In genere, sono un tipo abbastanza rassegnato riguardo allo scorrere del tempo.
Più che rassegnato, direi sereno. Meglio ancora: una sorta di oscillazione tra il rassegnato ed il sereno. O forse, né rassegnato, né sereno sono i termini adatti.
Diciamo che il più delle volte osservo il fenomeno dello scorrere del tempo con atteggiamento stupefatto, misto a punte di meraviglia.
Certo, non dico di essere esente dalla preoccupazione suprema che è propria di ogni essere umano, l’angoscia assoluta cagionata dal traguardo misterico posto a compimento di tutto il nostro percorso esistenziale, altrimenti noto con il poco simpatico nome di «emme-o-erre-ti-e».
Non potrei definirmi umano, se altrimenti fosse. Dopo Heidegger, con il suo «essere per la morte», sappiamo che tutto quanto è celato dietro quella parola, così poco simpatica da pronunciare nonché da pensare, lo possiamo in pratica considerare come il fine stesso del vivere.
Ma raramente mi sorprendo a considerare ad alta voce, come da tanti sento fare: «…Ah, se potessi avere quindici anni di meno…se potessi tornare indietro!...». Moti di potente nostalgia per epoche ormai sfumate della mia vita, mi colgono talvolta senza difesa alcuna, e di fronte ad essi mi sento completamente impotente, questo lo ammetto.
Ma attraversando ogni età trascorsa del mio vivere, e calandomi in ogni nuova che mi è dato di guadare, non mi sono mai sentito né mai mi sento fino in fondo di appartenere a nessuna di queste “epoche”, ed al contempo ho sempre capito e capisco che quello “era” ed “è” il momento da vivere propriamente nel periodo in cui mi veniva e mi viene dato.
La cosa, come si può arguire, è parecchio contraddittoria in me.
Perché da bambino non mi sono mai sentito fino in fondo tale, e nemmeno, divenuto adulto, la musica è cambiata di tanto. Sono stato di volta in volta un infante adulto, un bambino già saggio, e poi un ragazzo anziano, un giovanotto attempato, ed ancora un giovane uomo piuttosto infantile, ma difficilmente c’è stata sintonia fra il mio vivere effettivo spirituale ed i miei estremi anagrafici.
Più che altro, mi sono sempre sentito come il viaggiatore di questo buffo autobus cronologico costituito dal mio corpo e dalla mia mente, sempre più occupato dalla curiosità di sbirciare la varietà dei panorami scorrere lungo i finestrini, che non dal pensiero di capire nelle vicinanze di quale fermata mi trovassi nei diversi momenti.
Il mio carissimo professore di storia dell’arte del liceo, una delle persone a cui debbo di più per quanto riguarda l’educazione estetica che mi ritrovo, una volta ci rivelò una sorta di sua fissazione riguardante la faccenda del dormire. Vero e proprio cultore di un vitalismo intenso, appassionato ma al tempo stesso equilibrato, paragonabile forse solo ad una certa visione della vita propria degli antichi etruschi, ci raccontò il suo cruccio a proposito del tempo che si spreca durante il sonno. Non che la cosa lo facesse impazzire, perché era pur sempre persona dalla notevole stabilità filosofica. Ma quel pacato e lieve tormento lo faceva meditare. Il tempo del sonno lui lo reputava un tempo perduto, rubato al tempo vero delle attività consapevoli e vissute con piena intensità durante le ore di veglia.
Ecco, questo argomento fu uno dei pochi intorno ai quali non mi trovai in sintonia con il mio caro prof.
Per me, i momenti di ozio, di inattività, di meditazione statica (talvolta persino quelli di noia), sono altrettanto fondamentali al vivere quanto le fasi di frenesia, di urgenza creativa, di intensità affettiva. Ed il sonno non può affatto esulare da questa regola. Il momento di mettersi sotto le coperte, io lo vivo il più delle volte come l’atto di infilarsi nell’abitacolo di un mirabolante mezzo di trasporto, che mi promette viaggi fascinosi e ricchissimi nelle sfumature di paesaggi ed orizzonti. Lì dentro so che sognerò, vivrò sensazioni, emozioni, vibrazioni spirituali, non meno coinvolgenti di quelle provate durante la vita vigile.
E’ in tutto questo confuso insieme di fattori che risiede dunque il modo secondo il quale ritengo di possedere una considerazione del tempo piuttosto fuori moda. Il mio concetto di atteggiamento verso il tempo si potrebbe condensare in una propensione ad adattarsi alle forme del reale.
Per questo, non mi andrebbe più di tanto di tornare indietro, nonostante tutto ed anche a dispetto dei lancinanti attacchi di nostalgia che talvolta mi colgono a tradimento come ladri piombati nottetempo nella casa della mia anima. Non mi andrebbe perché ogni tempo vissuto è stato legato ad una sua propria specifica fatica di vivere, che non mi sentirei di riaffrontare una seconda volta. Non mi andrebbe di cedere una quota di anni accumulati, perché posseggono il valore di pregiate gemme d’esperienza fatte affiorare con sforzo intenso dalla grezza pietra della profondissima miniera dei minuti e delle ore trascorsi.
E fin qui, più o meno tutto bene. Il discorso è farraginoso ma uno straccio di coerenza ce lo si trova anche fuori, volendo. Però poi affiorano dei sintomi, dai quali puoi desumere che in realtà, a livello inconscio, quello che “cova sotto”, insieme a tutte le cose che ho detto, è anche una fottuta paura dello scorrere del tempo.
Uno di questi sintomi evidenti, immerso nella più manifesta dubbiosità della sua fuggevolezza, è forse dato dalla frenesia fotografica. La passione per le foto è cosa che per quanto mi riguarda risale a tempo immemore. Ma questa potenziata “perversione” che la intreccia in maniera così incalzante alle valenze del fluire temporale, è stata introdotta dalla informatizzazione degli strumenti fotografici.
La disponibilità potenziale di fare scatti all’infinito da una parte, e lo stillicidio dei secondi dall’altra, si sono andati pressoché sovrapponendo con una continuità dimensionale sbalorditiva. Questo fenomeno tuttavia non ha fatto altro che acuire il senso della vaporosità imprendibile dell’«attimo».
Il tempo scorre inafferrabile, e la nuova capacità messa a disposizione dalla tecnologia di catturarne sempre più fotogrammi, non è altro che un’illusione amplificata, non fa altro che acuire la sostanziale fuggevolezza che si cela nella sua essenza più intima.
Capita dunque che durante le giornate, mi imbatta di sovente in una scena che vorrei fermare. Dettagli insignificanti, a volte, piccole inezie notate fra le più svariate fonti visive, che però mi muovono dentro qualcosa, mi commuovono ricordi di cose mai vissute uguali, ma allo stesso tempo da sempre note al mio cuore, e che affannosamente cerco di fermare, magari con la scarsissima qualità di ripresa del telefonino.
Sono immagini di precario valore fotografico, che probabilmente posseggono un vago barlume di significato solo per me stesso, ma che proprio per questo sono testimoni della incomunicabilità che affratella ed assorella tutti gli uomini e le donne, immersi come sono fino al collo in questo immenso mistero che è il tempo delle proprie vite.
E mi rendo conto di quanto tutto ciò sia così disperatamente regolare, tutto più che angosciosamente normale.
Così alla fine mi consolo, pensando che ogni cosa torna: nessuno ci ha mai capito una mazza, del tempo, e anche io continuo a farlo, sprofondato nella mia beata, angustiata, elettrizzata, limpida e paludosa ignoranza cronologica.
Diciamo che il più delle volte osservo il fenomeno dello scorrere del tempo con atteggiamento stupefatto, misto a punte di meraviglia.
Certo, non dico di essere esente dalla preoccupazione suprema che è propria di ogni essere umano, l’angoscia assoluta cagionata dal traguardo misterico posto a compimento di tutto il nostro percorso esistenziale, altrimenti noto con il poco simpatico nome di «emme-o-erre-ti-e».
Non potrei definirmi umano, se altrimenti fosse. Dopo Heidegger, con il suo «essere per la morte», sappiamo che tutto quanto è celato dietro quella parola, così poco simpatica da pronunciare nonché da pensare, lo possiamo in pratica considerare come il fine stesso del vivere.
Ma raramente mi sorprendo a considerare ad alta voce, come da tanti sento fare: «…Ah, se potessi avere quindici anni di meno…se potessi tornare indietro!...». Moti di potente nostalgia per epoche ormai sfumate della mia vita, mi colgono talvolta senza difesa alcuna, e di fronte ad essi mi sento completamente impotente, questo lo ammetto.
Ma attraversando ogni età trascorsa del mio vivere, e calandomi in ogni nuova che mi è dato di guadare, non mi sono mai sentito né mai mi sento fino in fondo di appartenere a nessuna di queste “epoche”, ed al contempo ho sempre capito e capisco che quello “era” ed “è” il momento da vivere propriamente nel periodo in cui mi veniva e mi viene dato.
La cosa, come si può arguire, è parecchio contraddittoria in me.
Perché da bambino non mi sono mai sentito fino in fondo tale, e nemmeno, divenuto adulto, la musica è cambiata di tanto. Sono stato di volta in volta un infante adulto, un bambino già saggio, e poi un ragazzo anziano, un giovanotto attempato, ed ancora un giovane uomo piuttosto infantile, ma difficilmente c’è stata sintonia fra il mio vivere effettivo spirituale ed i miei estremi anagrafici.
Più che altro, mi sono sempre sentito come il viaggiatore di questo buffo autobus cronologico costituito dal mio corpo e dalla mia mente, sempre più occupato dalla curiosità di sbirciare la varietà dei panorami scorrere lungo i finestrini, che non dal pensiero di capire nelle vicinanze di quale fermata mi trovassi nei diversi momenti.
Il mio carissimo professore di storia dell’arte del liceo, una delle persone a cui debbo di più per quanto riguarda l’educazione estetica che mi ritrovo, una volta ci rivelò una sorta di sua fissazione riguardante la faccenda del dormire. Vero e proprio cultore di un vitalismo intenso, appassionato ma al tempo stesso equilibrato, paragonabile forse solo ad una certa visione della vita propria degli antichi etruschi, ci raccontò il suo cruccio a proposito del tempo che si spreca durante il sonno. Non che la cosa lo facesse impazzire, perché era pur sempre persona dalla notevole stabilità filosofica. Ma quel pacato e lieve tormento lo faceva meditare. Il tempo del sonno lui lo reputava un tempo perduto, rubato al tempo vero delle attività consapevoli e vissute con piena intensità durante le ore di veglia.
Ecco, questo argomento fu uno dei pochi intorno ai quali non mi trovai in sintonia con il mio caro prof.
Per me, i momenti di ozio, di inattività, di meditazione statica (talvolta persino quelli di noia), sono altrettanto fondamentali al vivere quanto le fasi di frenesia, di urgenza creativa, di intensità affettiva. Ed il sonno non può affatto esulare da questa regola. Il momento di mettersi sotto le coperte, io lo vivo il più delle volte come l’atto di infilarsi nell’abitacolo di un mirabolante mezzo di trasporto, che mi promette viaggi fascinosi e ricchissimi nelle sfumature di paesaggi ed orizzonti. Lì dentro so che sognerò, vivrò sensazioni, emozioni, vibrazioni spirituali, non meno coinvolgenti di quelle provate durante la vita vigile.
E’ in tutto questo confuso insieme di fattori che risiede dunque il modo secondo il quale ritengo di possedere una considerazione del tempo piuttosto fuori moda. Il mio concetto di atteggiamento verso il tempo si potrebbe condensare in una propensione ad adattarsi alle forme del reale.
Per questo, non mi andrebbe più di tanto di tornare indietro, nonostante tutto ed anche a dispetto dei lancinanti attacchi di nostalgia che talvolta mi colgono a tradimento come ladri piombati nottetempo nella casa della mia anima. Non mi andrebbe perché ogni tempo vissuto è stato legato ad una sua propria specifica fatica di vivere, che non mi sentirei di riaffrontare una seconda volta. Non mi andrebbe di cedere una quota di anni accumulati, perché posseggono il valore di pregiate gemme d’esperienza fatte affiorare con sforzo intenso dalla grezza pietra della profondissima miniera dei minuti e delle ore trascorsi.
E fin qui, più o meno tutto bene. Il discorso è farraginoso ma uno straccio di coerenza ce lo si trova anche fuori, volendo. Però poi affiorano dei sintomi, dai quali puoi desumere che in realtà, a livello inconscio, quello che “cova sotto”, insieme a tutte le cose che ho detto, è anche una fottuta paura dello scorrere del tempo.
Uno di questi sintomi evidenti, immerso nella più manifesta dubbiosità della sua fuggevolezza, è forse dato dalla frenesia fotografica. La passione per le foto è cosa che per quanto mi riguarda risale a tempo immemore. Ma questa potenziata “perversione” che la intreccia in maniera così incalzante alle valenze del fluire temporale, è stata introdotta dalla informatizzazione degli strumenti fotografici.
La disponibilità potenziale di fare scatti all’infinito da una parte, e lo stillicidio dei secondi dall’altra, si sono andati pressoché sovrapponendo con una continuità dimensionale sbalorditiva. Questo fenomeno tuttavia non ha fatto altro che acuire il senso della vaporosità imprendibile dell’«attimo».
Il tempo scorre inafferrabile, e la nuova capacità messa a disposizione dalla tecnologia di catturarne sempre più fotogrammi, non è altro che un’illusione amplificata, non fa altro che acuire la sostanziale fuggevolezza che si cela nella sua essenza più intima.
Capita dunque che durante le giornate, mi imbatta di sovente in una scena che vorrei fermare. Dettagli insignificanti, a volte, piccole inezie notate fra le più svariate fonti visive, che però mi muovono dentro qualcosa, mi commuovono ricordi di cose mai vissute uguali, ma allo stesso tempo da sempre note al mio cuore, e che affannosamente cerco di fermare, magari con la scarsissima qualità di ripresa del telefonino.
Sono immagini di precario valore fotografico, che probabilmente posseggono un vago barlume di significato solo per me stesso, ma che proprio per questo sono testimoni della incomunicabilità che affratella ed assorella tutti gli uomini e le donne, immersi come sono fino al collo in questo immenso mistero che è il tempo delle proprie vite.
E mi rendo conto di quanto tutto ciò sia così disperatamente regolare, tutto più che angosciosamente normale.
Così alla fine mi consolo, pensando che ogni cosa torna: nessuno ci ha mai capito una mazza, del tempo, e anche io continuo a farlo, sprofondato nella mia beata, angustiata, elettrizzata, limpida e paludosa ignoranza cronologica.
8 commenti:
Grazie per questo post. E' emozionante.
@->Rosalucs: grazie a te, cara Rose, per il commento non meno emozionante, per me :-) é un onore trasmettere emozioni a lettrici di alta qualità come te :-)
Bacini fermati nell'attimo :-)
Mi piacerebbe molto poter tornare indietro nel tempo e rivivere ma.... con la testa che ho adesso!
Questo è un mio pensiero ricorrente.
Grazie per la lettura piacevole e, come ha detto Rosalux, emozionante.
Buffetti primaverili
internet non c'era dov'ero :-) nulla di urbano dunque .
- la mia foto preferita di questo post è urban balloon,
- la scelta di tom waits contribuisce a un istante di perfezione
- ci pensi che in fondo è proprio bello che la nostra vita sia fatta di tantissimi istanti irripetibili, una immensa successione di eventi unici (ehm spesso per fortuna) bacio
@->Scodinzola: è anche un mio pensiero quello, Scodi...da molto giovani si hanno più potenzialità "materiali", ma la spiritualità zoppica, e poi crescendo la cosa si viceversizza :-)...anche questo è un po' un paradosso beffardo dell'esistenza :-)
Grazie, son contento di averti regalato sensazioni belle :-)
Buffetti a fior di mandorlo :-)
@->Farly: grazie, Farly :-) urban balloon l'ho colta così per caso in un parchetto spelacchiato di Milano, nella zona delle basiliche, non ricordo più bene quale :-) era una strana installazione artistica o pseudo tale, composta da questi palloni rossi luminosi all'interno...con la penonmbra del crepuscolo, avevano un che di metafisico, e questo inquadrato isolato, acquista secondo me un tono un po' onirico-delirante :-)
Tom Waits l'ho messo anche un po' perchè era stata una richiesta "velata" di Yossarian in un precedente commento :-) ho scelto quella di Tom che più sebrava adattarsi a questo mio scritto...
E...sì, concordo, l'unicità degli attimi ha un che di tragicamente poetica buffezza inspiegata che commuove :-)
Bacini con riverenza :-)
Eh, mi sa che quella di tornare ad essere pischelli ma con la testa matura è una fissazione comune. Io la condivido sicuramente.
@->Rosalucs: è vero, Rose, credo sia una fissa di tanti :-)...ma tanto, mi spiace dare a tutti la poco gradita notizia, però, non si può fare :-D
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