«...in a screaming ring of faces I seen her standing in the light
she had a ticket for the races just like me she was a victim of the night...»
“Tunnel of love”
Dire Straits - 1980
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Da ragazzino, quando ero un fumettaro veramente incallito e particolarmente trasognato, avrei voluto sapere tante cose sulle origini dei miei eroi di cartone prediletti. Dov’erano nati, chi erano i loro genitori, com’era stata la loro infanzia, se avevano fratelli o sorelle, che mestieri avevano fatto (se ne avevano fatti), quali amori avevano avuto, e così via. Tutte queste cose le avrei volute sapere riguardo ad Alan Ford, Tex Willer, Zagor, Mister No, Reed Richards, John e Sue Storm, Bob Rock, il conte Oliver, Grunf e tutti gli altri che adoravo.
Sono contento di aver vissuto l’acme della mia passione per i fumetti mentre avevo un’età in cui i miei beniamini dal “fiato parlante” li potevo quasi sentire come degli amici reali, essendo io calato all’epoca proprio in quel particolare limbo emotivo, a metà strada tra l’amore per l’immaginato e le continue proiezioni di esso nel mondo concreto, che caratterizza appunto l’era della fanciullezza.
Solo in seguito ho compreso meglio quanto poco sensato fosse quel mio desiderio di sapere di più della biografia degli amati personaggi dei fumetti. L’incanto stesso del racconto nel quale erano immersi pretendeva che le loro vite rimanessero sempre sospese in una nuvola di “indefinitezza temporale” appositamente architettata dagli autori delle storie, per mantenere sempre vivo il loro fascino di entità votate ad un presunto eterno presente. Ecco perché, nei vari episodi, i riferimenti ai trascorsi biografici di ogni personaggio erano centellinati con il misurino: non potevano essere confusi con gli uomini in carne ed ossa, e pur recandone in apparenza tutte le caratteristiche essenziali, ne erano in fondo dei simulacri privilegiati, immuni dal tempo normalmente inteso. In caso contrario, sarebbero risultati uomini o donne qualsiasi.
Se così fosse andata la faccenda, che gusto ci sarebbe stato? Dove si sarebbe smarrito tutto il loro potenziale fascino, la loro peculiare capacità di far sognare il lettore?
Nonostante tutto ciò, all’epoca della mia maggiore infatuazione fumettistica, accoglievo sempre con gioia ogni nuovo giornalino che introducesse anche il minimo spiraglio di rivelazioni sul passato dei miei cartonati amici.
Mi godevo la mia ignoranza, mi gustavo il mio diritto di non saperne nulla dei meccanismi narrativi del fumetto e della fiction in genere, pur intuendoli vagamente nel mio inconscio di piccolo appassionato di storie e “fole contate”.
Oggi l’ho presa su un po’ alla larga, ho fatto tutto un giro intorno, per arrivare a dire che secondo me, in fondo, anche il “personaggio” di Gillipixel è da considerarsi come una specie di fumetto.
E con questo? No, niente.
Con questo intendo semplicemente dire che anche cotesto presunto personaggio fumettistico che è Gillipixel, gode di una sorta di immunità biografica. Anche per questo motivo, di Gillipixel, gli elementi derivati effettivamente dalla “sua” vita vera, sono rari e “sublimati”. Gillipixel sono io e non sono io, entrambi raccontati da me, senza concedere troppi particolari di me, ma entrando talvolta sufficientemente nei dettagli per far capire qualcosa di me che è molto più del semplice me magari conosciuto nella realtà concreta.
Capito ‘na minchia, vero? Devo ridirla più lentamente?
Ma no, forse è meglio che vi racconti l’episodio nel quale presumo risieda l’origine di tutta la mia stramberia, che a sua volta è la causa primaria dell’intero mio modo di dare forma a questo blog.
Doveva essere l’anno della quarta elementare, se non vado errato, ma poco importa la precisione netta. Io ero il solito bambinetto riservato e diligente (forse più per pigrizia che per altro…).
Piccolo “inciso-premessa”: a Gillipixiland la bici è un prolungamento naturale della persona. Incontrare un tizio a piedi lungo una strada appena fuori dal centro abitato equivale quasi alla stranezza di vederlo girare in mutande. A parte chi gira in auto o altri mezzi motorizzati, una persona in giro per Gillipixiland è veramente degna di essere chiamata tale quando si “centaurizza” facendosi propaggine di una sella, due pedali, un manubrio e compagnia velocipeda bella.
Dovete dunque sapere che io, nel lasso di mia bambinitudine, una bici nuova tutta per me non la possedetti mai. Dal punto di vista “biciclistico”, ho sempre ereditato dal parentado vario oppure usufruito di mezzi rigorosamente usati. A casa mia, le spartane tradizioni contadine regnavano sovrane, con tutto il loro strascico di austerità e risparmio solenne, per cui una catena che aveva già girato migliaia di volte sotto la spinta di altri polpacci, poteva benissimo continuare a fare il suo morchioso dovere anche sollecitata dalle mie gambette di sbarbatello.
Questa cosa, da piccolo, ad ogni “nuova” bici usata su cui andavo a posare le mie fanciullesche terga, mi ha sempre trasmesso una punta di delusione. Poi passava il momento iniziale, mi affezionavo al mio ferreo cavallino di turno, e tutto si sistemava.
Il fatto più buffo è che alla fine, divenuto grande, la prima bici nuova vera e propria, con sella intonsa da qualsivoglia precedente aderenza chiappale altrui, me la concessi quando ormai avevo imparato ad apprezzare le bici vecchie, tuttora i miei cavalli d’acciaio preferiti.
Tornando a bomba, stavo dicendo che allora sarà stato all’incirca l’anno della quarta elementare, ed io ero fresco di regalo della mia seconda bici “nuova” usata. Fino a quel momento avevo scorrazzato su di una graziellina minuscola, ma ormai le mie leve stavano diventando eccessive per quei calibri ridotti, con conseguente sinfonia di ginocchiate in do minore per manubrio e leve dei freni.
Quella che mi arrivò però fu una delle biciclettine più deludenti di sempre. Non era né da bambino, né da ragazzo, né tanto meno da uomo. La sua misura ibrida ed intermedia fra quelle che nella mia immaginazione di allora reputavo essere canoniche, me la faceva pensare con leggero disappunto come una bici da “ometto”. Per dirla con un’espressione dei miei eroi di cartone: puah!
Il disagio si acuì nell’attimo in cui montai in sella: il manubrio era già ammaccato e l’impressione della ruota protrusa spropositatamente in avanti rispetto alla mia limitata esperienza ciclistica precedente, era sgradevole e disorientante. Però come per ogni altra bici, alla fine mi ci affezionai, anzi, dopo un po’ ne andavo fiero perché era unica rispetto a tutte quelle dei miei amici.
L’episodio chiave avvenne un giorno che pioveva da bestia e il fatto di averlo vissuto in sella alla mia biciclina ormai divenuta fedele compagna di scorribande, ne accresce il valore ai miei occhi. La campanella di fine lezioni suonò ed io mi fiondai in strada a pedalare indiavolato sotto l’acqua, parandomi dall’infida pioggia di “stravento” con l’ombrello messo praticamente “a parete” di fronte al manubrio.
Ero già agitato di mio, perché nel primo pomeriggio mi attendeva il detestato corso di nuoto, in città. Quel corso proprio mi repelleva per la presenza di uno “pseudo-maestro-kaiser-terzo” che, opportunamente dosato nel corso delle loro carriere, avrebbe fatto passare la voglia di scendere in una piscina anche a Johnny Weissmuller, Mark Spitz e Ian Thorpe messi insieme.
Chissà cosa mi passava per la mente dunque mentre affrontavo la piccola curva a gomito verso casa, imboccando il viale e non vedendo assolutamente una mazza per via dell’ombrello-sipario che mi precedeva. Non vedevo, ma sentii benissimo la craniata micidiale che andai a sbattere contro il cassone di un camion parcheggiato lungo il ciglio della strada: come aveva osato mettersi sulla mia traiettoria? Non usava, nel galateo dei camion in sosta, cedere il passo ad un bambino che va di fretta sotto l’ombrello col suo biciclino?
Fu una botta tremenda, non meno intensi lo stupore e lo shock. Mi fermai mezzo intontito e spaventato, l’ombrello semicalato ed il fiato tagliato a fette dall’agitazione. Mi portai la mano alla fronte. Per quel che ne capivo in quegli attimi di confusione, non sembravano esserci conseguenze, a parte un male boia. Stetti fermo giusto un minuto per ripigliarmi un minimo, e ricordo che, riportando di nuovo la mano alla testa, tastai un bozzo enorme che mi era lievitato, una sorta di cornino proprio nella parte frontale alta del cranio. L’agitazione crebbe a dismisura e mi affrettai a correre a casa di volata.
Una volta riavvolto nel conforto delle mura domestiche, credo che la tensione accumulata per l’episodio svaccasse al completo, perché vomitai, per la tremenda reazione emotiva immagino, e mi venne subito la febbre. L’unico pensiero che mi dava gran conforto, era che per quel giorno mi ero risparmiato le lezioni di quel despota del nuoto, che ignorava lo stile libero e imponeva solo quello tirannico. In un paio di giorni mi ripresi, ma credo che la mia bizzarria mentale e la mia immaginazione sgangherata scaturirono proprio da quella incredibile botta, da quel donchisciottesco colpo di testa assetato ad un camion che si ostinò a non voler entrare in gol.
Ecco perché vi dicevo prima che Gillipixel è un fumetto, un cartone animato: perché come capita ai fumetti, una volta gli si gonfiò sulla fronte un bozzo di alcuni centimetri, nel giro di pochi secondi. Ma soprattutto perché non so ancora bene se la cosa accadde a Gillipixel o a me.
10 commenti:
Non so Gill, o sei in preda ad una crisi di identità o il botto alla testa ha portato a galla tutta la tua simpatia :)))
Ciao con bacini da fumetto...
Lara
@->Lara: eheheheh :-) forse più la prima della seconda che hai detto, Lara :-)
Ma a parte tutti gli scherzi, quello dello scontro col camion fu un evento molto significativo della mia vita...non so spiegare bene perchè, ma sento che è così :-)
Bacini cartoni animati :-)
Mi sa che la botta in testa ti ha condizionato sulle scelte dei pezzi musicali che secondo me non si addicono all'idea fummetto che mi sono fatta di te.
Sono proprio agli "antilopi" dell'anima che esce fuori dai tuoi post...
bip, bip...
@->Marisa: forse è per via del fatto che nell'essenza di un fumetto, cara Mari, ci sta benissimo anche una contraddittorietà di fondo, ed ecco come si spiega la scelta dei brani, dissonante rispetto al tenore degli scritti :-)
Questa sarebbe una pseudo motivazione, ma il motivo vero è che i brani li scelgo così, sull'umore del momento, ravanando un po' su youtube...le mie basi musicali affettive affondano le radici nel rock e simili, anche se potrà sembrare strano rispetto alla personalità che risulta dalla mia prosa :-)
Bip, bip? Mari, cos'era questo "bip bip"? Mi sei sfrecciata a fianco lasciandomi lì come un "Vil Coyote"? :-)
Ehehehehhe :-)
Bacini rockontorti :-)
be' non cadesti dal seggiolone, ma incornasti un camion... ma vuoi mettere come sei più chic tu di tanti altri!!!
Perfetto brano, in linea con l'immagine di una banshee (strega di campagna) che ti oscura la visione onde tu possa incornare il camione :-D
bacini sconnessi
Ps. io da piccola volevo sposare l'uomo ragno qualunque fosse il suo passato, sarà per questo che non mi sono mai sposata? che io ancora aspetti l'uomo ragno...
gil, tu sei un artista! assimilare la vita da fumetto, che riguarda un po' tutti, a quella reale ed effettiva con questa facilità di scrittura ed esposizione di concetti, non priva poi di simpatia ed ironia, l'ho trovato prodigioso. complimenti a quel bambinetto che è venuto su proprio bene!
un bacio
Gilli, bip, bip è solo un saluto da fumetto.
Come tu sai bene lo struzzo ed il coyote si rincorrono sempre ma fanno coppia fissa... ;o)
@->Farly: proprio come dici te, Farly: altro che compleso d'edipo o sindrome di sthendal...vuoi mettere poter vantare l'origine delle proprie radici spirituali in una nobile e rarefatta camionata? :-D
Belle le streghette, vero? Il problema è che dal vivo non se ne incontrano mai di così belle? La prossima volta che inciampo nei funghetti, me li pappo...e poi vediamo se non saltano fuori le streghe belle :-)
Riguardo all'uomo ragno, egli può sbucare fuori da ogni grondaia, balzare giù da qualsiasi cornicione, non bisogna mai disperare :-)
Bacini spider stregati :-)
@->Maria Rosaria: ehehehehe...ma grazie, Em Rose, mi lusinghi sempre con complimenti bellissimi...mi lasci sempre senza parole...ecco, infatti ora non so cosa dire :-)
Ti dico solo un grazie grande, caloroso e un po' commosso, da parte mia e di quel bambinetto :-) Le tue gentilezze, insieme a quelle di tutte le altre amiche qui, sono il più bel premio per me, e uno stimolo bellissimo per scrivere ancora :-)
Bacini prodigiosi :-)
@->Marisa: bellissima questa, Mari :-) L'ho apprezzata tanto...è molto bello quando una piccola ape furibonda gira nell'aria :-) Mette frizzantezza tutt'intorno, e luce, e splendore :-)
Bacini solari :-)
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