti suggerimenti di letture...
E complimenti ancora per la tua attività di traduttore: di "Nove coltelli" puoi andare fiero a pieno titolo, proprio una scelta felice...
credo (o perlomeno spero)che ti piacerà anche la seconda puntata che ho in mente di scrivere, non tanto per millantare chissà quale mia bravura :-) ma perchè in questo libro che menziono ho trovato spunti veramente notevoli per riflettere sui Pellirosse...come dicevo a Farly però, devo trovare il tempo nei prossimi dì :-)
Thanks a lot, my friend :-)

Anonimo ha detto...

Fermo restando su ciò che si dice sul mito del buon selvaggio, non potendo in questo spazio fare delle lunghe considerazioni, rimando a dei link esterni. Qui dico soltanto - in modo "grezzo" e avvalendomi di un "parallelismo" - che magari 20 anni fa la situazione economico/lavorativa non era un granché, ma di sicuro era 20 volte meglio di adesso e, quindi, 20 volte più preferibile.
Il senso del limite, della misura, il sapersi contenere e fermare, questi sono alcuni dei punti chiave. Una cosa è, ad esempio, tagliare la legna necessaria per scaldarsi e altro è disboscare foreste, una cosa, per quanto da rigettare, è uccidere un nemico in battaglia e altra cosa è massacrare persone inermi.
Preciso che le mie parole non sono "contro", e spero lo si comprenda.
- Articolo di Francesco Lamendola
- Recensione di un libro
- Un post nel mio blog
- Un mio articolo su Reset