Di avere una certa propensione al faccinismo, lo sospettavo già da tempo. Ma che questo mi venisse ribadito addirittura dalle occulte forze cosmiche che muovono l’insensato senso del nostro relazionarci al reale, non me lo sarei mai aspettato.
Una prima avvisaglia si era presentata quest’inverno. Facevo colazione coi soliti bastoncini di cereali. Stavo quasi per finirli, quando nel piattino, gli ultimi rimasugli si sono disposti nella classica formazione “emoticona” di base.
Pensavo fosse stato un caso. Ma ieri, un nuovo indizio mi ha fatto rimeditare riguardo al fenomeno. Ero giardino, a potare un cespuglio. Mi accingo a tagliare un rametto di due centimetri scarsi di diametro. La cesoia lo abbraccia, lo addenta con la sua dolce presa tenace e zac! Il ramo se ne va. Osservo il troncone rimasto: ma non è mica vero che dalla superficie del legno mozzato, mi occhieggia un po’ strabicamente una sorta di sorrisino faccettoso?
Per immortalare lo strambo accadimento, ho poi tagliato un mini tronchetto dall’estremo emoticale, e l’ho posato sul letto petaloso di un’ortensia. Ho scattato una foto, non prima però di essermi domandato: ma si può perdere tempo in questo modo? La risposta m’è salita spontanea, immediata e rigogliosa, su dalla pancia, attraversando il petto, passando per il cuore e arrivando sino alla mente. E la risposta, naturalmente era: SI’!!!
La muse di Kika ci fanno fare oggi un balzo nella piena contemporaneità, che poi sarebbe un modo piuttosto buffo per dire che rimaniamo fermi al presente. Infatti, nell’adempimento delle sue funzioni di maghetta modaiola, Kika stavolta non ha preso in considerazione l’opera di un autore famoso del passato. Inseguendo tematiche e atmosfere aviatorie, la scelta è caduta invece sulla creazione di una giovane artista, illustratrice e “storyteller” americana: Daphne Ember. L’opera in questione è un acquerello intitolato “L’aviatrice” (dalle mie ricerche, non sono riuscito ad appurare la data di realizzazione, ma è di certo recentissimo).
Trattandosi di un’artista così giovane, le notizie a riguardo non sono tante. Per questa puntata dunque, non mi produrrò in particolari approfondimenti critici, e lascerò che a parlare siano soprattutto le immagini, per poi passare alle numerose somiglianze ispirate dal candido volto della graziosa pilota d’aereo. Parlando di artisti giovani, ci sono tuttavia altri vantaggi. Ad esempio, uno può essere il fatto che curano un proprio blog personale, come succede appunto nel caso di Daphne Ember (basta andare all’indirizzo http://daphne-apictureisworth.blogspot.it/). Un altro vantaggio accessorio è che possiamo vedere il viso dell’artista e persino un suo autoritratto.
Daphne Ember
Daphne Ember lavora molto con acquerello, matita e china, e non disdegna poi di completare le sue realizzazioni con ulteriori interventi di computer graphic. In alcune sue creazioni, c’è una ricerca del tratto che non saprei definire altrimenti se non con l’aggettivo “fumettistica”. La stessa opera “L’aviatrice” mi ha ricordato molto lo stile di un nostro grande disegnatore italiano, Milo Manara. Se l’esempio comparativo che vi propongo vi sembra troppo audace, non vi dico la fatica fatta per trovare una tavola semi-casta, nel gran florilegio “orifiziale” che mi si è sbandierato davanti, ricercando alla voce “Milo Manara” su google immagini. Credetemi amici, la sfacchinata è stata immane, ma quando c’è da sacrificarsi nel nome dell’arte, non sono certo io quello che si tira indietro.
Una rara tavola "castigata" - Milo Manara
Le opere di Daphne Ember, dal punto di vista dei temi, spaziano dall’ambito “narrativo” a quello “misterico” e simbolico. Ecco alcuni esempi di quello che intendo dire:
"Celia the Illusionist" (2012 - Pen and digital paint) - Daphne Ember
"Warrior" (2013 - Ink, pencil and digital) - Daphne Ember
"A New Creation" (2013 - Pen, ink and graphite) - Daphne Ember
Riguardo all’opera di Daphne Ember, non saprei cos’altro aggiungere. Passo dunque ora agli esiti dell’indagine fisiognomica, che si è rivelata in questa occasione particolarmente fruttuosa. Le somiglianze trovate sono ben cinque, con una sorpresa finale. Data la soggettività notevole della materia, immagino che troverete più o meno riuscite queste similitudini. Quello che però ogni volta mi sembra più importante, è immaginare una sorta di ideale fusione fisiognomica di tutti i volti proposti: di ciascuno vanno scelti certi tratti peculiari (anche se specificarvi quali siano, volta per volta, non lo saprei dire di preciso), e tutti messi insieme formano la somiglianza globale vera e propria, con la bionda aviatrice ritratta.
Ecco il primo volto scovato:
Si tratta dell’attrice e showgirl statunitense Sidney Rome, che ha avuto un discreto successo in Italia, in tv e al cinema, negli anni ’70 e ’80.
Passiamo alla seconda somiglianza:
E’ ancora una donna di cinema: se vi dico che all’anagrafe fa Nicoletta Lina Ortensia, magari sulle prime non capirete molto bene, ma se ai tre nomi sostituiamo Nancy, e poi aggiungiamo il cognome, Brilli, credo che le cose diventino più chiare: Nancy Brilli.
Suggestivo anche il terzo volto (almeno, secondo me):
Abbiamo stavolta la cantante australiana Nathalie Imbruglia, famosa soprattutto per un suo successo del 1997, la canzone “Torn”.
Procedendo con la quarta somiglianza, si ritorna in Italia:
Ancora un cantante, Rossana Casale, nota per alcune partecipazioni sanremesi negli anni ’80, e più di recente per l’evoluzione jazz della sua ricerca canora.
Passiamo poi alla quinta e ultima somiglianza “standard”:
Si ritorna nel mondo del cinema, stavolta americano, con un’attrice forse non famosissima, Tyne Daly, ma che gli appassionati della serie di film con protagonista l’ispettore Harry Callaghan (Clint Eastwood) non potranno non riconoscere: l’abbiamo vista infatti al fianco dell’arcigno sbirro di San Francisco nelle vesti della candida sua aiutante, ispettrice Moore (episodio “Cielo di piombo, ispettore Callaghan”, del 1976).
Chiudo la serie, con una somiglianza molto particolare: viene infatti niente meno che dal lontano passato. L’idea di andare a ricercare un volto anche indietro negli anni, me l’ha suggerita indirettamente Kika. Di solito non ci accordiamo mai, su quello che andremo a scrivere, nei nostri rispettivi pezzi. Ci scambiamo solo alcune impressioni via mail e poi ognuno fa per sé. Ma stavolta Kika mi ha vagamente accennato a una possibile suggestione, riguardo alla nostra aviatrice: secondo lei, poteva ricordare la posa di una madonna rinascimentale o medievale. Non ho approfondito l’indizio, ma questo mi ha fatto scattare l’idea di un volto del passato che poteva andare bene per il gioco delle somiglianze. Lascio a voi giudicare se avevo ragione o no:
Si tratta della bellissima e sfortunata Simonetta Cattaneo Vespucci, la donna più fascinosa, a detta dei cronisti dell’epoca, di tutto il periodo rinascimentale. Tanto da ispirare vari artisti, che la vollero come modella in alcune loro opere. Botticelli usò le sue sembianze per la “Nascita di Venere” (1482-85) e anche per il personaggio di Flora, nella “Primavera” (1478). Pare che anche uno dei fratelli Pollaiolo (Antonio o Piero, gli storici non l’hanno ancora appurato), la impiegasse come modella per il “Ritratto di dama” realizzato intorno al 1470-72, e conservato al Museo Poldi-Pezzoli di Milano. Simonetta Cattaneo era ligure d’origine (nata nel 1453). Andò in sposa, a soli quindici anni, a un ricco banchiere fiorentino, Marco Vespucci (della famiglia del famoso navigatore, Amerigo). Frequentò la corte di Lorenzo il Magnifico, diventando una delle dame più ammirate nell’ambiente signorile di Firenze, ma terminò la sua esistenza appena ventiduenne, nel 1476, a causa della tubercolosi.
"La nascita di Venere" (1482-85) - Sandro Botticelli
"La primavera" (1478) - Sandro Botticelli
Con questa singolarità fisiognomica inter-temporale, si chiude anche l’odierna puntata della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Adesso Kika ci aspetta tutti sul suo blog, per mostrarci nuove magie di moda, ispirate alla giovane aviatrice anni ’30 di Daphne Ember.
“The Invasion – A Coypumentary” è un bellissimo progetto multimediale che si pone lo scopo di approfondire il problema delle specie alloctone diffuse sui nostri territori, con particolare attenzione alla “vexata quaestio” delle nutrie. Obiettivo principale è la creazione di un documentario (“Coypumentary” è un gioco di parole col nome scientifico del fatidico castorino: Myocastor Coypus) che faccia luce sui tanti falsi miti, pregiudizi e luoghi comuni, sorti intorno alla figura della tartassata bestiola.
I ragazzi di “The Invasion” sono venuti a conoscenza delle mie “fumettesche” strisce sulle nutrie e mi hanno chiesto un’intervista. La cosa mi ha lusingato molto e ho risposto con grande piacere alle loro domande. L'intervista la trovate sul bel blog di “The invasion”, a questo indirizzo:
Nell’intervista, ho raccontato qualcosa su Andarperpensieri in generale, e poi su com’è nata l’idea di mettere le nutrie dentro le mie vignette umoristiche. Per l’occasione, le nutrie mi hanno preso un po’ in giro, e così ho creato anche una nuova striscia dedicata al mini-evento di cui sono stato protagonista. Vi riporto la striscia di seguito, ringraziando ancora tantissimo i ragazzi di “The Invasion – A Coypumentary” (e in particolare Ilaria Marchini) per il privilegio che mi hanno concesso con questa intervista.
“La signora di Shalott” - John William Waterhouse (1888)
L’artista scelto da Kika questa settimana per le nostre rubriche incrociate di arte, moda e acrobazie fisiognomiche spicciole, è John William Waterhouse (Roma, 6 aprile 1849 - Londra, 10 febbraio 1917). Basta osservare l’opera intitolata “La signora di Shalott” (1888), sulla quale focalizzeremo l’attenzione oggi, e riguardo alla poetica di Waterhouse non potrà non venire subito in mente una parola: preraffaelliti.
Più precisamente, nel caso di John William Waterhouse, possiamo parlare di “tardo preraffaleitismo”, oppure, concedendoci un gioco di parole, di lui potremmo dire che fu un “post-preraffaellita”. La sua maturità artistica la visse infatti in un periodo in cui la portata innovativa del movimento inglese era già stata superata, per non dire travolta, dal vento impetuoso di tante altre correnti che stavano conducendo l’arte, piacesse o no, verso l’ineluttabile dimensione della modernità.
Abbiamo già incontrato i preraffaelliti in un’altra puntata della nostra rubrichetta, ma una piccola rinfrescata storico-critica non guasta. Questo movimento culturale-artistico maturato in Inghilterra verso la metà del 1800, si muoveva intorno ad alcune teorie per certi versi alquanto singolari. Il “padre spirituale” e maggior sostenitore del movimento fu John Ruskin (1819-1900), teorico dell’arte, polemista e pensatore che ebbe in quegli anni una notevole influenza sul dibattito culturale inglese, e di riflesso anche europeo. Il periodo storico di riferimento è quello caratterizzato dagli stravolgimenti sociali, economici e di costume, introdotti dalla rivoluzione industriale. In questo scenario, Ruskin e i preraffaelliti denunciavano un imbarbarimento generale del gusto, una generale tendenza (soprattutto nel popolo, culturalmente più “sprovveduto”) a votarsi ad una “visione della vita” chiusa in un utilitarismo gretto e asfittico.
Curiosa è tuttavia la strada indicata da Ruskin e dai suoi seguaci, per ripristinare nella società una dimensione ormai perduta di profondità estetica e culturale. Essi sostenevano che l’origine lontana di tutta la “degenerazione” a loro contemporanea, andasse individuata nel periodo rinascimentale, ai loro occhi colpevole di aver trasformato l’arte in un’attività intellettuale. Da qui deriva anche il nome del movimento stesso, “Preraffaelliti”, i quali auspicavano infatti il ritorno a una dimensione “primitiva” pre-rinascimentale, a un’arte meno mediata da componenti culturali e teoriche, e più in diretto contatto con l’essenza viva e reale delle cose, ponendosi come riferimento primario la schiettezza medioevale e in particolare, in architettura, lo stile gotico.
In quale maniera e misura, da queste premesse teoriche, si sia arrivati ad ottenere il caratteristico stile dei preraffaelliti, non è molto chiaro. Di fatto, Holman Hunt (1827-1901), John Everett Millais (1829-1896), Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), ossia i principali esponenti di questa “scuola estetica e di pensiero”, diedero vita a una tipica e inconfondibile iconografia. In essa si fondono insieme una sorta di misticismo e di purezza dell’immagine, con le febbricitanti impressioni di trasognate lucidità oniriche. Le scene raffigurate sembrano sempre poste come al di là di una fragilissima cortina vitrea. Il tutto ammantato da un velo di non meglio definita morbosità aleggiante nell’aria.
Come ogni epigono che si rispetti, John William Waterhouse fece pienamente propri tutti questi stilemi. Ma come succede spesso agli artisti che si pongono con atteggiamento “di maniera” rispetto ad un modello figurativo ed espressivo alto, egli amplifica, esagera, esaspera, calca l’accento, finendo per svuotare l’originaria profondità dei suoi maestri, e riducendo le proprie rappresentazioni ad una teatralizzazione di superficie.
Lo possiamo verificare in primo luogo nel quadro di oggi, “La signora di Shalott”, dove tutta la composizione è studiata per convergere in ondate visive verso il punto focale del volto della protagonista, la cui espressione è un misto di dramma calato in una sorta di visionarietà profetica. Ma anche in altre realizzazioni di John William Waterhouse, come ad esempio nell’iper-scenografico “Ulisse e le sirene” (1891), nel quale i mitologici esseri tentatori sono disposti a raggera intorno all’eroe omerico, formando quasi una cappa ossessiva e opprimente sulla testa dell’intero equipaggio. Oppure, ancora, in una versione molto oleografica della figura di “Diogene” (1882), col celebre filosofo “cercatore dell’uomo” rappresentato con tutti i crismi d’ordinanza voluti dal suo mito, con tanto di botte e lanterna “cerca-umanità”, in una composizione, a onor del vero, molto attenta ai giochi geometrici, forse fin troppo calcolata nei pesi e nei contrappesi delle spinte visive in gioco. Così come ci appare “super-preraffaellita”, per non dire grondante pre-raffaellitismo da tutte le pennellate, anche l’interpretazione eseguita nel 1895 di “Santa Cecilia”, nella quale Waterhouse non si fa mancare nemmeno uno dei “luoghi comuni stilistici” che ci aspetteremmo da lui.
“Ulisse e le sirene” - John William Waterhouse (1891)
“Diogene” - John William Waterhouse (1882)
“Santa Cecilia” - John William Waterhouse (1895)
Si tratta in ogni caso quasi sempre di dipinti in cui s’impone la volontà aneddotica, il desiderio di proporre un racconto, a scapito di una ricerca formale o di contenuti più approfondita. E se le opere citate sopra non bastassero, di questa caratteristica espressiva di Waterhouse ci offre un ulteriore conferma un altro suo quadro, “Le favorite dell’imperatore Onorio” (1883). Qui, anche senza conoscere nulla delle vicende storiche collegate, lo spettatore viene coinvolto nell’illustrazione di una curiosa storia, con l’imperatore tutto intento a rispettare una stramba gerarchia di corte, dove uno stuolo di pennuti vari ha la precedenza rispetto al consesso dei dignitari ossequianti (la scena si riferisce ad un episodio narrato da Procopio di Cesarea, nella sua opera “Le guerre Vandaliche”, in cui si fa riferimento a una particolare devozione nutrita dall’imperatore Onorio, per le galline da lui medesimo allevate).
“Le favorite dell'imperatore Onorio” - John William Waterhouse (1883)
Per quanto riguarda l’odierna ricerca di somiglianze, devo dire che è stata proficua più in senso quantitativo, che non in quello qualitativo. Ho trovato tre volti, possibili sosia della “Lady of Shalott” Waterhouseiana, ma le parentele fisiognomiche sono molto vaghe, suggerite più che altro da certi dettagli o sfumature espressive. Sia come sia, ve le mostro. Ecco il primo volto:
Per chi non l’avesse riconosciuta, si tratta di una cantante in voga qualche anno fa: Nada. Anche se non c’entra nulla, personalmente ricordo con piacere, in particolare, una sua canzone, “Amore disperato” (1983).
Il secondo volto, mi pare di averlo già utilizzato in un’altra puntata della rubrichetta, ma dato che un po’ calzava anche in questo caso, non ho esitato a riproporlo:
Si tratta ovviamente della brava comica, attrice, presentatrice e show-girl Paola Cortellesi.
Chiudo per oggi col volto meno somigliante di tutti:
Lei è l’attrice americana Daryl Hannah e, d’accordo, l’accostamento sarà alquanto forzato, ma un qualche cosa di indefinito, nel lontano “sottofondo fisiognomico” dei due volti, in qualche modo ce l’ho visto: forse nella “composizione” generale del volto, ma non saprei dire con più precisione.
Si conclude così anche questa puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”. Ora l’appuntamento è con le magie modaiole di Kika, che sul suo blog ci propone un look rivisitato col gusto dei giorni nostri, traendo ispirazione dalla Lady preraffaellita di John William Waterhouse.
QUESTO BLOG E' FELICEMENTE IMMUNE DAL "PIUTTOSTO CHE"UTILIZZATO (SBAGLIANDO) COME SINONIMO DI "OPPURE"
Gemellaggi e altre Gillipixate...
Cari lettori di andarperpensieri,
Vi ricordo che quasi tutti i venerdì, questo mia variegata paginetta si gemella con il caro blog amico di Kika, la quale vi riveste con grande maestria i soggetti femminili di quadri storici, mentre il vecchio Gillipix indaga fra i volti della modernità, alla ricerca di insospettate somiglianze fisiognomiche. Tutto questo in:
«...Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo...»
Montale (...E' u' Genio) ---
«Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici.»
Villiers De L'Isle Adam ---
«Come tutti gli scansafatiche, anche io volevo scrivere...».
Bruce Chatwin - "What am I doing here" --- «Tempo fa ero indeciso, ma ora non ne sono più così sicuro» Boscoe Pertwee - XVIII secolo
--- «Non mi sono mai pentito di essermi sempre pentito» - Gillipixel - XXI secolo
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risulta poco trasparente senza alcune informazioni aggiuntive.
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