La settimanale rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri” si occupa oggi di un’artista per varie ragioni singolare. Innanzitutto, perché si tratta di una donna (non sono molte le pittrici incontrate nel corso della rubrica, per “evidenti” motivi di carattere storico-sociale che qui tuttavia sarebbe troppo lungo analizzare). Ma la particolarità dell’autrice in questione, è anche data da aspetti più strettamente connessi al suo fare espressivo e alla sua fortuna, che potremmo definire “a doppia lunghezza d’onda”. Se da una parte infatti questa pittrice è considerata protagonista “minore” nell’ambito della storia dell’arte, per altri versi è innegabile che la sua capacità di “penetrazione iconografica” nell’immaginario collettivo si sia rivelata efficace a livelli veramente ragguardevoli.
La scelta di Kika è caduta infatti stavolta su Tamara de Lempicka (Varsavia, 1898 – Cuernavaca, Messico, 1980) e in particolare sul dipinto intitolato “Autoritratto sulla Bugatti verde” del 1928. Ogni volta che Kika mi propone un nuovo artista di cui parlare, per prima cosa mi metto a consultare un po’ i testi di storia dell’arte che ho in casa, in cerca di notizie e note critiche in merito. Ora, non che io possegga una sterminata biblioteca di argomenti artistici: ho giusto qualche libro, seppur di buona qualità. In questo caso tuttavia, riguardo a Tamara de Lempicka non ho trovato una riga che fosse una, in nessuno dei miei libri (giusto poche righe di biografia sulla “Garzantina”, tra l’altro senza foto alcuna dei suoi quadri). Eppure l’immagine delle voluttuose donne “Lempickiane”, straboccanti di quella loro ineffabile grazia muscolare, ha finito per diventare una sorta di icona del ‘900, quasi un simbolo, un “marchio estetico” di una certa epoca, rivalutato a decenni di distanza. Dunque, non fosse altro che per questa singolare “duplicità”, Tamara de Lempicka merita attenzione ed è interessante fare alcune riflessioni in merito alla sua opera.
"Giovane donna con guanti" - Tamara De Lempicka (1930)
"La bella rafaela" - Tamara De Lempicka (1927)
"Nudo con grattaceli" - Tamara De Lempicka (1930)
Come mai Tamara de Lempicka sia catalogata fra i “minori”, si può forse spiegare abbastanza agevolmente. A ben guardare, i suoi stilemi hanno poco di originale. Detto in altre parole: nel grande discorso secolare della storia dell’arte, questa artista non è che abbia detto cose particolarmente innovative. Il clima artistico in cui maturò l’arte di Tamara de Lempicka è propriamente quello del periodo Art Decò (anni 20 del ‘900), movimento che si può considerare come un super-raffinamento del Liberty, nella ricerca di forme espressive inquadrate in un “meccanismo estetizzante” sempre più fine a se stesso.
Si può aggiungere che la spazialità e il linguaggio formale proposti dalla pittrice polacca nei suoi quadri, hanno assorbito e fatta propria la lezione cubista di Picasso, passando attraverso il filtro figurativo di Fernand Leger (1881-1955) e in qualche modo prendendo spunti anche dal dinamismo formale dei futuristi. Volendo fare una proporzione un po’ artigianale, potremmo dire che Tamara de Lempicka sta agli autori menzionati (Picasso, Leger, i futuristi), come Giovanni Boldini (1842-1931) stava all’Impressionismo. Da essi, de Lempicka prese un certo modo di trattare gli spazi e le forme, perdendosi tuttavia per strada molta dell’energia e dei contenuti espressivi più “intimi” di quegli artisti.
"Tre donne" - Fernand Léger (1921)
"Forme uniche della continuità nello spazio" - Umberto Boccioni (1913)
Detto questo, rimangono però da capire i motivi per cui, in anni più recenti, l’estetica di de Lempicka si sia imposta con un certo favore di pubblico, soprattutto nell’ambito pubblicitario e mediatico, dov’è stata ampiamente proposta. Anzi, invertendo la prospettiva, è interessante domandarsi: come mai i creativi, i pubblicitari, gli esperti di marketing hanno reputato l’immaginario “Lempickiano” così adeguato a farsi portatore di valenze estetiche particolarmente consone ai loro scopi?
Con ogni probabilità, il segno grafico di questa “pittrice-avventuriera” (corteggiata persino da Gabriele D’Annunzio, sembra però con scarsi esiti) possedeva fin dall’inizio una forte carica espressiva, che si è dimostrata in particolare sintonia con la velocità, la rapidità, la leggerezza, il “retrogusto consumistico”, la “futilità” persino, propri di un certo generale modo di sentire contemporaneo.
Se mi è concesso poi aggiungere una modesta sfumatura critica personale, mi pare di poter dire che l’efficacia estetica del linguaggio pittorico di Tamara de Lempicka, sia spiegabile soprattutto a partire da un determinato fattore. Al di là della sensualità originale delle sue forme (dato questo alquanto evidente e scontato), forse meno banale è rilevare il suo modo di trattare i corpi femminili come fossero architetture. Lo spazio della de Lempicka, che giunge a tratti a sfiorare atmosfere fumettistiche, è uno spazio, per così dire, “metropolizzato”: la fusione, senza quasi soluzione di continuità, fra umano e artificiale, si carica di un particolare fascino. In questo senso il “paesaggio Lempickiano” riassume in sé una serie di ingredienti estetici, che hanno a che fare con quanto comunemente (e forse anche parecchio superficialmente) viene inteso attraverso l’espressione “spirito moderno”. Nelle opere di Tamara de Lempicka è contenuta una certa idea molto efficace di modernità, non a caso accolta a braccia aperte dal mondo della moda e della pubblicità, sul finire del secolo scorso. Detto in estrema sintesi: il suo linguaggio pittorico era già in origine congeniale al circuito della comunicazione di massa. Con un termine attuale, potremmo definire l’arte di de Lempicka come “globalizzata”. Questo ovviamente con tutti i pregi e i difetti del caso.
La ricerca fisiognomica di oggi, visto il soggetto, non poteva non pescare ampiamente nel mondo delle dive hollywoodiane in bianco e nero. In tutto ho trovato quattro somiglianze: due prese per l’appunto dalle atmosfere in stile “roaring twenties”; una acciuffata fra i volti noti contemporanei “di casa nostra”; mentre l’ultima è una piccola sorpresa in forma di “scherzetto finale”. Forse sono volti che ho già usato in altre occasioni (a parte l’ultimo). Ma nel manuale deontologico del detective fisiognomico non sta scritto che le ripetizioni non siano lecite.
Ecco allora la prima fatalona americana che ho trovato:
Si tratta di Mirna Loy, un volto che ricordiamo al fianco di William Powel (senza dimenticare il loro insperabile cagnetto terrier, “Asta”) nel ciclo di film dedicato alle sofisticate avventure dell’Uomo Ombra.
A seguire, un’altra icona di quell’epoca:
Abbiamo in questo caso un nome che rappresenta l’essenza stessa del cinema americano anni ’20 e ’30: Jean Harlow. E non mi sembra ci sia da aggiungere altro.
Passando alla terza somiglianza, ci portiamo verso i giorni nostri:
E qui, cosa ve lo dico a fare? Altri non è se non Ambra Angiolini (devo averla già utilizzata per altre somiglianze, ma in questo momento mi sfugge dove).
Chiudo la serie di volti con il preannunciato scherzetto (anche se non sembra, noi detective fisiognomici siamo dei gran burloni: le risate, che ci facciamo al “Circolo dell’occhio pesto”, nostro abitale luogo di raduno del dopolavoro fisiognomico). Per farla breve, ecco a voi…ta-dàh!!!
Tamara de Lempicka in persona…trattandosi di un autoritratto, non ho resistito, giusto per la curiosità del raffronto (e naturalmente, anche per vedere tutti insieme l’effetto che fa…).
Tra frizzi e lazzi si conclude così anche questa puntata della nostra rubrichetta. Ora Kika ci aspetta sul suo sul blog, dove è pronta a mostrarci come ha re-interpretato le atmosfere art-Decò Lempickiane, dal punto di vista dell’abbigliamento. Non resta dunque altro che fare un salto da Kika per scoprire le sue magie sempre giocate sul filo di arte e moda.
2 commenti:
Incredibile, Mirna Loy è più somigliante a Tamara de Lempicka che Tamara stessa! O_O :)))
Ora capisco il discorso che accennavi nel commento, il riferimento ad un amalgamarsi di corporeità umana e artificiale. Giusta riflessione! Alla luce di questo, donna e automobile paiono fondersi in una cosa sola e si spiega il fatto che nel quadro non vi sia spazio per nient'altro.La natura o il paesaggio non si vedono mai nei suoi dipinti (o sbaglio?), sono molto "urbani" o come meglio hai detto tu "metropolitani" e con un che di futuristico (più che futurista).I corpi di queste donne sono ultracorpi. Forse sto immaginando troppo oltre le intenzioni della Lempicka, bho, mi fermo qua e ti saluto con un paio di ultrabacini :)
@->Kika: volevo parlare della particolare inquadratura del dipinto, Kika...ma poi, fra una cosa e l'altra, mi sono dimenticato :-))) è davvero notevole come della macchina s'intuisca solo una minima porzione, e così anche della figura autoritratta di Tamara...eppure, la forza comunicativa rimane molto potente...in pratica, fa fare tutto il lavoro visivo allo spettatore :-) che deve completare con l'immaginazione, ma ottiene un risultato di eccellente suggestione...
Pare anche a me che l'elemento naturale non sia mai considerato...è sempre una partita che si gioca tra l'uomo e i suoi artifici...
Il "problema" della de Lempicka a mio modesto parere rimane il fatto che si ferma molto in superficie...fa un'operazione molto estetizzante, che coglie poco eventuali significazioni esistenziali profonde...se si tiene presente questo, per il resto è apprezzabile per eleganza e "architettura compositiva"...si può forse dire che sia molto più affine al mondo della moda...
Detto questo, mi accorgo sempre più che la cosa bella del fare la nostra rubrichetta, sono gli spunti di riflessione che ne ricavi :-))) ogni volta è un bel esercizio di osservazione e meditazione...e questo è molto bello :-)
Lo stesso dicasi per il gioco delle somiglianze :-) è una pratica curiosa, sempre ricca di sorprese e strane sfide con il proprio inconscio fisiognomico :-)))
Bacini bugattosi :-)
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