e quanno canta, l'eco s'arisente.
Si è vero, fiume, che tu dai la pace,
fiume affatato, fammela trova'…»
“Er barcarolo romano” – Canto popolare (…romano)
Or non è guari, leggiadri viandanti per pensieri, che vi frangi-fluttuai le orchidee, narrandovi delle mie scorribande mentali fra sofisticherie di “surrealtà” semantica, scaturite da graffitanti zotichezze urbane.
Oggi ho due novità sul tema.
Per prima cosa, subito a seguire, sono in grado di recarvi testimonianza tangibile della fonte ispirante di quella mia scorribanda fra le bizzarrie grafo-politane.
In seconda convocazione, debbo poi rendervi edotti di un’altra mia avventura psico-verbale negli aleatori anfratti della villania cittadina messa per iscritto.
La cosa più buffa è che stavolta il misfatto è successo in ambito “non-graffitesco”. Questo rende l’episodio ancor più prezioso (ooohhh…stupore a pagamento!...).
Perché se trovar parolacce nel settore dei muri istoriati non è certo cosa rara, cogliere invece il fior del turpiloquio nel verde prato della semi-ufficialità, è proprio notizia da classico cane morso da un passante.
Non molti passi più avanti rispetto al marciapiede ormai famigerato per la sua iscrizione honoris causa alla «Federazione Italiana Giochi Amatoriali», incontro ogni mattina un distributore.
Le sorti dell’«eroga-benza» sono segnate da tempo. Essendo piazzato sul limitar dell’agglomerato urbano, per ragioni di incolumità media del cittadino medio, è stato destinato allo smantellamento, come capitato ormai a decine e decine di suoi consimili.
Le procedure però debbono essere andate per le lunghe. Si saranno messe di mezzo “Brown-Peace” o “Italia Vostra”, note associazioni inquinantiste, strenuamente impegnate nella battaglia per ricoprire di cacca le ultime zone naturali rimaste incontaminate.
Sta di fatto che il luogo in questione langue ormai da mesi in quel melanconico e limbico distacco che solitamente si frappone fra un ordinario periodo di operosa attività e la sana spianata caterpillarica risolutiva.
Non so se anche a voi fa lo stesso effetto.
Ma a me, quando mi capita di vedere una componente della modernità, inserita nel suo contorno di modernità, e tuttavia destituita del dinamismo moderno senza il quale nessuna realtà può definirsi moderna, mi pare quasi di non aver mai visto una cosa morta più morta di così (e sottolineo l’«a me mi» bifacciale, ci tengo…).
Un’entità moderna svuotata dei tempi e dei ritmi che più le sono consoni, risulta più remota di uno ziggurat mesopotamico.
Ed è così che si presenta anche questo distributore a pompe secche che incrocio ogni mattina. Una sorta di “Overlook petrol station” ancora pregna dell’aura dello “shining-benzinaro” che si aggira con sguardo diabolico fra una pompa e l’altra.
Rifugiato alfin nella meta-storica garitta, lì puoi immaginarlo piegato a capofitto sopra un taccuino, intento a scribacchiare ostinatamente, invece delle fatture del diesel per i camionisti, pagine e pagine della sua allucinata sentenza: «…il gasolio ha l’oro in bocca… il gasolio ha l’oro in bocca … il gasolio ha l’oro in bocca …».
Tutto questo se non fossimo in Italia. Il Bel Paese possiede infatti la strabiliante capacità di “Alvaro-Vitalizzare” anche la più estrema delle situazioni kubrickiane. Se Bergman avesse girato un film da noi, tempo quattro ciack e sarebbe finita a rutti e pernacchie.
Cosa non ti vado a leggere dunque, fra i numerini in plastica della lista prezzi carburanti, croce e delizia dell’automobilista errante, ormai congelati sulle tariffe dei bei tempi andati?
Chissà, il benzinaro abdicante avrà voluto lasciare il suo piccolo messaggio nella bottiglia, ma i mezzi espressivi erano limitati. Al pari degli esperti di comunicazione della Nasa, alle prese con l’incertezza su come rimpinzare la scatoletta sparata nello spazio per mandare informazioni alle eventuali altre forme di vita intelligente nell’universo, si è trovato di fronte ad un arduo dilemma tecnico e di contenuti.
Quei numerilli mutevoli in plastica, dall’inequivocabile alone anni ‘70 – ’80, non si adeguano infatti tantissimo a riprodurre ogni lettera e per di più sono solo quattro (…detto per inciso, questo ultimo dato rassicura circa le intenzioni delle compagnie petrolifere di mantenere ancora per un po’ i prezzi lontani dai 10 euro al litro).
Il benzinaro deve aver fatto due rapidi calcoli verbali: «Uhm, vediamo, solo due sillabe e neanche tutte le lettere…la prima è facile, dai: la C ce l’ho, la I pure, la A e la O ci si appiccicano quasi naturali: CIAO…».
Però a questo punto, nell’animo del benzinaro, deve essere scattato il “demone della perversità” (Cit. - Edgar Allan Poe). Memore di tutto il tempo trascorso a far da vampiro per conto terzi, “soldi-suga” in trincea, a metterci la faccia al posto delle multinazionali dell’ottano, avrà pensato: «…Ma CIAO una beata minchia! Se ho già la C e la O, ma chi m’impedisce di metterci nel bel mezzo anche la U e la L, che coi numerilli non riescono neanche male? E’ lì che v’invito ad andare a soggiornare, cari i miei prepotenti della carburazione…».
Detto, fatto: ecco consumata, nel breve volgere di una sfarfallata di lettere, la meritata vendetta a scoppio ritardato del benzinaro abbandonato. Anni spesi a domar proboscidi diesel, ad ammansire tentacoli unleaded; giornate e giornate di strusciante attesa, a pelle di daino sul parabrezza del tempo, sgommando via minuti di moscerini, secondi di olio frusto; e come sempiterno sottofondo, l’infaticabile salmodiare: «…acqua-e-olio-tutto-a-posto?...».
Tutto spazzato via, con la disarmante semplicità di due sillabe del più giocoso sarcasmo.
Lo stesso, medesimo sarcasmo sul quale in questo momento stai seduta tu, cara amica lettrice.
Lo stesso, medesimo sarcasmo che pure tu, caro amico lettore, sei costretto taluni sabati a schiodare dal divano, per assecondare la repentina smania della tua dolce metà di far visita all'IKEA, alla ricerca di quel fantomatico comodino in arte povera, in tinta con le tende della camera color "can che fugge".
Questo è quanto mi son divertito a fantasticare insomma, sulla scia di quella paroluzza quadriletterale di scherno petrolifero.
Adesso anche tu potrai essere annoverato nella schiera dei miei eroi post-moderni, oh benzinaro “controcorente”, insieme all’Uomo Torcia e a Superciuk.
Ed ogni qual volta immaginerò, d’ora in avanti, alzarsi al cielo il tuo canto di ribellione contro l’oppressore idrocarburico, mi parrà come per incanto di accorgermi, oh benzinaro, che nell’aria intrisa di vapori di benzina “l’eco s’arisente”: «’NCU…ULO…ULO…ULO…».
Si è vero, fiume, che tu dai la pace,
fiume affatato, fammela trova'…»
“Er barcarolo romano” – Canto popolare (…romano)
Or non è guari, leggiadri viandanti per pensieri, che vi frangi-fluttuai le orchidee, narrandovi delle mie scorribande mentali fra sofisticherie di “surrealtà” semantica, scaturite da graffitanti zotichezze urbane.
Oggi ho due novità sul tema.
Per prima cosa, subito a seguire, sono in grado di recarvi testimonianza tangibile della fonte ispirante di quella mia scorribanda fra le bizzarrie grafo-politane.
In seconda convocazione, debbo poi rendervi edotti di un’altra mia avventura psico-verbale negli aleatori anfratti della villania cittadina messa per iscritto.
La cosa più buffa è che stavolta il misfatto è successo in ambito “non-graffitesco”. Questo rende l’episodio ancor più prezioso (ooohhh…stupore a pagamento!...).
Perché se trovar parolacce nel settore dei muri istoriati non è certo cosa rara, cogliere invece il fior del turpiloquio nel verde prato della semi-ufficialità, è proprio notizia da classico cane morso da un passante.
Non molti passi più avanti rispetto al marciapiede ormai famigerato per la sua iscrizione honoris causa alla «Federazione Italiana Giochi Amatoriali», incontro ogni mattina un distributore.
Le sorti dell’«eroga-benza» sono segnate da tempo. Essendo piazzato sul limitar dell’agglomerato urbano, per ragioni di incolumità media del cittadino medio, è stato destinato allo smantellamento, come capitato ormai a decine e decine di suoi consimili.
Le procedure però debbono essere andate per le lunghe. Si saranno messe di mezzo “Brown-Peace” o “Italia Vostra”, note associazioni inquinantiste, strenuamente impegnate nella battaglia per ricoprire di cacca le ultime zone naturali rimaste incontaminate.
Sta di fatto che il luogo in questione langue ormai da mesi in quel melanconico e limbico distacco che solitamente si frappone fra un ordinario periodo di operosa attività e la sana spianata caterpillarica risolutiva.
Non so se anche a voi fa lo stesso effetto.
Ma a me, quando mi capita di vedere una componente della modernità, inserita nel suo contorno di modernità, e tuttavia destituita del dinamismo moderno senza il quale nessuna realtà può definirsi moderna, mi pare quasi di non aver mai visto una cosa morta più morta di così (e sottolineo l’«a me mi» bifacciale, ci tengo…).
Un’entità moderna svuotata dei tempi e dei ritmi che più le sono consoni, risulta più remota di uno ziggurat mesopotamico.
Ed è così che si presenta anche questo distributore a pompe secche che incrocio ogni mattina. Una sorta di “Overlook petrol station” ancora pregna dell’aura dello “shining-benzinaro” che si aggira con sguardo diabolico fra una pompa e l’altra.
Rifugiato alfin nella meta-storica garitta, lì puoi immaginarlo piegato a capofitto sopra un taccuino, intento a scribacchiare ostinatamente, invece delle fatture del diesel per i camionisti, pagine e pagine della sua allucinata sentenza: «…il gasolio ha l’oro in bocca… il gasolio ha l’oro in bocca … il gasolio ha l’oro in bocca …».
Tutto questo se non fossimo in Italia. Il Bel Paese possiede infatti la strabiliante capacità di “Alvaro-Vitalizzare” anche la più estrema delle situazioni kubrickiane. Se Bergman avesse girato un film da noi, tempo quattro ciack e sarebbe finita a rutti e pernacchie.
Cosa non ti vado a leggere dunque, fra i numerini in plastica della lista prezzi carburanti, croce e delizia dell’automobilista errante, ormai congelati sulle tariffe dei bei tempi andati?
Chissà, il benzinaro abdicante avrà voluto lasciare il suo piccolo messaggio nella bottiglia, ma i mezzi espressivi erano limitati. Al pari degli esperti di comunicazione della Nasa, alle prese con l’incertezza su come rimpinzare la scatoletta sparata nello spazio per mandare informazioni alle eventuali altre forme di vita intelligente nell’universo, si è trovato di fronte ad un arduo dilemma tecnico e di contenuti.
Quei numerilli mutevoli in plastica, dall’inequivocabile alone anni ‘70 – ’80, non si adeguano infatti tantissimo a riprodurre ogni lettera e per di più sono solo quattro (…detto per inciso, questo ultimo dato rassicura circa le intenzioni delle compagnie petrolifere di mantenere ancora per un po’ i prezzi lontani dai 10 euro al litro).
Il benzinaro deve aver fatto due rapidi calcoli verbali: «Uhm, vediamo, solo due sillabe e neanche tutte le lettere…la prima è facile, dai: la C ce l’ho, la I pure, la A e la O ci si appiccicano quasi naturali: CIAO…».
Però a questo punto, nell’animo del benzinaro, deve essere scattato il “demone della perversità” (Cit. - Edgar Allan Poe). Memore di tutto il tempo trascorso a far da vampiro per conto terzi, “soldi-suga” in trincea, a metterci la faccia al posto delle multinazionali dell’ottano, avrà pensato: «…Ma CIAO una beata minchia! Se ho già la C e la O, ma chi m’impedisce di metterci nel bel mezzo anche la U e la L, che coi numerilli non riescono neanche male? E’ lì che v’invito ad andare a soggiornare, cari i miei prepotenti della carburazione…».
Detto, fatto: ecco consumata, nel breve volgere di una sfarfallata di lettere, la meritata vendetta a scoppio ritardato del benzinaro abbandonato. Anni spesi a domar proboscidi diesel, ad ammansire tentacoli unleaded; giornate e giornate di strusciante attesa, a pelle di daino sul parabrezza del tempo, sgommando via minuti di moscerini, secondi di olio frusto; e come sempiterno sottofondo, l’infaticabile salmodiare: «…acqua-e-olio-tutto-a-posto?...».
Tutto spazzato via, con la disarmante semplicità di due sillabe del più giocoso sarcasmo.
Lo stesso, medesimo sarcasmo sul quale in questo momento stai seduta tu, cara amica lettrice.
Lo stesso, medesimo sarcasmo che pure tu, caro amico lettore, sei costretto taluni sabati a schiodare dal divano, per assecondare la repentina smania della tua dolce metà di far visita all'IKEA, alla ricerca di quel fantomatico comodino in arte povera, in tinta con le tende della camera color "can che fugge".
Questo è quanto mi son divertito a fantasticare insomma, sulla scia di quella paroluzza quadriletterale di scherno petrolifero.
Adesso anche tu potrai essere annoverato nella schiera dei miei eroi post-moderni, oh benzinaro “controcorente”, insieme all’Uomo Torcia e a Superciuk.
Ed ogni qual volta immaginerò, d’ora in avanti, alzarsi al cielo il tuo canto di ribellione contro l’oppressore idrocarburico, mi parrà come per incanto di accorgermi, oh benzinaro, che nell’aria intrisa di vapori di benzina “l’eco s’arisente”: «’NCU…ULO…ULO…ULO…».
2 commenti:
cominciamo a dire che forse du' rutti e una pernacchietta in un paio di film di bergman magari ci stavano anche bene...
Ma veniamo a noi: la conferma della realtà dei fatti in chiusura con prova fotografica molto mi aggrada :-D e poi diciamo che anche un ciao - culo potrebbe essere letto in modo ancor diverso: ciao - (basta farsi il ) culo oppure ciao - (veh che ) culo (ora vado in vacanza) :-) baci al benzinaro che spero stia alle maldive a spese delle compagnie petrolifere
@->Farly: infatti, Farly, infatti...il bello di queste esternazioni di grafica rozzezza urbana è che sono più che democratiche ed aperte a tante interpretazioni :-)
a tal proposito, la tesi "ciao - culo", intesa come "ho smesso di faticare, vado in vacanza", la trovo assai suggestiva :-D
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