(Fotomontaggio di Gillipixel)
Ci devono essere dei pacchetti di emozione che andiamo a pescare nel data-base dell’anima a seconda delle occasioni. Una sorta di cartellette del nostro “windows dei sentimenti”, che fanno capolino nell’animo già preconfezionate, quando incorriamo in determinate situazioni o particolari condizioni emotive al contorno, e in automatico emergono a pelle quasi incontrollabili.
Non lo dico in base agli esiti dell’ultimo studio commissionato al professor Futilius della “John Nosense University”, non preoccupatevi: per sostenere questa preclara tesi non è stata sprecata nemmeno una ghinea, non sono stati allestiti gruppi sperimentali, non sono stati maltrattati animali, non sono stati fatti spot pubblicitari e non è stata costruita nemmeno una nuova automobile ad incrementare l’impestamento del mondo causato da quelle odiose scatole di latta (un giorno scriverò un articolo contro le automobili, e sarà un capolavoro di incoerenza e rabbia…). Anzi, i fondi eventualmente raccolti con la divulgazione di tale verità inconfutabilmente soggetta a dubbio, saranno devoluti in favore della liberazione di Vladimir Luxuria dall’Isola dei famosi.
Per questo “studio”, dicevo, non sono stati investiti fondi, ma solamente un pisolo di dimensioni ragguardevoli, speso da me medesimo disteso con sommo sprezzo del pericolo davanti alla tele. La tv per questo scopo è uno strumento potentissimo: aiuta a far sonni che partono a motore caldo, belli carichi di un loro flusso informativo già messo in moto (la metafora motoristica mi ripugna, ma in questo caso veniva bene…). E nel rimescolio di video, sogni, sonoro e sprazzi di dormiveglia, possono spuntare piccole folgorazioni concettuali niente male.
Un’osservazione del genere l’ho sentita fare una volta anche dal geniale creatore dei Momix, Moses Pendleton. Alcune delle intuizioni riversate poi nelle sue stupende coreografie sono scaturite proprio fra le pieghe di quei momenti di sonnolenza molesta ai quali ci si abbandona talvolta dopo una grande fatica, e si dormicchia un po’ così, senza meta, con alternanza di piccoli risvegli da ricacciare subito indietro, sotto il velo di un nuovo sogno.
In buona sostanza, Johnny…cosa ho scoperto facendo lo slalom fra i miei sogni catodici? In poche parole, quella che mi sono sognato è la cartella delle emozioni salvata nel mio “disco C" emotivo con il nome di “Film di crisi anni ‘70”. E proprio da lì, per la pregnanza della sensazione, mi è scattata la suggestione dell’esistenza di queste directory emozionali.
Le fattezze esteriori del sogno riportate a parole non diranno molto. Ma lo sapete come succede nei sogni, immagine e sensazione vanno molto spesso ciascuna per loro conto. C’era questo tipo, che al tempo stesso ero io ed era il protagonista di un film, sullo sfondo di una vasta distesa di “paesaggio americano” in salita, col sole quasi di fronte. Lungo una carraia che segnava tutta la china a metà, spelacchiandone il prato, c’è un furgoncino, tipo pick-up. Il personaggio-io imbraccia un potente fucile, e ad un certo punto fa fuoco sul retro del veicolo (devo smetterla di odiare le automobili…), e dalle immagini del sogno non si capisce, ma la storia emotiva sottintesa racconta che l’uomo alla guida ha fatto una brutta fine, e che lo sparatore è preda ora di mille tormenti di coscienza per quel gesto che tuttavia lui, per qualche motivo esistenziale profondissimo, “doveva” fare.
Queste poche scene però sono state solo la superficie del trambusto di emozioni provate: sotto alle immagini sognate c’erano tutto il rimorso, i sensi di colpa, gli smarrimenti, la fierezza di esser perdenti, la fatale impotenza contro la crudeltà del destino, la catarsi angosciosa, l’apocalittica sensazione diffusa del “Laureato” e di “Cane di paglia”, di “Kramer contro Kramer” e “L’inferno di cristallo”, dei “Tre giorni del condor” e di “Brubaker”, di “Incompreso” e “L’albero di Natale”, di “Tom Horn” e “Soldato blu”, di “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” e “Piccolo grande uomo”. È stato così che tutto il pacchetto emotivo mi si è profilato nella sua nitidezza, coi suoi contorni ben definiti giallo paglierino: era esattamente una cartella di sensazioni ben precise.
(P.s.: alcuni dei film citati non rientreranno propriamente nella decade 1970, ma la suddivisione intesa faceva più riferimento a dei confini estetico-esistenziale che non a delimitazioni di carattere strettamente cronologico)
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