Son stati giorni di frescure quasi montane nella Bassa, una goduria agli occhi dei viventi. Il languido bisogno di un lenzuolino tirato sulle spalle durante la pennichella pomeridiana, a fine luglio, è un fenomeno che non si ricordava a memoria d’uomo.
Cacciando qualche amichevole accidente alla volta di Emilio Fede che, per rincuorare il turista condannato ai consumi forzati, lo rassicura circa il pronto ed imminente ritorno dell’anticiclone delle Azzorre col suo simpaticissimo e molto trendy caldo boia, mi sono per il momento assaporato tale incanto meteorologico.
In particolare, alcuni attimi preserali hanno fatto il loro potente ingresso in giardino baciati da una luce preziosa, complice il cielo terso in maniera inusuale per Gillipixiland e circondario. In diverse occasioni, profonde stoccate di fotoni quasi parallele al suolo hanno carezzato l’erbetta del prato alcuni momenti prima di “aranciarsi” nelle sfumature del tramonto, quasi che la palla solare si fosse degnata di posare i suoi ribollenti piedoni in qualche lontano campo di grano, dietro l’argine.
Tutto questo mi ha offerto l’occasione per rinverdire i fasti recenti di cacce grosse fotografiche e lunghi palmi di naso patiti da sgangherato fotoreporter del nulla quale io sono.
Della vecchia Ghiandy Dick, il bell’esemplare di ghiandaia che mi zonzava nel giardino alcuni mesi or sono, ancora nessuna nuova.
Chissà se la puzzettevole piumacea si trova ancora nei paraggi, fatto sta che è passato un bel po’ di tempo da quando l’avvistai l’ultima volta. Sempre restando fermo il proposito di fissarla un giorno o l’altro sui pixel della mia fotocamera, mi sono per il momento accontentato di una preda più modesta ma non per questo meno bizzosa: una leggiadra, seppur piuttosto comune, farfallina multicromatica.
Stavolta il bottino è stato ben più pingue, rispetto alla magra esperienza fatta con Ghiandy. Al termine della sessione di riprese mi sono ritrovato nel “fotiere” diverse e discrete immagini, ma…con questi graziosi animaletti da servizio fotografico ci son sempre dei “ma”: sono più capricciosi di un divo del cinema, più volubili di una stella del rock, e se alla fine la molteplicità di colori della livrea della farfallina ve la posso raccontare solo a parole, è proprio esattamente per via di quel suo svolazzare in perfetta sintonia con gli imperativi dello “star system”.
Aveva il dorso delle belle ali macchiettato di armoniosi disegni, tra l’arancio ed un nero vellutato di sfumature bluastre, ma vigliacca se ogni volta che si posava a favore di obiettivo, si è mai preoccupata di tenerle aperte!
Più incontentabile di Madonna che pretende 10 casse di acqua minerale Bertiè (…la più gasata del mondo!), pronta a 15,4 gradi centigradi esatti in ogni stanza d’albergo di ogni tappa di un suo tour di concerti.
Non c’è dubbio, doveva essere farfalla femmina, non poteva essere farfallo. Forse una top model del mondo farfallaceo: si esibiva infatti in svolazzanti ed elegantissime sfilate, in aggraziate orbite ellittiche pitturate nell’aria con tutti i colori di cui era capace, ma una volta posate le zampette sul primo piedistallo vegetale che le capitava a tiro, si mutava in un battibaleno nel monumento faunistico alla morigeratezza di costumi, serrando inesorabilmente la morsa variopinta delle sue ali.
Qui di seguito la potete ammirare mentre posa con disinvoltura su di un sontuoso tappeto di foglia di zucca (il famoso “zuck-carpet”…minchia che stron...facezia...):
Eccola invece in questo scatto, gareggiare con la leggiadria di alcuni fiorellini:
«…Non mi scomodo nemmeno ad aprire la ali…» sembra dire con sufficienza ai primi cugini della famiglia floracea, «…vi do un “due a zero” anche da chiusa…».
Notare l’aggraziata pelliccetta sfoggiata con somma eleganza a render tutta la panzetta peluriosa, sintomo preclaro anche questo di nobili e capricciose abitudini.
Alla fine, per quanto mi sforzassi di coglierla nell’attimo preciso in cui si posava, quando rimaneva ancora dispiegata per una frazione di secondo, non mi è riuscito di riprenderla nel pieno suo fulgore, e mi sono dovuto accontentare del pur pregevole sfarfallio snobistico concesso.
Si sa tuttavia che nella vita vige una legge non scritta ma assai vera, il cui primo articolo recita più o meno così: «…ad inseguir troppo belle farfalle, ci si ritrova con un pugno di mosche e gonfie molto le palle…».
Fortunatamente con gli anni, si acquista poi consapevolezza dei successivi emendamenti di tal legislazione, in particolare il quinto, che in siffatta guisa sentenzia: «…chi si addentra tra farfalle un po’ più bruttine, si ritrova a goder d’intimità sopraffine…».
E puntualmente la legge ha fatto il suo corso anche nella mia metaforica e piccola preserale avventura esistenzial-fotografica-floro-faunistica.
Quando ho tirato su la tapparella per fare entrare nella camera un po’ di brezzolina rinfrescante, chi non ti ho ritrovato infatti posata sulla tenda? La cara e vecchia falena, ruspante e disponibile nei suoi amorevoli colori smorti, sì, ma pieni di sincera e spalancata affabilità.
Cacciando qualche amichevole accidente alla volta di Emilio Fede che, per rincuorare il turista condannato ai consumi forzati, lo rassicura circa il pronto ed imminente ritorno dell’anticiclone delle Azzorre col suo simpaticissimo e molto trendy caldo boia, mi sono per il momento assaporato tale incanto meteorologico.
In particolare, alcuni attimi preserali hanno fatto il loro potente ingresso in giardino baciati da una luce preziosa, complice il cielo terso in maniera inusuale per Gillipixiland e circondario. In diverse occasioni, profonde stoccate di fotoni quasi parallele al suolo hanno carezzato l’erbetta del prato alcuni momenti prima di “aranciarsi” nelle sfumature del tramonto, quasi che la palla solare si fosse degnata di posare i suoi ribollenti piedoni in qualche lontano campo di grano, dietro l’argine.
Tutto questo mi ha offerto l’occasione per rinverdire i fasti recenti di cacce grosse fotografiche e lunghi palmi di naso patiti da sgangherato fotoreporter del nulla quale io sono.
Della vecchia Ghiandy Dick, il bell’esemplare di ghiandaia che mi zonzava nel giardino alcuni mesi or sono, ancora nessuna nuova.
Chissà se la puzzettevole piumacea si trova ancora nei paraggi, fatto sta che è passato un bel po’ di tempo da quando l’avvistai l’ultima volta. Sempre restando fermo il proposito di fissarla un giorno o l’altro sui pixel della mia fotocamera, mi sono per il momento accontentato di una preda più modesta ma non per questo meno bizzosa: una leggiadra, seppur piuttosto comune, farfallina multicromatica.
Stavolta il bottino è stato ben più pingue, rispetto alla magra esperienza fatta con Ghiandy. Al termine della sessione di riprese mi sono ritrovato nel “fotiere” diverse e discrete immagini, ma…con questi graziosi animaletti da servizio fotografico ci son sempre dei “ma”: sono più capricciosi di un divo del cinema, più volubili di una stella del rock, e se alla fine la molteplicità di colori della livrea della farfallina ve la posso raccontare solo a parole, è proprio esattamente per via di quel suo svolazzare in perfetta sintonia con gli imperativi dello “star system”.
Aveva il dorso delle belle ali macchiettato di armoniosi disegni, tra l’arancio ed un nero vellutato di sfumature bluastre, ma vigliacca se ogni volta che si posava a favore di obiettivo, si è mai preoccupata di tenerle aperte!
Più incontentabile di Madonna che pretende 10 casse di acqua minerale Bertiè (…la più gasata del mondo!), pronta a 15,4 gradi centigradi esatti in ogni stanza d’albergo di ogni tappa di un suo tour di concerti.
Non c’è dubbio, doveva essere farfalla femmina, non poteva essere farfallo. Forse una top model del mondo farfallaceo: si esibiva infatti in svolazzanti ed elegantissime sfilate, in aggraziate orbite ellittiche pitturate nell’aria con tutti i colori di cui era capace, ma una volta posate le zampette sul primo piedistallo vegetale che le capitava a tiro, si mutava in un battibaleno nel monumento faunistico alla morigeratezza di costumi, serrando inesorabilmente la morsa variopinta delle sue ali.
Qui di seguito la potete ammirare mentre posa con disinvoltura su di un sontuoso tappeto di foglia di zucca (il famoso “zuck-carpet”…minchia che stron...facezia...):
Eccola invece in questo scatto, gareggiare con la leggiadria di alcuni fiorellini:
«…Non mi scomodo nemmeno ad aprire la ali…» sembra dire con sufficienza ai primi cugini della famiglia floracea, «…vi do un “due a zero” anche da chiusa…».
Notare l’aggraziata pelliccetta sfoggiata con somma eleganza a render tutta la panzetta peluriosa, sintomo preclaro anche questo di nobili e capricciose abitudini.
Alla fine, per quanto mi sforzassi di coglierla nell’attimo preciso in cui si posava, quando rimaneva ancora dispiegata per una frazione di secondo, non mi è riuscito di riprenderla nel pieno suo fulgore, e mi sono dovuto accontentare del pur pregevole sfarfallio snobistico concesso.
Si sa tuttavia che nella vita vige una legge non scritta ma assai vera, il cui primo articolo recita più o meno così: «…ad inseguir troppo belle farfalle, ci si ritrova con un pugno di mosche e gonfie molto le palle…».
Fortunatamente con gli anni, si acquista poi consapevolezza dei successivi emendamenti di tal legislazione, in particolare il quinto, che in siffatta guisa sentenzia: «…chi si addentra tra farfalle un po’ più bruttine, si ritrova a goder d’intimità sopraffine…».
E puntualmente la legge ha fatto il suo corso anche nella mia metaforica e piccola preserale avventura esistenzial-fotografica-floro-faunistica.
Quando ho tirato su la tapparella per fare entrare nella camera un po’ di brezzolina rinfrescante, chi non ti ho ritrovato infatti posata sulla tenda? La cara e vecchia falena, ruspante e disponibile nei suoi amorevoli colori smorti, sì, ma pieni di sincera e spalancata affabilità.