“La signora di Shalott” - John William Waterhouse (1888)
L’artista scelto da Kika questa settimana per le nostre rubriche incrociate di arte, moda e acrobazie fisiognomiche spicciole, è John William Waterhouse (Roma, 6 aprile 1849 - Londra, 10 febbraio 1917). Basta osservare l’opera intitolata “La signora di Shalott” (1888), sulla quale focalizzeremo l’attenzione oggi, e riguardo alla poetica di Waterhouse non potrà non venire subito in mente una parola: preraffaelliti.
Più precisamente, nel caso di John William Waterhouse, possiamo parlare di “tardo preraffaleitismo”, oppure, concedendoci un gioco di parole, di lui potremmo dire che fu un “post-preraffaellita”. La sua maturità artistica la visse infatti in un periodo in cui la portata innovativa del movimento inglese era già stata superata, per non dire travolta, dal vento impetuoso di tante altre correnti che stavano conducendo l’arte, piacesse o no, verso l’ineluttabile dimensione della modernità.
Abbiamo già incontrato i preraffaelliti in un’altra puntata della nostra rubrichetta, ma una piccola rinfrescata storico-critica non guasta. Questo movimento culturale-artistico maturato in Inghilterra verso la metà del 1800, si muoveva intorno ad alcune teorie per certi versi alquanto singolari. Il “padre spirituale” e maggior sostenitore del movimento fu John Ruskin (1819-1900), teorico dell’arte, polemista e pensatore che ebbe in quegli anni una notevole influenza sul dibattito culturale inglese, e di riflesso anche europeo. Il periodo storico di riferimento è quello caratterizzato dagli stravolgimenti sociali, economici e di costume, introdotti dalla rivoluzione industriale. In questo scenario, Ruskin e i preraffaelliti denunciavano un imbarbarimento generale del gusto, una generale tendenza (soprattutto nel popolo, culturalmente più “sprovveduto”) a votarsi ad una “visione della vita” chiusa in un utilitarismo gretto e asfittico.
Curiosa è tuttavia la strada indicata da Ruskin e dai suoi seguaci, per ripristinare nella società una dimensione ormai perduta di profondità estetica e culturale. Essi sostenevano che l’origine lontana di tutta la “degenerazione” a loro contemporanea, andasse individuata nel periodo rinascimentale, ai loro occhi colpevole di aver trasformato l’arte in un’attività intellettuale. Da qui deriva anche il nome del movimento stesso, “Preraffaelliti”, i quali auspicavano infatti il ritorno a una dimensione “primitiva” pre-rinascimentale, a un’arte meno mediata da componenti culturali e teoriche, e più in diretto contatto con l’essenza viva e reale delle cose, ponendosi come riferimento primario la schiettezza medioevale e in particolare, in architettura, lo stile gotico.
In quale maniera e misura, da queste premesse teoriche, si sia arrivati ad ottenere il caratteristico stile dei preraffaelliti, non è molto chiaro. Di fatto, Holman Hunt (1827-1901), John Everett Millais (1829-1896), Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), ossia i principali esponenti di questa “scuola estetica e di pensiero”, diedero vita a una tipica e inconfondibile iconografia. In essa si fondono insieme una sorta di misticismo e di purezza dell’immagine, con le febbricitanti impressioni di trasognate lucidità oniriche. Le scene raffigurate sembrano sempre poste come al di là di una fragilissima cortina vitrea. Il tutto ammantato da un velo di non meglio definita morbosità aleggiante nell’aria.
Come ogni epigono che si rispetti, John William Waterhouse fece pienamente propri tutti questi stilemi. Ma come succede spesso agli artisti che si pongono con atteggiamento “di maniera” rispetto ad un modello figurativo ed espressivo alto, egli amplifica, esagera, esaspera, calca l’accento, finendo per svuotare l’originaria profondità dei suoi maestri, e riducendo le proprie rappresentazioni ad una teatralizzazione di superficie.
Lo possiamo verificare in primo luogo nel quadro di oggi, “La signora di Shalott”, dove tutta la composizione è studiata per convergere in ondate visive verso il punto focale del volto della protagonista, la cui espressione è un misto di dramma calato in una sorta di visionarietà profetica. Ma anche in altre realizzazioni di John William Waterhouse, come ad esempio nell’iper-scenografico “Ulisse e le sirene” (1891), nel quale i mitologici esseri tentatori sono disposti a raggera intorno all’eroe omerico, formando quasi una cappa ossessiva e opprimente sulla testa dell’intero equipaggio. Oppure, ancora, in una versione molto oleografica della figura di “Diogene” (1882), col celebre filosofo “cercatore dell’uomo” rappresentato con tutti i crismi d’ordinanza voluti dal suo mito, con tanto di botte e lanterna “cerca-umanità”, in una composizione, a onor del vero, molto attenta ai giochi geometrici, forse fin troppo calcolata nei pesi e nei contrappesi delle spinte visive in gioco. Così come ci appare “super-preraffaellita”, per non dire grondante pre-raffaellitismo da tutte le pennellate, anche l’interpretazione eseguita nel 1895 di “Santa Cecilia”, nella quale Waterhouse non si fa mancare nemmeno uno dei “luoghi comuni stilistici” che ci aspetteremmo da lui.
“Ulisse e le sirene” - John William Waterhouse (1891)
“Diogene” - John William Waterhouse (1882)
“Santa Cecilia” - John William Waterhouse (1895)
Si tratta in ogni caso quasi sempre di dipinti in cui s’impone la volontà aneddotica, il desiderio di proporre un racconto, a scapito di una ricerca formale o di contenuti più approfondita. E se le opere citate sopra non bastassero, di questa caratteristica espressiva di Waterhouse ci offre un ulteriore conferma un altro suo quadro, “Le favorite dell’imperatore Onorio” (1883). Qui, anche senza conoscere nulla delle vicende storiche collegate, lo spettatore viene coinvolto nell’illustrazione di una curiosa storia, con l’imperatore tutto intento a rispettare una stramba gerarchia di corte, dove uno stuolo di pennuti vari ha la precedenza rispetto al consesso dei dignitari ossequianti (la scena si riferisce ad un episodio narrato da Procopio di Cesarea, nella sua opera “Le guerre Vandaliche”, in cui si fa riferimento a una particolare devozione nutrita dall’imperatore Onorio, per le galline da lui medesimo allevate).
“Le favorite dell'imperatore Onorio” - John William Waterhouse (1883)
Per quanto riguarda l’odierna ricerca di somiglianze, devo dire che è stata proficua più in senso quantitativo, che non in quello qualitativo. Ho trovato tre volti, possibili sosia della “Lady of Shalott” Waterhouseiana, ma le parentele fisiognomiche sono molto vaghe, suggerite più che altro da certi dettagli o sfumature espressive. Sia come sia, ve le mostro. Ecco il primo volto:
Per chi non l’avesse riconosciuta, si tratta di una cantante in voga qualche anno fa: Nada. Anche se non c’entra nulla, personalmente ricordo con piacere, in particolare, una sua canzone, “Amore disperato” (1983).
Il secondo volto, mi pare di averlo già utilizzato in un’altra puntata della rubrichetta, ma dato che un po’ calzava anche in questo caso, non ho esitato a riproporlo:
Si tratta ovviamente della brava comica, attrice, presentatrice e show-girl Paola Cortellesi.
Chiudo per oggi col volto meno somigliante di tutti:
Lei è l’attrice americana Daryl Hannah e, d’accordo, l’accostamento sarà alquanto forzato, ma un qualche cosa di indefinito, nel lontano “sottofondo fisiognomico” dei due volti, in qualche modo ce l’ho visto: forse nella “composizione” generale del volto, ma non saprei dire con più precisione.
Si conclude così anche questa puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”. Ora l’appuntamento è con le magie modaiole di Kika, che sul suo blog ci propone un look rivisitato col gusto dei giorni nostri, traendo ispirazione dalla Lady preraffaellita di John William Waterhouse.
2 commenti:
Chissà quale magia si verifica ogni volta per far si che non ci sovrapponiamo mai con gli argomenti! Secondo me la volta che volessimo metterci d'accordo finiremmo per fare qualche pasticcio :))
Bellissimo il quadro dell'imperatore Onorio, devo farlo vedere a mio papà che è fissato con le galline :))
@->Kika: ehehhehehehe :-) se sapessimo come facciamo, sarebbe un sistema da brevettare subito, Kika :-) ma il bello è che non lo sappiamo :-))))
E' vero, questo Waterhouse era un pittore che sapeva raccontare bellissime storie col pennello...nella scelta dei quadri che ho portato come esempio, mi son lasciato guidare proprio da questo criterio elementare: quelli che mi suggerivano una bella storia, li ho presi come esempi :-)))
Riguardo a questo delle galline, ho saputo solo in un secondo momento dei personaggi, della trama, ecc. Ad un primissimo sguardo mi ha affascinato proprio il racconto, di questo sovrano (perché la scena e gli elementi principali te lo descrivono già come tale) così preso dalla passione per i suoi volatili, che oltrepassa la considerazione di qualsiasi umano :-)
Fai vedere senz'altro il quadro al papà: si sentirà sicuramente fiero della sua passione per i simpatici pennuti :-)
Bacini razzolanti :-)
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