Se un giorno vi andasse di conoscere un tizio che di economia ne capisce esattamente una lussureggiante fava, non dovreste far altro che farmi un fischio e dirmelo.
Arriverei lì in un battibaleno per i convenevoli di rito: «...Permette? Mi presento, so' er sòr Gillipixel: ignorante in economia, summa cum laude!!!...».
Prendete dunque, se volete, quanto sto per scrivere come una serie di candide frescacce di un ingenuo. So che ci siete abituati, perché è così per ogni cosa che scrivo, ma ogni tanto è bello anche ricordarlo.
Tutto è iniziato dalla delusione cagionata da un prezzo troppo basso. Siamo a questo paradosso ormai. Vai in un negozio, che ti serve “una roba”, e in testa ti fai un piccolo preventivo, un'aspettativa di quanto pensi di spendere. Anche se si tratta di un articolo di minimo valore, è un meccanismo che viene spontaneo, tutte le volte.
Ora, da che mondo era mondo, succedeva così: giungevi nella bottega e quasi regolarmente trovavi un prezzo più alto di quello che credevi. Era quasi nella logica umana e delle cose.
E invece no, stavolta è stato l'opposto: il prezzo era molto più basso di quanto pensassi e la faccenda, invece di rincuorarmi, mi ha messo addosso un po' di mestizia. Si trattava di uno di quegli aggeggi per l'auto, quei parasole in pellicola d'alluminio, per il parabrezza (in pellicola di vetro, questo...ehehehehe, battutona!).
Avevo ipotizzato una decina di euro. E invece ne hanno voluti solo tre. Ovviamente era “made in China”.
Si obietterà: e che? Hai pagato poco e ti lamenti pure? Ma no, non è questo il punto. Non sono certo il tipo che ama sbattere via i soldi, e tanto meno scialare per il puro gusto di farlo. E' che questo non mi sembra più nella logica umana e delle cose.
Delle cose, o anche della “roba”. Prima non ho usato a caso questo piccolo vocabolo così denso di sfumature, nella nostra bella lingua italiana. Nella mia confusione mentale, questa parolina mischia insieme reminiscenze verghiane (nel senso di Giovanni Verga) con remote eco delle teorie di Marx.
Non ho mai avuto uno spiccato fiuto per il realismo materialistico, anzi, per mia natura tendo di preferenza a perdermi fra le nuvole di un mondo di elucubrazioni tutte mie, fumose e poco concrete. In altre parole, Pindaro ed io ci serviamo spesso della stessa compagnia aerea.
Ma il mio “pindareggiare” non è così pervasivo da farmi perdere di vista l'importanza della “roba”.
La “roba” è il nostro mondo, in fin dei conti.
Tutte le cose che ci circondano, a partire dai piccoli utensili quotidiani più immediati (le posate, per fare un esempio banale, oppure tutti gli aggeggi per l'igiene personale, o gli oggetti non direttamente utili a scopi pratici, ma carichi di valenze affettive, e così via...), per arrivare agli artefatti più complessi e riccamente carichi di un alto “valore intellettivo e tecnico aggiunto”(il pc che avete dinnanzi, la casa che vi accoglie in questo momento, la vostra bici, il vostro scooter, la vostra auto, ecc.), tutte le cose che ci circondano, dicevo, non solo ci circondano, ma sono in qualche modo parte di noi stessi e della nostra identità, sono “significati diffusi” nello spazio e nel tempo della nostra esistenza.
In questa prospettiva, mi sento di poter dire che alla “roba” bisogna voler bene. Non mi si fraintenda, il riferimento non è ad una sorta di neo-feticismo, di morbosità paranoide, da rivolgere verso le cose. No, quel che intendo invece è che portare rispetto alle cose equivale al portare rispetto alla nostra esistenza stessa. Sto parlando di una sorta di “ecologia delle cose”.
Ma cosa c'entra tutto questo con dei parasole per auto schivati quasi per miracolo, mentre me li tiravano dietro, tanto erano a buon mercato?
Credo che c'entri qualcosa, perché fra i vari aspetti che conseguono a questa globale “cinesizzazione” dell'economia, a mio avviso si affaccia anche questa conseguenza umiliante: il venir meno del rispetto per la “roba”.
Non che nei decenni addietro questa tendenza fosse sconosciuta, anzi.
Il meccanismo dell'usa e getta, soprattutto quando in combutta con la strategia dell'obsolescenza programmata (tanto per citare solo due fra le più clamorose “distorsioni” della modernità), mica lo avevano inventati i cinesi.
Ma la “cinesizzazione” economica del mondo mi pare che abbia dato un'accelerata vertiginosa verso il baratro della completa mancanza di rispetto per la “roba”. Non so se succede solo a me, ma mi è capitato a volte di acquistare roba rigorosamente “made in China” e di provare la sensazione di aver comprato direttamente già un rifiuto. Certo, mi riferisco a quei particolari articoli a prezzi stracciatissimi, tipo, una volta, un paio di guanti da pochi euro, che non tenevano il freddo per niente e dopo una settimana cominciavano già a cedere clamorosamente nelle cuciture, tanto da essere praticamente già pronti per la pattumiera dopo soli pochi giorni di utilizzo.
Dice: ma non comprare cinese. Eh, va beh, faccio il possibile, ma è una parola con l'invasione che si profila.
Che poi uno (e qui entrano in scena stralci dispersi delle mie confuse nozioni marxiane), pensando a tutta questa valanga di merci a prezzi così irrisori che sommerge il pianeta, riflette anche su quanto poco sia tenuta in conto la dignità umana dei milioni di individui coinvolti nella produzione di questa “roba” ingiuriosamente svilita.
E viene pure in mente che allora tutto si gioca esattamente lì, nel valore del lavoro, della mano d'opera, ossia, ancora una volta, il nodo cruciale ruota attorno all'esistenza umana.
Si ha la sensazione che il “non rispetto” della dignità umana che produce, si rifletta alla fine nella dignità perduta di questa “roba” inflazionata, che sembra non esigere più nemmeno una minima parte del rispetto un tempo richiesto a chi la utilizzava.
Cose prodotte pagando pochissimo il lavoro, sono vendute a pochissimo, ma l'uomo è completamente sparito, da un capo all'altro di questa degradante sequela di “non rispetto”.
L'amore per il fare, completamente spazzato via, è precisamente rispecchiato dal disamore finale per la “roba” stessa che non vale più nulla.
Certo, lo stesso discorso valeva e vale pure per un paio di scarpe da ginnastica pagate 200 euro nel negozio ganzo e alla moda: sempre gente pagata niente c'è dietro!
Fatto sta che alla fine, ti vien da sbottare: «...Ma minchia, quel gran barbone di Treviri! E mica c'aveva tutti i torti...».
Ma forse questi sono pensieri e meccanismi troppo grandi, per le sgangherate dissertazioni d'un modesto viandante per pensieri. Nel nostro piccolo tuttavia, una cosa possiamo probabilmente ancora fare: cercare di volere bene alla nostra “roba”, pensando sempre che non è mai un'entità del tutto inerte e neutrale, ma significa sempre anche vita viva di donne e uomini.
Arriverei lì in un battibaleno per i convenevoli di rito: «...Permette? Mi presento, so' er sòr Gillipixel: ignorante in economia, summa cum laude!!!...».
Prendete dunque, se volete, quanto sto per scrivere come una serie di candide frescacce di un ingenuo. So che ci siete abituati, perché è così per ogni cosa che scrivo, ma ogni tanto è bello anche ricordarlo.
Tutto è iniziato dalla delusione cagionata da un prezzo troppo basso. Siamo a questo paradosso ormai. Vai in un negozio, che ti serve “una roba”, e in testa ti fai un piccolo preventivo, un'aspettativa di quanto pensi di spendere. Anche se si tratta di un articolo di minimo valore, è un meccanismo che viene spontaneo, tutte le volte.
Ora, da che mondo era mondo, succedeva così: giungevi nella bottega e quasi regolarmente trovavi un prezzo più alto di quello che credevi. Era quasi nella logica umana e delle cose.
E invece no, stavolta è stato l'opposto: il prezzo era molto più basso di quanto pensassi e la faccenda, invece di rincuorarmi, mi ha messo addosso un po' di mestizia. Si trattava di uno di quegli aggeggi per l'auto, quei parasole in pellicola d'alluminio, per il parabrezza (in pellicola di vetro, questo...ehehehehe, battutona!).
Avevo ipotizzato una decina di euro. E invece ne hanno voluti solo tre. Ovviamente era “made in China”.
Si obietterà: e che? Hai pagato poco e ti lamenti pure? Ma no, non è questo il punto. Non sono certo il tipo che ama sbattere via i soldi, e tanto meno scialare per il puro gusto di farlo. E' che questo non mi sembra più nella logica umana e delle cose.
Delle cose, o anche della “roba”. Prima non ho usato a caso questo piccolo vocabolo così denso di sfumature, nella nostra bella lingua italiana. Nella mia confusione mentale, questa parolina mischia insieme reminiscenze verghiane (nel senso di Giovanni Verga) con remote eco delle teorie di Marx.
Non ho mai avuto uno spiccato fiuto per il realismo materialistico, anzi, per mia natura tendo di preferenza a perdermi fra le nuvole di un mondo di elucubrazioni tutte mie, fumose e poco concrete. In altre parole, Pindaro ed io ci serviamo spesso della stessa compagnia aerea.
Ma il mio “pindareggiare” non è così pervasivo da farmi perdere di vista l'importanza della “roba”.
La “roba” è il nostro mondo, in fin dei conti.
Tutte le cose che ci circondano, a partire dai piccoli utensili quotidiani più immediati (le posate, per fare un esempio banale, oppure tutti gli aggeggi per l'igiene personale, o gli oggetti non direttamente utili a scopi pratici, ma carichi di valenze affettive, e così via...), per arrivare agli artefatti più complessi e riccamente carichi di un alto “valore intellettivo e tecnico aggiunto”(il pc che avete dinnanzi, la casa che vi accoglie in questo momento, la vostra bici, il vostro scooter, la vostra auto, ecc.), tutte le cose che ci circondano, dicevo, non solo ci circondano, ma sono in qualche modo parte di noi stessi e della nostra identità, sono “significati diffusi” nello spazio e nel tempo della nostra esistenza.
In questa prospettiva, mi sento di poter dire che alla “roba” bisogna voler bene. Non mi si fraintenda, il riferimento non è ad una sorta di neo-feticismo, di morbosità paranoide, da rivolgere verso le cose. No, quel che intendo invece è che portare rispetto alle cose equivale al portare rispetto alla nostra esistenza stessa. Sto parlando di una sorta di “ecologia delle cose”.
Ma cosa c'entra tutto questo con dei parasole per auto schivati quasi per miracolo, mentre me li tiravano dietro, tanto erano a buon mercato?
Credo che c'entri qualcosa, perché fra i vari aspetti che conseguono a questa globale “cinesizzazione” dell'economia, a mio avviso si affaccia anche questa conseguenza umiliante: il venir meno del rispetto per la “roba”.
Non che nei decenni addietro questa tendenza fosse sconosciuta, anzi.
Il meccanismo dell'usa e getta, soprattutto quando in combutta con la strategia dell'obsolescenza programmata (tanto per citare solo due fra le più clamorose “distorsioni” della modernità), mica lo avevano inventati i cinesi.
Ma la “cinesizzazione” economica del mondo mi pare che abbia dato un'accelerata vertiginosa verso il baratro della completa mancanza di rispetto per la “roba”. Non so se succede solo a me, ma mi è capitato a volte di acquistare roba rigorosamente “made in China” e di provare la sensazione di aver comprato direttamente già un rifiuto. Certo, mi riferisco a quei particolari articoli a prezzi stracciatissimi, tipo, una volta, un paio di guanti da pochi euro, che non tenevano il freddo per niente e dopo una settimana cominciavano già a cedere clamorosamente nelle cuciture, tanto da essere praticamente già pronti per la pattumiera dopo soli pochi giorni di utilizzo.
Dice: ma non comprare cinese. Eh, va beh, faccio il possibile, ma è una parola con l'invasione che si profila.
Che poi uno (e qui entrano in scena stralci dispersi delle mie confuse nozioni marxiane), pensando a tutta questa valanga di merci a prezzi così irrisori che sommerge il pianeta, riflette anche su quanto poco sia tenuta in conto la dignità umana dei milioni di individui coinvolti nella produzione di questa “roba” ingiuriosamente svilita.
E viene pure in mente che allora tutto si gioca esattamente lì, nel valore del lavoro, della mano d'opera, ossia, ancora una volta, il nodo cruciale ruota attorno all'esistenza umana.
Si ha la sensazione che il “non rispetto” della dignità umana che produce, si rifletta alla fine nella dignità perduta di questa “roba” inflazionata, che sembra non esigere più nemmeno una minima parte del rispetto un tempo richiesto a chi la utilizzava.
Cose prodotte pagando pochissimo il lavoro, sono vendute a pochissimo, ma l'uomo è completamente sparito, da un capo all'altro di questa degradante sequela di “non rispetto”.
L'amore per il fare, completamente spazzato via, è precisamente rispecchiato dal disamore finale per la “roba” stessa che non vale più nulla.
Certo, lo stesso discorso valeva e vale pure per un paio di scarpe da ginnastica pagate 200 euro nel negozio ganzo e alla moda: sempre gente pagata niente c'è dietro!
Fatto sta che alla fine, ti vien da sbottare: «...Ma minchia, quel gran barbone di Treviri! E mica c'aveva tutti i torti...».
Ma forse questi sono pensieri e meccanismi troppo grandi, per le sgangherate dissertazioni d'un modesto viandante per pensieri. Nel nostro piccolo tuttavia, una cosa possiamo probabilmente ancora fare: cercare di volere bene alla nostra “roba”, pensando sempre che non è mai un'entità del tutto inerte e neutrale, ma significa sempre anche vita viva di donne e uomini.
4 commenti:
cara la mia mezza chimera, quella tristezza per il mancato rispetto del lavoro viene anche a me quando compro cose a pochissimo, vivendo a chinatown ho mille occasioni per constatare questo. quando poi le cose comprate a due soldi mi durano anche, insomma non sono affatto di cattiva qualità, mi viene il furore per il negozio fighetto, dove la stessa cosa costa 10 volte tanto, guardo la vetrina e mi sento un pollo da spennare.
il punto è che nella società del capitale, dove il consumo è ciò che tiene in piedi l'economia globale, ogni "consumatore" (non più persona) è per definizione un pollo da spennare. ma questo modo di vedere l'essere umano è poi così diverso dal ruolo che le persone comuni (non quelle che detenevano il potere) avevano nelle società pre-industriali? sempre polli da spennare siamo stati, solo che ora ci hanno pure convinto che possiamo essere contenti di questo, perché quanto è bella la vita con lo schermo al plasma, e/o l'ipad, e/o la moto nuova etc etc etc !!! baci marxisti
@->Farly: grazie, Farly :-) nessuna chiosa poteva essere migliore della tua...infatti, è il senso d'impotenza che alla fine prevale...il ritorno ai bei tempi andati è pura utopia, perchè quei tempi ci furono sì, ma mai così belli come li dipinge l'effetto nostalgia :-) e del resto il meccanismo è grande, troppo grande per ciascun singolo...nel mio piccolo, io cerco di far durare le cose il più possibile, di non piegarmi troppo alla dittatura dell'usa e getta, ma anche questo è come fermare una valanga con un ombrello :-)
gulprode dice blogspot non a caso, una parola composta d'origine visigota, dalla duplice interpretazione: può essere letta come un'esortazione al valoroso combattente spirituale: "...gul! Oh prode!...", oppure come rosicamento solingo con deriva fumettistica: "...gulp...rode..."
:-)
Bacini neo-sobri :-)
Vero, la roba non ha più valore, è diventata "usa e getta", e anche a livello ambientale, oltre che sociologico e psicologico è un gran danno...Lo fanno apposta, quelli che di economia se ne intendono, lo fanno apposta a rovinarci, dimenticando che anche loro fanno parte di questo mondo e che anche loro pagheranno le conseguenze delle loro azioni.
@->Amauroto: ciao Mattea, ben ritrovata fra i miei commenti :-) sì, è una cosa sconsolante, perchè poi è un meccanismo così grande che non si sa quasi come reagire...tra l'altro, ho giustappunto finito di leggere "Gomorra" pochi minuti fa...altre badilate di sconforto riguardo al non rispetto per il mondo :-(
Va beh...cioè, no: va mal...
Niante, ciau :-)
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