Stamattina, guidavo alla volta della città tentacolare (va beh, “ragnetticolare”, via…), quando, tra un «…Dìu c’at végna ‘n càncar!!!...» metaforicamente inveito verso un automobilista molesto ed un «…Vàh a dà via’l cül tè e c’la vàca‘d tù ma’!!!...» allegoricamente consigliato ad un camionista spericolato, mi son messo a canticchiare «Good old fashioned lover boy» dei Queen:
«…I can dim the lights and sing you songs full of sad things
We can do the tango just for two
I can serenade and gently play on your heart strings
Be your valentino just for you…
Ooohhh boy, ooohhh lover boy, uàcci-nà-tü-nà éh bbbboy…».
Il grammelot anglo-padano l’ho inserito sul finir di citazione giusto per ricordarvi la mia familiarità non particolarmente spiccata con la lingua di Her Majesty (e che “God” la mantenga sempre “save”…).
Se sento una canzone in inglese, faccio fatica a coglierne il testo corretto per esteso. Di questa però, almeno la strofa in questione, la ricordavo abbastanza bene, per avervene già proposto il video qui, su questi lidi bloggherecci, qualche tempo fa, con tanto di testo annesso.
Tuttavia, nel canticchiar guidando, forse per il fatto di avere una discreta quantità di attenzione già spesa all’uopo di non finire nel fosso (…possibilmente), mi sono accorto che, con il rimasuglio di concentrazione che mi rimaneva, stavo intrecciando le varie frasi, tanto che me ne venivo fuori con sortite tipo:
«…I can dim the lights and gently play on your heart strings
Be your valentino full of sad things …».
Ma la cosa buffa è stata un’altra.
Pur storpiando l’ordine dei versi a livello conscio e pronunciato, mi rendevo conto di possedere la giusta sequenza nel retrobottega tacito della mia memoria.
Com’era possibile che stessi cantando per esteso stralci di canzone in ordine errato, e nel contempo riuscissi a dominare mentalmente la sua versione messa in fila nel modo giusto?
A rigor di logica, i rispettivi tempi necessari per trattare i due “materiali verbali” (quello effettivamente cantato e quello solo pensato), avrebbero dovuto sommarsi, rendendo tutta l’operazione piuttosto lunga e complicata. Invece stavo facendo le due operazioni, impiegando a tutti gli effetti praticamente il tempo necessario per eseguirne una sola di esse.
Ed è stato lì, cari amici viandanti per pensieri, che per vostra somma gioia ho rivangato una mia vecchia meditazione inaugurata ai tempi dell’università, quando mi cimentai con un esame di psicologia, pur esulando tal materia dal corso mio principale di studi. Ricordo che fra gli argomenti coi quali gli psicologi si stavano e si stanno ancora arrovellando (e non poco), c’erano e ci sono le modalità utilizzate dal nostro cervello per “elaborare” i propri dati. In particolare, si sprecano le ipotesi circa le procedure che nella nostra scatola cranica si metterebbero in moto nel momento in cui serve recuperare un certo “file”, dall’hard disk cerebrale.
Ora, non è che voglia spacciarvi il mio modesto meditare sulle note di una canzone, per questa grande scoperta scientifica de’ noantri. Ciò che volevo condividere con voi è invece semplicemente lo stupore di fronte a questa fantastica funzionalità a disposizione della nostra zucca.
In qualche parte della nostra operatività inconsapevole, ci deve essere un settore in cui il materiale mentale, e quello verbale in particolare, viene trattato a velocità supersonica.
Non solo.
In quella dimensione sotterranea del nostro districarci cerebrale, con tutta probabilità il materiale trattato deve anche essere impacchettato con una particolarissima “confezione espresso”, ed è forse proprio questa caratteristica che lo rende plasmabile a velocità così elevate.
In questo modo, si spiegherebbe come mai sono riuscito a cantare il testo dei Queen sbagliato e pensare contemporaneamente a quello corretto, senza sforzi supplementari eccessivi. Quello che stavo cantando era un testo tutto rimescolato, ma disteso come un tappeto persiano; quello rielaborato dietro il sipario, era invece lo stesso tappeto, più ordinato ma ancora tutto arrotolato.
La mia metafora del tappeto è solo un’immagine buttata lì, ma chissà se gli studiosi preposti riusciranno mai a definire le fattezze di questo “materiale mentale supersonico”. L’impresa è ardua per definizione, in quanto, essendo tale materiale inconscio, risulta difficilissimo poterlo delimitare ed osservare direttamente nelle sue caratteristiche “oggettive”.
Andando al di à anche del mio bislacco esempio canoro al volante, provate a pensare ad una circostanza molto ma molto più banale, ossia ogni volta che parliamo, che pronunciamo delle frasi.
E’ una situazione tanto banale e scontata che probabilmente pochi ci hanno mai pensato, ma se ci badate un attimo, converrete come la rapidità con cui le parole ci fluiscono alla bocca possegga un che di sbalorditivo.
Se non esistesse quello che ho chiamato “materiale mentale supersonico”, alias “in confezione espresso”, per ogni frase che siamo intenzionati a pronunziare, dovremmo spendere il doppio del tempo.
Una parte di tempo se ne andrebbe per srotolare ciascun “tappeto-parola-concetto” ed assicurarci di cosa la sua trama riporti istoriato sopra; solo nella seconda parte poi, egualmente lunga in quantità temporale, potremmo dire la nostra frase.
Invece, per ogni parola non ci serve dispiegare completamente il corrispettivo “tappeto” per sapere che è quello necessario al momento: ci basta un’occhiata mentale velocissima al rotolo ancora bello avvoltolato, per sapere all’istante che su di esso è intessuto il disegno giusto del significato che intendiamo esprimere.
Infatti, quando pronuncio una frase qualsiasi, tipo: «…il cane ha inseguito quel gatto rossiccio per 30 metri, poi il micio s’è girato di scatto e gli ha mollato un graffione sul muso…», l’impressione che ne ricavo io è che, se il tempo totale dell’operazione (pensare e dire tutto compreso) è quantificabile diciamo in un’ipotetica misura di 100, allora 97 o 98 se ne vanno per la parte parlata, mentre i restanti 2 o 3 servono per la ricerca delle parole nell’hard disk mentale.
Inoltre, la cosa che sorprende ancor di più, è che se pronuncio invece la frase: «…l’impostazione spazio-temporale del nostro vissuto fa sì che le alternative esistenziali si riducano ad un ventaglio di ipotesi dimensionalmente ben più esiguo di quanto non sia dato supporre di primo acchito …», l’impressione che di nuovo me ne deriva è che la rapidità di ricerca dei file verbali non sia molto dissimile rispetto al caso della precedente frasetta più terra terra. Certo, laddove un 98 era opposto ad un 2, qui magari la proporzione si aggiornerà ad un 94 contro 6, ma alla fine la distribuzione delle energie mentali non si discosterà di molto.
Tenendo sempre precisato che si tratta tutto di miei impressioni personali, per cui magari non è vero una cippa di niente, e continuando nel mio ipotetico ragionare, mi viene allora da dire che a far girare tutto il meccanismo del “materiale mentale supersonico” ci deve essere lo zampino di una qualche raffinatissima e multi-direzionata sinestesia.
In altre parole deve trattarsi di un settore della mente che lavora soprattutto servendosi di un “linguaggio sensoriale misto”, più che di strumenti propriamente logico-concettuali. Devono esserci dunque queste stanze, nella mente, che sanno manipolare il pensiero bypassando la fase analitica che setaccia punto per punto le parole, affidandosi invece pressoché esclusivamente a certe caratteristiche sintetiche abbinate alle parole. Così, ogni termine è riconosciuto quasi nel modo in cui si riconosce un oggetto al tatto, o un panorama alla vista, o un fiore all’olfatto, o un suono all’udito. Anzi, ogni termine è riconosciuto grazie ad una sommatoria articolata di questi estremi sensoriali diversi, in ragione di una considerazione sinestetica generale, per l’appunto.
In letteratura sono riportati casi di strabilianti fenomeni capaci di calcoli mentali complicatissimi. Da qualche parte lessi che questi stessi “calcolatori umani” spiegavano in qualche modo il loro incredibile talento ammettendo di trattare mentalmente i numeri facendo leva più su certi abbinamenti sensoriali complessi che non sulle effettive identità astratte di ciascuna cifra. In questo modo, per dire banalmente, il numero 1 ad esempio era visto come un’entità fredda, gialla e puntuta, il 3 piana, ruvida e scura, e così via, fino a creare tutto un microcosmo di “sensazioni numeriche” elaborabile con regole parallele a quelle più strettamente algebrico-matematiche.
Cosa aggiungere dunque ancora per concludere questa dissertazione-excursus linguistico-filosofico-sega-mentaleggiante?
Che a canticchiare i Queen, a volte, non solo c’è il piacere della musica, ma pure quello della conferma di care e vecchie convinzioni. Tipo quella che mi ha sempre fatto ritenere il linguaggio poggiato soprattutto sopra fondamenta sensoriali, ed i concetti, figli in primo luogo di genitori affettivi e nipoti di nonni emotivi.
E non mi sembra il caso, a questo punto, di scomodare il Vilfredo Pareto…
Oppure sì?
Da Wikipedia (prosecuzione di lettura consigliata esclusivamente a chi ha le palle ormai catafratte…) :
«…Il punto di partenza di questa nuova sociologia che, secondo Pareto, né Auguste Comte né Herbert Spencer erano stati in grado di concepire, è che nella maggior parte dei casi, l'individuo sociale si comporta in maniera non logica, ovvero senza uno scopo apparente e, comunque, senza una chiara coscienza dello scopo perseguito.
Un marinaio dell'antica Grecia che, apprestandosi a navigare, sacrifica agli dei, compie un'azione in nulla adeguata, o utile, al suo scopo di navigare. E quando parliamo, non abbiamo nessuna coscienza esplicita delle competenze grammaticali che utilizziamo per raggiungere lo scopo di enunciare frasi ben formate.
Il problema è però che l'individuo sociale, pur agendo in modo non logico, cosa che lo accomuna alle specie animali, rispetto a queste ultime presenta la caratteristica di accompagnare i propri comportamenti con delle formulazioni verbali, la cui funzione è quella di fornire un motivo del comportamento stesso. Si muore in combattimento per qualcosa che chiamiamo patria, e allo stesso tempo si sottoscrive al motto che vuole che sia dolce e meritevole di lode il morire per la patria.
La sociologia scientifica dovrà allora spiegare quali sono le costanti del comportamento sociale non logico, e quali sono le caratteristiche e la funzione del discorso sociale.
Da questo nucleo di problemi nasce la sociologia di Pareto, costituita da quattro grandi contrafforti: la teoria dell'azione non logica, la teoria dei residui e delle derivazioni, la teoria delle élites, la teoria dell'equilibrio sociale.
Quanto alla teoria dell'azione non logica, oltre a ciò che si è già anticipato, si può aggiungere che essa costituisce una classificazione dei comportamenti sociali nei suoi aspetti percettivo-motori e linguistico-cognitivi. Un particolare interesse è rivolto verso i comportamenti linguistici. Per Pareto, il linguaggio in quanto competenza grammaticale è il tipo puro di azione non logica…».
«…I can dim the lights and sing you songs full of sad things
We can do the tango just for two
I can serenade and gently play on your heart strings
Be your valentino just for you…
Ooohhh boy, ooohhh lover boy, uàcci-nà-tü-nà éh bbbboy…».
Il grammelot anglo-padano l’ho inserito sul finir di citazione giusto per ricordarvi la mia familiarità non particolarmente spiccata con la lingua di Her Majesty (e che “God” la mantenga sempre “save”…).
Se sento una canzone in inglese, faccio fatica a coglierne il testo corretto per esteso. Di questa però, almeno la strofa in questione, la ricordavo abbastanza bene, per avervene già proposto il video qui, su questi lidi bloggherecci, qualche tempo fa, con tanto di testo annesso.
Tuttavia, nel canticchiar guidando, forse per il fatto di avere una discreta quantità di attenzione già spesa all’uopo di non finire nel fosso (…possibilmente), mi sono accorto che, con il rimasuglio di concentrazione che mi rimaneva, stavo intrecciando le varie frasi, tanto che me ne venivo fuori con sortite tipo:
«…I can dim the lights and gently play on your heart strings
Be your valentino full of sad things …».
Ma la cosa buffa è stata un’altra.
Pur storpiando l’ordine dei versi a livello conscio e pronunciato, mi rendevo conto di possedere la giusta sequenza nel retrobottega tacito della mia memoria.
Com’era possibile che stessi cantando per esteso stralci di canzone in ordine errato, e nel contempo riuscissi a dominare mentalmente la sua versione messa in fila nel modo giusto?
A rigor di logica, i rispettivi tempi necessari per trattare i due “materiali verbali” (quello effettivamente cantato e quello solo pensato), avrebbero dovuto sommarsi, rendendo tutta l’operazione piuttosto lunga e complicata. Invece stavo facendo le due operazioni, impiegando a tutti gli effetti praticamente il tempo necessario per eseguirne una sola di esse.
Ed è stato lì, cari amici viandanti per pensieri, che per vostra somma gioia ho rivangato una mia vecchia meditazione inaugurata ai tempi dell’università, quando mi cimentai con un esame di psicologia, pur esulando tal materia dal corso mio principale di studi. Ricordo che fra gli argomenti coi quali gli psicologi si stavano e si stanno ancora arrovellando (e non poco), c’erano e ci sono le modalità utilizzate dal nostro cervello per “elaborare” i propri dati. In particolare, si sprecano le ipotesi circa le procedure che nella nostra scatola cranica si metterebbero in moto nel momento in cui serve recuperare un certo “file”, dall’hard disk cerebrale.
Ora, non è che voglia spacciarvi il mio modesto meditare sulle note di una canzone, per questa grande scoperta scientifica de’ noantri. Ciò che volevo condividere con voi è invece semplicemente lo stupore di fronte a questa fantastica funzionalità a disposizione della nostra zucca.
In qualche parte della nostra operatività inconsapevole, ci deve essere un settore in cui il materiale mentale, e quello verbale in particolare, viene trattato a velocità supersonica.
Non solo.
In quella dimensione sotterranea del nostro districarci cerebrale, con tutta probabilità il materiale trattato deve anche essere impacchettato con una particolarissima “confezione espresso”, ed è forse proprio questa caratteristica che lo rende plasmabile a velocità così elevate.
In questo modo, si spiegherebbe come mai sono riuscito a cantare il testo dei Queen sbagliato e pensare contemporaneamente a quello corretto, senza sforzi supplementari eccessivi. Quello che stavo cantando era un testo tutto rimescolato, ma disteso come un tappeto persiano; quello rielaborato dietro il sipario, era invece lo stesso tappeto, più ordinato ma ancora tutto arrotolato.
La mia metafora del tappeto è solo un’immagine buttata lì, ma chissà se gli studiosi preposti riusciranno mai a definire le fattezze di questo “materiale mentale supersonico”. L’impresa è ardua per definizione, in quanto, essendo tale materiale inconscio, risulta difficilissimo poterlo delimitare ed osservare direttamente nelle sue caratteristiche “oggettive”.
Andando al di à anche del mio bislacco esempio canoro al volante, provate a pensare ad una circostanza molto ma molto più banale, ossia ogni volta che parliamo, che pronunciamo delle frasi.
E’ una situazione tanto banale e scontata che probabilmente pochi ci hanno mai pensato, ma se ci badate un attimo, converrete come la rapidità con cui le parole ci fluiscono alla bocca possegga un che di sbalorditivo.
Se non esistesse quello che ho chiamato “materiale mentale supersonico”, alias “in confezione espresso”, per ogni frase che siamo intenzionati a pronunziare, dovremmo spendere il doppio del tempo.
Una parte di tempo se ne andrebbe per srotolare ciascun “tappeto-parola-concetto” ed assicurarci di cosa la sua trama riporti istoriato sopra; solo nella seconda parte poi, egualmente lunga in quantità temporale, potremmo dire la nostra frase.
Invece, per ogni parola non ci serve dispiegare completamente il corrispettivo “tappeto” per sapere che è quello necessario al momento: ci basta un’occhiata mentale velocissima al rotolo ancora bello avvoltolato, per sapere all’istante che su di esso è intessuto il disegno giusto del significato che intendiamo esprimere.
Infatti, quando pronuncio una frase qualsiasi, tipo: «…il cane ha inseguito quel gatto rossiccio per 30 metri, poi il micio s’è girato di scatto e gli ha mollato un graffione sul muso…», l’impressione che ne ricavo io è che, se il tempo totale dell’operazione (pensare e dire tutto compreso) è quantificabile diciamo in un’ipotetica misura di 100, allora 97 o 98 se ne vanno per la parte parlata, mentre i restanti 2 o 3 servono per la ricerca delle parole nell’hard disk mentale.
Inoltre, la cosa che sorprende ancor di più, è che se pronuncio invece la frase: «…l’impostazione spazio-temporale del nostro vissuto fa sì che le alternative esistenziali si riducano ad un ventaglio di ipotesi dimensionalmente ben più esiguo di quanto non sia dato supporre di primo acchito …», l’impressione che di nuovo me ne deriva è che la rapidità di ricerca dei file verbali non sia molto dissimile rispetto al caso della precedente frasetta più terra terra. Certo, laddove un 98 era opposto ad un 2, qui magari la proporzione si aggiornerà ad un 94 contro 6, ma alla fine la distribuzione delle energie mentali non si discosterà di molto.
Tenendo sempre precisato che si tratta tutto di miei impressioni personali, per cui magari non è vero una cippa di niente, e continuando nel mio ipotetico ragionare, mi viene allora da dire che a far girare tutto il meccanismo del “materiale mentale supersonico” ci deve essere lo zampino di una qualche raffinatissima e multi-direzionata sinestesia.
In altre parole deve trattarsi di un settore della mente che lavora soprattutto servendosi di un “linguaggio sensoriale misto”, più che di strumenti propriamente logico-concettuali. Devono esserci dunque queste stanze, nella mente, che sanno manipolare il pensiero bypassando la fase analitica che setaccia punto per punto le parole, affidandosi invece pressoché esclusivamente a certe caratteristiche sintetiche abbinate alle parole. Così, ogni termine è riconosciuto quasi nel modo in cui si riconosce un oggetto al tatto, o un panorama alla vista, o un fiore all’olfatto, o un suono all’udito. Anzi, ogni termine è riconosciuto grazie ad una sommatoria articolata di questi estremi sensoriali diversi, in ragione di una considerazione sinestetica generale, per l’appunto.
In letteratura sono riportati casi di strabilianti fenomeni capaci di calcoli mentali complicatissimi. Da qualche parte lessi che questi stessi “calcolatori umani” spiegavano in qualche modo il loro incredibile talento ammettendo di trattare mentalmente i numeri facendo leva più su certi abbinamenti sensoriali complessi che non sulle effettive identità astratte di ciascuna cifra. In questo modo, per dire banalmente, il numero 1 ad esempio era visto come un’entità fredda, gialla e puntuta, il 3 piana, ruvida e scura, e così via, fino a creare tutto un microcosmo di “sensazioni numeriche” elaborabile con regole parallele a quelle più strettamente algebrico-matematiche.
Cosa aggiungere dunque ancora per concludere questa dissertazione-excursus linguistico-filosofico-sega-mentaleggiante?
Che a canticchiare i Queen, a volte, non solo c’è il piacere della musica, ma pure quello della conferma di care e vecchie convinzioni. Tipo quella che mi ha sempre fatto ritenere il linguaggio poggiato soprattutto sopra fondamenta sensoriali, ed i concetti, figli in primo luogo di genitori affettivi e nipoti di nonni emotivi.
E non mi sembra il caso, a questo punto, di scomodare il Vilfredo Pareto…
Oppure sì?
*******
Da Wikipedia (prosecuzione di lettura consigliata esclusivamente a chi ha le palle ormai catafratte…) :
«…Il punto di partenza di questa nuova sociologia che, secondo Pareto, né Auguste Comte né Herbert Spencer erano stati in grado di concepire, è che nella maggior parte dei casi, l'individuo sociale si comporta in maniera non logica, ovvero senza uno scopo apparente e, comunque, senza una chiara coscienza dello scopo perseguito.
Un marinaio dell'antica Grecia che, apprestandosi a navigare, sacrifica agli dei, compie un'azione in nulla adeguata, o utile, al suo scopo di navigare. E quando parliamo, non abbiamo nessuna coscienza esplicita delle competenze grammaticali che utilizziamo per raggiungere lo scopo di enunciare frasi ben formate.
Il problema è però che l'individuo sociale, pur agendo in modo non logico, cosa che lo accomuna alle specie animali, rispetto a queste ultime presenta la caratteristica di accompagnare i propri comportamenti con delle formulazioni verbali, la cui funzione è quella di fornire un motivo del comportamento stesso. Si muore in combattimento per qualcosa che chiamiamo patria, e allo stesso tempo si sottoscrive al motto che vuole che sia dolce e meritevole di lode il morire per la patria.
La sociologia scientifica dovrà allora spiegare quali sono le costanti del comportamento sociale non logico, e quali sono le caratteristiche e la funzione del discorso sociale.
Da questo nucleo di problemi nasce la sociologia di Pareto, costituita da quattro grandi contrafforti: la teoria dell'azione non logica, la teoria dei residui e delle derivazioni, la teoria delle élites, la teoria dell'equilibrio sociale.
Quanto alla teoria dell'azione non logica, oltre a ciò che si è già anticipato, si può aggiungere che essa costituisce una classificazione dei comportamenti sociali nei suoi aspetti percettivo-motori e linguistico-cognitivi. Un particolare interesse è rivolto verso i comportamenti linguistici. Per Pareto, il linguaggio in quanto competenza grammaticale è il tipo puro di azione non logica…».
4 commenti:
lo splendido elaborator-di-parole-e-pensieri sito tra le orecchie a volte ha dei problemucci di velocità, che dire della CPU parolaia al 4-5 bicchierin dell'amaro d'erbe delle suore di vigna di sopra scalo? o alla 4-5 (se n'è perso il conto) riunione d'insulluogodilavoro (ha effetto identico all'amaro compresa l'ulcera successiva)... splendido post caro :-)
ps ammetto una mia preferenza per piaget rispetto a pareto ma l'oracolo dice nompers, quindi non mi preoccupo
@->Farly: ehehehhe :-) Grazie con maaaaoooo, cara Farly :-)
Le variabili che tu introduci però equivalgono ad un cacciavite inframmezzato allo sfarfallio della ventola del computer :-)
Anche Piaget ha il suo perchè :-) sono d'accordo :-)
Figurati che a me blogspot dice sigyng, invitandomi a cantare in uno strascicato dialetto dell'estrremo sud mississipi :-)
Bacini psicosociali :-)
molto ma molto interessante! mi sono soffermata spesso sulle diverse velocità di ragionamento di noi esseri umani, e noto che alcune menti sono stupefacenti... poi ho notato anche che la cosa subisce delle variazioni, come dire, delle influenze a seconda degli stati d'animo, dell'emotività, dell'umore.ti chiedo: mi sono incartata?
bacio, anzi batio, come mi dà blogspot nella verifica!
@->Maria Rosaria: nessun incartamento, EmRose :-) ho presente benissimo cosa intendi...
Forse sono io ad essermi prodotto in un'epsosizione confusionaria :-)
Aggiungerei che il bello di questi "esperimenti" è che si possono fare "in casa", sulla propria pelle, senza troppa spesa e scoprendo meccanismi mentali interessanti :-)
Si possono fare prove coi diversi umori che ci percorrono, oppure dopo aver bevuto un goccio e sotto altre forme di lieve deformazione mentale :-) Si possono poi sparare teorie senza tanti scrupoli, come son solito fare io...che siano veritiere o no, poco importa alla fine: quel che conta è essersi divertiti :-)
Batio è molto carino, sa di baci lisbonesi dati sorseggiando un Porto rosso :-)
Nel mio caso invece blogspot è stato un po' più "carnale" :-) mi dice infatti: bosons :-)
(...giuro, non me lo invento :-)
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