Va beh, un po’ già lo si era capito, anche semplicemente dando un’occhiata a quale bizzarra scaturigine d’umano individuo abbia potuto sgorgare da quella plaga semisurreale e sperduta fra le righe di questo blog: ossia me stesso medesimo, io, in persona virtuale.
Ma ieri mattina gli eventi atmosferici “hanno sentenziato” in maniera più inequivocabile del solito. Salgo sulla 313 GT per recarmi alla volta della “urbis apis laborans” e un muro di nebbia mi abbraccia amorosamente. Quando dici “un muro” di nebbia riferendoti ad un posto normale, ti aspetti una metafora un po’ caciarona e qualche filo di foschia quando ti metti per strada.
Quando dici “un muro” di nebbia a Gillipixiland, pensa senza troppe remore a veri e propri mattoni di vapore acqueo lattiginosi e densi come il burro, ben legati insieme da una malta di rugiada opaca come la sintonia dei canali Rai sul digitale terrestre, così come si vedono da queste parti.
Pensa pure a tutto questo, che non ti sbagli di un micron.
Fino a qui dunque, tutto Gillipixilandianamente regolare.
La cosa stupefacente è tuttavia accaduta quando ho varcato il confine comunale, attraversando il ponte sull’acqua piccola: niente più nebbia, puff!!! svanita d’incanto, svaporata via come il fumo del cotechino dopo una bella soffiata. Visibilità perfetta dagli Appennini alle Ande!
E’ stato lì che ho pensato: «Gillipixiland è un posto unico, ha persino l’esclusiva nebbiosa riservata! Si può avere più culo di così?!?!?».
Scommetto che ogni abitante di ogni piccolo paese italiano, di ogni frazione, di ogni crocicchio che sfiori anche lontanamente l’idea di località, penserà di vivere in un posto unico.
Ma Gillipixiland è più unico degli altri (a dimostrazione immediata della precedente affermazione). Per certi versi questa è la grande ricchezza del nostro tessuto territoriale, e per altri aspetti è una delle sue prime vulnerabilità.
La diversità è l’humus italiano più prezioso. Il predicozzo modernista tanto caro all’efficentismo modaiolo dei giorni nostri: “bisogna essere più competitivi”, è un pleonasmo già superato storicamente dalla nostra trama sociale a strette maglie campanilistiche. Se sei uno dei 123 abitanti, originari del sasso, di Sgundarolo di Sotto sul Minchio, col cacchio che ti lasceresti superare su qualsivoglia termine di competizione (mettiamo l’annuale gara di lancio della formaggetta “spussona” stagionata 52 anni), da uno qualsiasi dei 112 abitanti di Sgundarolo di Sopra sotto il Minchio.
E’ così che ogni piccola comunità italiana percepisce sé stessa ed è così che ho sempre percepito fortemente Gillipixiland. Al di sopra ci sono anche una Provincia, poi una Regione, poi uno Stato. Ma quella decina di km. quadrati su cui Gillipixiland si adagia, nella mia percezione hanno sempre formato un’isola anarcoide ed apolide lanciata a razzo fra le nebulose dello spazio senza confine originato dalla singolarità e dall’originalità delle teste dure che la popolano.
Ho conosciuto moltissimi tipi umani fra gli abitanti di Gillipixiland, soprattutto certi vecchi che ormai purtroppo non ci sono più. Gente così ostinata, orgogliosa della propria opinione, che, per dire, si fosse trattato di non dare ragione ad un proprio rivale in una discussione, sarebbe stata disposta ad ammettere che una martellata sul ditone del piede fa godere (previa sperimentazione in prima persona, “et coram populo”, della martellata in questione, ovvio…). Ma gente poi disposta a fare i sacrifici più duri per aiutare magari il medesimo “avversario d’opinione”, nel caso questi si fosse trovato di fronte a difficoltà della vita concrete e serie.
L’orgoglio auto-esiliante dei Gillipixilandiani entro i confini della propria singolarità, un tempo si esprimeva ai suoi massimi livelli anche nel contesto del campionato calcistico provinciale. Il “Gillipixiland Stadium” (in realtà un campetto spelacchiato, chiazzato spesso di margherite, denti di leone e radicchio selvatico…) è sempre stato il terrore delle tifoserie avversarie. In quelle due ore di partita, essere un abitante del paese avversario di turno corrispondeva alla peggiore onta immaginabile fra le infamità umane, e i furiosi florilegi d’insulti all’indirizzo dell’orda barbara si sprecavano e si distinguevano per fantasia e creatività belluina.
Però Gillipixiland è stata storicamente anche la terra di tanti emigrati nei luoghi più lontani del globo, e negli ultimi anni, la terra di accoglienza di numerosi immigrati da molto lontano.
Mi domando spesso se tutto questo patrimonio di umanità così singolare non stia imboccando, come tutti gli indizi demografici farebbero presupporre, il proprio inesorabile viale del tramonto.
Ma poi capita di ritrovare certi vecchi, magari partiti 40 anni fa, andati a vivere a Genova, Milano oppure Roma, per una vita, che tornati qui riprendono a parlare il contorto dialetto locale con una precisione sbalorditiva nella pronuncia e nella nostra cavernicola dizione, come se si fossero assentati solo per cinque minuti, giusto il tempo di una pisciata.
E capita anche di sentire la medesima parlata familiare farsi strada timidamente ma con modi giocosi e liberi, sulle labbra dei nuovi ospiti giunti da terre lontane, albanesi, marocchini e altri.
E allora viene da dar ragione a quello che mi diceva ieri mattina quel gran batuffolo di nebbia che demarcava i confini di Gillipixiland: questa terra sarà sempre se stessa, di qualsiasi colore saranno gli occhi che la sua gente poserà su di essa in futuro, qualsiasi ritmo seguirà il battito dei loro cuori.
Ma ieri mattina gli eventi atmosferici “hanno sentenziato” in maniera più inequivocabile del solito. Salgo sulla 313 GT per recarmi alla volta della “urbis apis laborans” e un muro di nebbia mi abbraccia amorosamente. Quando dici “un muro” di nebbia riferendoti ad un posto normale, ti aspetti una metafora un po’ caciarona e qualche filo di foschia quando ti metti per strada.
Quando dici “un muro” di nebbia a Gillipixiland, pensa senza troppe remore a veri e propri mattoni di vapore acqueo lattiginosi e densi come il burro, ben legati insieme da una malta di rugiada opaca come la sintonia dei canali Rai sul digitale terrestre, così come si vedono da queste parti.
Pensa pure a tutto questo, che non ti sbagli di un micron.
Fino a qui dunque, tutto Gillipixilandianamente regolare.
La cosa stupefacente è tuttavia accaduta quando ho varcato il confine comunale, attraversando il ponte sull’acqua piccola: niente più nebbia, puff!!! svanita d’incanto, svaporata via come il fumo del cotechino dopo una bella soffiata. Visibilità perfetta dagli Appennini alle Ande!
E’ stato lì che ho pensato: «Gillipixiland è un posto unico, ha persino l’esclusiva nebbiosa riservata! Si può avere più culo di così?!?!?».
Scommetto che ogni abitante di ogni piccolo paese italiano, di ogni frazione, di ogni crocicchio che sfiori anche lontanamente l’idea di località, penserà di vivere in un posto unico.
Ma Gillipixiland è più unico degli altri (a dimostrazione immediata della precedente affermazione). Per certi versi questa è la grande ricchezza del nostro tessuto territoriale, e per altri aspetti è una delle sue prime vulnerabilità.
La diversità è l’humus italiano più prezioso. Il predicozzo modernista tanto caro all’efficentismo modaiolo dei giorni nostri: “bisogna essere più competitivi”, è un pleonasmo già superato storicamente dalla nostra trama sociale a strette maglie campanilistiche. Se sei uno dei 123 abitanti, originari del sasso, di Sgundarolo di Sotto sul Minchio, col cacchio che ti lasceresti superare su qualsivoglia termine di competizione (mettiamo l’annuale gara di lancio della formaggetta “spussona” stagionata 52 anni), da uno qualsiasi dei 112 abitanti di Sgundarolo di Sopra sotto il Minchio.
E’ così che ogni piccola comunità italiana percepisce sé stessa ed è così che ho sempre percepito fortemente Gillipixiland. Al di sopra ci sono anche una Provincia, poi una Regione, poi uno Stato. Ma quella decina di km. quadrati su cui Gillipixiland si adagia, nella mia percezione hanno sempre formato un’isola anarcoide ed apolide lanciata a razzo fra le nebulose dello spazio senza confine originato dalla singolarità e dall’originalità delle teste dure che la popolano.
Ho conosciuto moltissimi tipi umani fra gli abitanti di Gillipixiland, soprattutto certi vecchi che ormai purtroppo non ci sono più. Gente così ostinata, orgogliosa della propria opinione, che, per dire, si fosse trattato di non dare ragione ad un proprio rivale in una discussione, sarebbe stata disposta ad ammettere che una martellata sul ditone del piede fa godere (previa sperimentazione in prima persona, “et coram populo”, della martellata in questione, ovvio…). Ma gente poi disposta a fare i sacrifici più duri per aiutare magari il medesimo “avversario d’opinione”, nel caso questi si fosse trovato di fronte a difficoltà della vita concrete e serie.
L’orgoglio auto-esiliante dei Gillipixilandiani entro i confini della propria singolarità, un tempo si esprimeva ai suoi massimi livelli anche nel contesto del campionato calcistico provinciale. Il “Gillipixiland Stadium” (in realtà un campetto spelacchiato, chiazzato spesso di margherite, denti di leone e radicchio selvatico…) è sempre stato il terrore delle tifoserie avversarie. In quelle due ore di partita, essere un abitante del paese avversario di turno corrispondeva alla peggiore onta immaginabile fra le infamità umane, e i furiosi florilegi d’insulti all’indirizzo dell’orda barbara si sprecavano e si distinguevano per fantasia e creatività belluina.
Però Gillipixiland è stata storicamente anche la terra di tanti emigrati nei luoghi più lontani del globo, e negli ultimi anni, la terra di accoglienza di numerosi immigrati da molto lontano.
Mi domando spesso se tutto questo patrimonio di umanità così singolare non stia imboccando, come tutti gli indizi demografici farebbero presupporre, il proprio inesorabile viale del tramonto.
Ma poi capita di ritrovare certi vecchi, magari partiti 40 anni fa, andati a vivere a Genova, Milano oppure Roma, per una vita, che tornati qui riprendono a parlare il contorto dialetto locale con una precisione sbalorditiva nella pronuncia e nella nostra cavernicola dizione, come se si fossero assentati solo per cinque minuti, giusto il tempo di una pisciata.
E capita anche di sentire la medesima parlata familiare farsi strada timidamente ma con modi giocosi e liberi, sulle labbra dei nuovi ospiti giunti da terre lontane, albanesi, marocchini e altri.
E allora viene da dar ragione a quello che mi diceva ieri mattina quel gran batuffolo di nebbia che demarcava i confini di Gillipixiland: questa terra sarà sempre se stessa, di qualsiasi colore saranno gli occhi che la sua gente poserà su di essa in futuro, qualsiasi ritmo seguirà il battito dei loro cuori.
7 commenti:
Sembra un posto fiabesco... bellissima descrizione della nebbia "burrosa".
Gillipixel:Gillipixiland=Burro:latte.
Che ne dici?
Buffetti improvvisi
Eppure, nebbia permettendo, il tuo sembra un paese invidiabile dove la diversità fa arcobaleno ( in senso che si unisce agli altri colori) e dove la nebbia tiene lontani le voci solite di progresso e competività che ci stanno riempiendo le viscere. Insomma, la nebbia burrosa è uguale al mio paese eroico, ma tutto il resto mi manca.
e come al solito me diventi poetico... bello, romantico e se ci metti come sottofondo il sakamoto che ho appena postato, funziona alla grande :-) ... e poi dentro la nuvola può succedere di tutto: nemmeno i satellite ci vedono dentro baci chimerici
@-Scodinzola: ehehehe, grazie Scodi, forse è solo nella mia immaginazione che il posto si fa fiabesco...come dicevo, credo che un po' per ciascuno, i luoghi della propria infanzia finiscano per assumere sfumature poetiche ed irreali...ma se uno ci crede in misura moderata, senza rompere troppo l'anima agli altri, che male c'è? :-)
La proporzione burresca è proprio carina :-) sei troppo gentile, come tuo solito :-)
Buffetti burrosi :-)
@-Antonella: come rispondevo sopra a Scodinzola, alla fine non sono tanto sicuro nemmeno io se si tratti di un posto così speciale, Anto :-) Forse è solo che mi piace crederlo tale...riguardo all'accoglienza, però, ecco, sì, c'è da dire una cosa particolare: da una parte non è un luogo che offre tanto, anche climaticamente è un po' difficile da digerire :-) ma quel poco che ha te lo concede volentieri e problemi seri di integrazione qui non ne ho mai visti, e spero di non vederne mai...forse sei un po' troppo severa col tuo bel paese, non so :-)
Bacini multicolor :-)
@->Farly: :-) direi che il Sakamoto da te scelto s'intona benissimo anche con la nebbia di Gillipixiland :-)
Grazie Farly, con questa cosa dei satelliti, hai colto proprio lo spirito di questo umile paesello che racconto: il non essere visto troppo dal di fuori è stata ed è tuttora sia la sua fortuna, ma anche un po' la causa del suo isolamento...tutto sommato, facendo un bilancio dei pro e dei contro, son contento che sia andata così :-)
Bacini giappo-chimerici :-)
@->Talitha: grazie della visita, anche se non ho capito l'ultima parola :-)
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