martedì 24 novembre 2009

Narrativa edile


Oggi vi parlo di un libro già citato qualche puntata fa: «Kafka sulla spiaggia», del romanziere giapponese Murakami Haruki.
Non ho intenzione tuttavia di scrivere una recensione.
Per quella bisogna essere tagliati e poi, nel caso di opere di narrativa, si deve essere in grado di raccontare quel che basta di trama perché la recensione risulti completa, pur senza andare ad intaccare i passaggi fondanti della storia, in modo da non guastare il piacere della lettura. Sinceramente, non mi sento all'altezza di un'operazione del genere, la lascio fare a chi di dovere.
Anzi, cercherò di invertire addirittura i termini della tenzone: voglio provare a trattare di un romanzo senza fare il benché minimo accenno a trama, personaggi, ambientazioni, ecc.
Una piccola sfida.

Quella che volevo scrivere io è insomma una “pre-censione”.
Per re-censire bisogna addentrarsi nel vivo della “componente tangibile” di un libro, ossia quella serie di emozioni, suggestioni, spunti riflessivi, risultanti direttamente dalla lettura. Per pre-censire ci si può invece appostare al di fuori del libro, anzi appena sopra. Meglio ancora se abbastanza al di sopra. Sorvolarlo a volo d'uccello, guardandolo a distanza per poterne cogliere le strutture essenziali.
Invece di “pre-censione” dovrà dunque chiamarsi “supra-censione”? Può darsi.
La cosa interessante è che tutto questo mi offre l'occasione di riprendere in qualche modo il discorso relativo ai concetti di "forma" e "sostanza".

Paragoniamo per un momento il romanzo ad un edificio.
Entrambi sono percorsi da linee di forza sotterranee, interne, che ne costituiscono la struttura nascosta. Nel caso dell'edificio forse il concetto è più immediato da cogliere. Nell'«intimo» di pilastri, travi, volte, arcate, si distribuiscono i pesi e i contrappesi che vanno a costituire la “macchina statica” di tutto l'insieme. Come una circolazione sanguigna di forze in gioco, che scorrono lungo le venature della costruzione.

Entrando in un edificio, questo suo flusso dinamico interiore è proprio l'ultimo aspetto al quale un visitatore andrebbe a pensare. Passando di stanza in stanza, salendo le scale, soggiornando nei suoi locali, l'unica cosa che ci interessa fare è “leggerne la forma”. Vogliamo provare comfort, senso di rifugio, di protezione, di domesticità. Tutto, tranne sapere se ad esempio, i mattoni di un arcata sotto l'intonaco si stanno spingendo a vicenda come dei dannati per fare stare in piedi la baracca, oppure se una trave armata ci sta dando dentro di buona lena per accogliere lungo i tondini di ferro della sua anima il peso delle persone che si muovono all'interno.

In un romanzo succede una cosa simile.
Però per questa volta, con il libro di Murakami Haruki, non cercherò di appurare se le stanze siano ben illuminate e cromaticamente equilibrate, se la temperatura risulti gradevole e ponderata rispetto alle modificazioni climatiche, o se la ventilazione sia dosata nella maniera giusta. Proverò invece proprio ad occuparmi della sua circolazione sanguigna strutturale, delle forze narrative che scorrono all'interno dell'opera.
La mia “pre-censione-supra-censione” dovrà chiamarsi allora “intra-censione”? Boh, fate un po' voi. A questo punto chiamatela come meglio vi aggrada, purché non la chiamate “svacca-censione”.

«Kafka sulla spiaggia» è veramente un buon libro, anche se non il miglior Murakami che abbia letto. I miei preferiti rimangono «La ragazza dello Sputnik», «Dance, dance, dance», «Tokyo blues – Norwegian wood» e «L'uccello che girava le viti del mondo». Ma «Kafka sulla spiaggia» è comunque un gran buon Murakami.

L'impianto narrativo può sembrare sulle prime scontato, uno stratagemma da due soldi, per di più vecchio come l'arte del raccontare, ossia vecchio come l’uomo stesso. La storia infatti si dipana intorno ad alcuni gruppetti di personaggi, che inseguono le loro vicende a turno lungo i vari capitoli. In un capitolo procede una vicenda, nel successivo una seconda, e così via, a capitoli alterni.
Solo un narratore di classe può permettersi questa tecnica. Senza il completo controllo del mezzo, si rischia d'impantanarsi in un modesto “effetto fuilletton”, dando la sensazione di un costrutto artificioso. Un altro grande che sa padroneggiare questa procedura narrante in modo eccelso è il turco Orhan Pamuk (nobel letteratura 2006), ad esempio in «Il mio nome è rosso», romanzo di una bellezza ponderosa e densissima.
In «Kafka sulla spiaggia» l’alternanza della vicenda su capitoli sfalsati si dipana con la stessa naturalezza del frangersi delle onde sulla battigia: l’impennarsi dell’attesa sulla cresta di un flutto, si placa momentaneamente sul lungo distendersi del successivo, e così via in un coinvolgente crescendo globale.

Non a caso la naturalezza è l’habitat della poetica di Murakami Haruki. Questa constatazione mi offre lo spunto per introdurre un altro pilastro narrativo di «Kafka sulla spiaggia».
Forse l’elemento più straordinario del romanzo è la sua capacità di raccontare vicende totalmente improbabili e fantastiche, esponendole con la medesima “presa sul reale” che possono avere i fatti più minimali e quotidiani. Questa è la cosa straordinaria di Murakami: sa infondere la stessa sorta di bizzarra verosimiglianza sia che ti stia magari raccontando di un personaggio intento a bere una tazza di te, sia che allo stesso personaggio capiti di imbattersi in un fantasma.
Ed in questo risiede anche l’essenza di tutto il romanzo: pur non facendo quasi mai riferimento a Kafka (se non attraverso un puro nome, sfumato su una lieve invenzione dal sapore aneddotico), qui come mai in altri suoi scritti, Murakami trova felicemente la sua originale via nipponica alla «kafkità» (se mi passate l’orrendo termine).
Non si tratta chiaramente di un banale “fare il verso” al maestro boemo. Tutt’altro. Murakami dà invece dimostrazione di aver assorbito appieno la lezione di Franz Kafka e di averla rigenerata in una sua personale trasposizione.

L’operazione, nella dimensione narrativa scaturita da «Kafka sulla spiaggia», gli riesce facendo diventare pressoché superfluo il concetto stesso di verosimiglianza. Questo può accadere perché il mondo interiore dei personaggi e l’ambientazione esterna nella quale si muovono, tendono praticamente a coincidere, riflettendosi a vicenda. Ma la cosa avviene anche qui non in modo ovvio, non a livello superficiale. Per coglierla infatti è necessario scendere alle quote profonde delle forze costruttive che scorrono nell’intimo dell’edificio romanzesco.

Concludo con il solo, minimale, accenno ai contenuti del libro che mi concedo in questa “pre-supra-intra-censione”.
Non sarebbe necessario all’economia del discorso che volevo fare. Se introduco quest’ultima postilla è solo in forma di avvertimento ai lettori dall’«animo felino» che vorranno avventurarsi in questo bellissimo romanzo. Ad un certo punto della lettura, vi imbatterete in un capitolo veramente duro da affrontare per un umano dotato di vibrisse “honoris causa”. Io stesso, arrivato a questo passaggio, mi sono dovuto tenere aggrappato forte ai bordi del libro, quasi fossero le maniglie di un ottovolante in caduta frenetica verso un baratro di paura.
La sola cosa che posso dirvi è: tenete duro che ne vale la pena. Proseguendo vi accorgerete che non erano scene gratuite e che in qualche modo il vostro “felinismo” sarà risarcito. E trattandosi di uno scrittore da sempre fedele al culto del gatto in tutte le sue forme (basta dare un’occhiata al suo sito), un po’ me l’aspettavo.

6 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

caro è un mese che cerco di andare in libreria a comprarmelo 'sto libro, adesso friggo: ci devo riuscireeeee... bel post architettonico-letterario. solo su pamhuk non concordo, secondo me il suo modo di alternare le storie è troppo slegato e vagamente prolisso, finisci con il romperti ... ma si sa che la lettura dipende dall'attimo, magari se leggevo il mio nome è rosso in un momento diverso mi sarebbe piaciuto da matti :-D baci

farlocca farlocchissima ha detto...

dimenticavo: bella foto :-)

Gillipixel ha detto...

@->Farly: eheheh :-) concordo, Farly, il momento in cui incontri un libro è fondamentale...lo stato d'animo che stai vivendo ti favorisce oppure ti ostacola nella fusione ottimale col testo :-)
Svelo un segreto di Pulcinella relativo a ciò che ho detto di "Il mio nome è Rosso" :-)
Dove parlo di "bellezza ponderosa e densissima" va letto pure qui in senso edile = "mattone" :-D
Però, come ho detto più volte anche ad altri miei amici, non mi sono mai spiegato come mai questa pesantezza pamhukiana in realtà mi abbia affascinato a manetta :-)
L'altro libro di Pamhuk che ho letto, mi ha fatto lo stesso effetto...si tratta di "Neve"...una roba di una pesantezza micidiale, ma che mi ha avvolto nelle sue spire narrative fascinose :-)

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ah...grazie, Farly, troppo carina :-) sono i miei occhiali, il mio libro e le mie foglie (purtroppo...azz#!*§##...) :-D

Vanessa Valentine ha detto...

Ottima analisi, direi, Gilli.
Devo ammettere che mi sono un po' piantata lì con la lettura del suddetto, causa anche la mia bulimia libresca che mi spinge a cominciarne dieci e tutti insieme."Kafka sulla spiaggia" è particolare ma in effetti il nostro era più in forma, su altri lidi.
E le parti che ti hanno dato brividi e raccapriccio hanno bloccato anche me, gattofila spinta. La Magnifica, poi, il libro voleva incendiarlo (no, scherzo, però c'è rimasta male).
Quindi, penso che mi metterò sotto e lo finirò-
La felinità lo esige.;)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: grazie, Vale :-)
riguardo all'abitudine di iniziare dieci libri all'unisono, non preoccuparti, è peculiarità tipica di noi pigri bulimici letterari :-)
come la capisco la Magnifica: confesso che sono stato lì lì per dare fuoco anche io, non solo a questo libro, ma a tutti i Murakami che ho in casa :-)
Minchia se ci si rimane male! Però non so spiegarti bene come, alla fine vale la pena tenere duro...boh :-)
Ciao, saluti anche alla Magnifica e al Glorioso (se ricordo bene :-)