Le frasi dello scrittore si prendono un’altra piccola pausa, ma torneranno domani.
Riprendiamo invece oggi la nostra rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Potrebbe sembrare futile e superficiale, parlare di arte in questo momento in cui urgono temi ben più stringenti e drammatici. Ma se fate un attimo mente locale alla questione, vi accorgerete che è proprio il contrario: non è per nulla futile, non è per nulla superficiale. Per due motivi (…almeno due).
Primo, perché anche l’arte, soprattutto l’arte, è espressione fondante della nostra civiltà. E se vogliamo ribadire oggi di “essere noi stessi”, ossia affermare la nostra identità, non possiamo fare a meno di aggiungere un’importantissima postilla: noi siamo anche la nostra arte.
Secondo: se tutti (da una parte e dall’altra di ogni schieramento) vivessero assumendo come guida esistenziale il vero spirito dell’arte (ossia, l’entusiastica e infaticabile ricerca del Bello), certi tragici risvolti del reale non si darebbero nemmeno.
Il quadro scelto da Kika per l’occasione s’intitola “Donna+Luce+Giardino”, ed è un olio su tela realizzato nel 1918 da Roberto Marcello Baldessari (Innsbruck, 23 marzo 1894 - Roma, 22 giugno 1965). E’ sufficiente una rapida occhiata all’opera, per renderci conto di trovarci in pieno Futurismo (un piccolo dettaglio: non sono riuscito ad appurare se i “+” posti fra le parole del titolo del quadro, siano dovuti a una stramberia futurista, oppure siano soltanto un fatto tecnico-grafico del web: in ogni caso, personalmente preferisco pensare alla prima opzione).
Ancor più “curioso” può dunque sembrare, in questo nostro frangente storico, parlare di un movimento che tra i propri proclami fece sua anche la definizione della guerra “…come sola igiene del mondo…”.
Come si esce da questo inghippo culturale? Per fortuna, quando si trattano periodi dai quali ci divide un cospicuo numero di anni, è possibile ragionare con un certo distacco storico. Inoltre, nel caso del Futurismo, a mio parere è utile fare una distinzione di livelli. Fra poco, userò categorie espressive che forse non saranno fra le più ortodosse del repertorio critico. Ma, come i più attenti fra di voi noteranno, queste mie affermazioni mirano al duplice effetto di cercare di spiegare qualcosa del Futurismo, applicando nel tempo stesso il “metodo” futurista medesimo.
Nella mia considerazione del movimento artistico futurista, ho sempre faticato a conciliare queste sue due anime all’apparenza così distanti: da una parte, i proclami roboanti, sempre al limite dell’assurdità (vi ricordo soltanto un altro paio di “amenità” invocate dai futuristi: il disprezzo della donna e la distruzione di Venezia…); dall’altra, un fare artistico che sicuramente posso classificare come uno dei miei preferiti, fra quelli espressi dalla modernità. Allora, per dirla nei termini critici eterodossi ai quali accennavo poc’anzi, una simile distonia me la spiego solo con la seguente riflessione: anche ai migliori capita di dire stronzate cosmiche.
Mi si obbietterà che non è questo il modo di analizzare razionalmente un fenomeno storico e artistico. Ma come anticipavo già, così dicendo, non sto facendo altro che applicare la logica teorica futurista, al Futurismo stesso. Provo a spiegarmi meglio, con l’aiuto imprescindibile di Giulio Carlo Argan.
Scrive per l’appunto il grande storico dell’arte: «…Il Futurismo italiano è il primo movimento di avanguardia. S’intende, con questo termine, un movimento che investe nell’arte un interesse ideologico e deliberatamente prepara ed annuncia un radicale rivolgimento di cultura e del costume, negando in blocco tutto il passato e sostituendo alla ricerca metodica un’audace sperimentazione nell’ordine stilistico e tecnico. […] Le avanguardie sono un fenomeno tipico dei paesi culturalmente arretrati; il loro sforzo, benché intenzionalmente rivoluzionario, si riduce generalmente a estremismo polemico…». Nel caso specifico dell’avanguardia Futurista, aggiunge Argan: «…Sotto il gusto dello scandalo e il disprezzo per la borghesia si cela l’inconsapevole opportunismo, e questa contraddizione spiega tutte le altre…».
Ecco dunque che comincia a delinearsi un po’ più chiaramente il mosaico: il contesto sociale e culturale, in cui si ritrovano a vivere i giovani futuristi, è asfittico, provinciale (nell’accezione più negativa del termine), retrivo, statico, legnoso, monolitico. Ciò che innanzitutto interessa loro, è assestare un forte scrollone a questo tetragono edificio. Anche a costo di sparare enormità degne dei più scadenti discorsi da bar, non intendono rinunciare al loro “estremismo polemico” (com’è magistralmente definito da Argan), che a tratti sfocia in un vero e proprio “isterismo polemico”.
Ecco dunque che il giudizio sui futuristi non può fare a meno di biforcarsi: per rimanere nell’ambito dei “francesismi critici”, direi di dimenticare senza tanti rimpianti tutte le “cagate” propagandistiche contenute nei loro manifesti (funzionali tuttavia ai loro intenti di svecchiamento), e invece merita concentrarsi sul notevole grado di innovazione e originalità che seppero esprimere nelle loro opere.
Pochi quadri riescono ad emozionarmi al pari di quelli di Giacomo Balla (1874-1958), di Carlo Carrà (1881-1966), di Umberto Boccioni (1882-1916), di Gino Severini (1883-1964). Tutti questi artisti si sono dedicati in particolare allo studio del dinamismo, rinnovando continuamente la sfida nel cercare di condensare l’essenza del movimento in una immagine statica. E gli esempi delle loro vittorie in questa sfida sono numerosi. Inoltre, non si trattava di mero virtuosismo tecnico o visivo: nelle opere dei futuristi c’è veramente una “capacità filosofica applicata” di cogliere certi aspetti cruciali della realtà. Il tutto, recependo la lezione degli altri importanti movimenti artistici più innovativi dell’epoca, in primis il Cubismo, che aveva inaugurato il concetto della scomposizione “spazio-temporale” dei soggetti e delle scene ritratte. Con il pregio ulteriore, da parte dei maggiori artisti futuristi, di distinguersi per una loro pregevole originalità nella ricerca creativa, un percorso d’indagine non solo autonomo, ma che avrà parecchie influenze di rimando sull’arte europea stessa.
E qui entra in scena (purtroppo in senso non molto lusinghiero) il nostro autore di oggi, con il suo quadro. Ecco cosa mi sento di dire riguardo al dipinto di Baldessari (e la mia non può essere altro che un’analisi limitata, da inesperto): i suoi modi espressivi risentono oltremodo dell’influenza cubista. Diversamente dai suoi più celebri (e non a caso) colleghi futuristi, Baldessari non metabolizza quell’influenza, superandola. A mio modestissimo parre, egli la fa propria, ma in senso eccessivamente emulativo. Non sussiste nel suo dipinto quello scatto inventivo necessario ad aggiungere al discorso un tono di originalità nelle argomentazioni. I “dinamismi” concepiti da Balla, Boccioni, Severini, emanano una vibrazione vitale fortissima; la donna ritratta da Baldessari (ripeto: sempre a mio “cagionevole” parere) sembra invece semplicemente riflessa da un mosaico di specchi rotti.
Come sempre succede nei casi in cui l’immagine del quadro è poco definita (sia in termini di pixel, sia per ragioni artistico-compositive), l’indagine fisiognomica di oggi è facile e difficile al tempo stesso. La donna di Baldessari potrebbe assomigliare a tutte e a nessuna. Tuttavia, anche con i limiti di tali condizioni particolari, non ho voluto rinunciare al gioco.
I volti che ho trovato formano un trittico coerente, sia per le loro caratteristiche come personaggi, sia per il ruolo giocato nel mondo dello spettacolo. Sono tre cantanti italiane e ciascuna a suo modo esprime al meglio i tratti del tipo femminile della “fatalina”. Precisiamo: la fatalina non è una fatalona in tono minore. Anche la fatalina ha le sue brave armi di seduzione e le sa usare con gran maestria. Solo che la sua aura assume un che di più familiare, profuma più di casa o di trattoria, e meno di albergo o ristorante con le stelle. Ve le presento senza tante spiegazioni, perché sono notissime.
Ecco il primo volto:
Qui si tratta ovviamente di Mietta.
Ora la seconda somiglianza:
Questa è Giusy Ferreri.
Ed ecco la terza:
Abbiamo in questo caso Dolcenera.
Per l’occasione, visto il tema cubisteggiante della puntata, mi sono divertito a prolungare il gioco con alcuni strambi assemblaggi dei tre volti. Lascio a voi giudicare se gli esiti sono più inquietanti o bizzarri.
Così si conclude l’appuntamento odierno con la nostra rubrichetta. E ora Kika ci aspetta sul suo blog per le consuete magie artistico-modaiole: da non perdere!
2 commenti:
Anche secondo me la pecca del Futurismo è di essersi legato a concetti "leggermente" aggressivi e perentori... che poi erano più che altro idee di Marinetti. Non fosse per quello il Futurismo oggi troverebbe un pieno consenso al pari di altre avanguardie europee, che al contrario ricordiamo come pacifiste e dal respiro più cosmopolita, più aperto. Peccato davvero, perché il Futurismo ne avrebbe tutte le caratteristiche stilistiche e di portata ammodernatrice.
Per Baldessari non avevo pensato al cubismo ma in effetti il suo sembra proprio uno strambo mix delle due correnti. Una sorta di cubi-dinamismo :)
Il paragone con lo specchio rotto è molto molto azzeccato. Forse a Baldessari gli son presi dieci minuti di rabbia per non riuscire a farsi un nome tra i grandi del momento e ha tirato davvero un pugno nello specchio, poi ci ha visto riflessa la sua donna che scuoteva la testa stufa dei suoi scleri e... gli è venuta l'illuminazione per farne un quadro! :))
Povero il nostro Baldessari come lo sto strapazzando :))
@->Kika: io ho fatto di peggio, Kika: ho maltrattato persino il nome, storpiandolo (però involontariamente) per tutto il mio scritto :-) ora ho corretto, facendomi forse un po' perdonare dal buon Baldessari :-)
Sul Futurismo: rimane un grande movimento artistico, infatti è stato riscoperto e apprezzato meglio negli anni recenti, quando si è frapposto un po' di tempo sufficiente per depurare quegli aspetti più tromboneschi e sgradevoli :-)
Mi viene poi da pensare un'altra cosa: la parentela con le avanguardie russe è molto interessante e curiosa, se si pensa che il Futurismo tendeva piuttosto a destra, mentre là, si buttava alquanto sulla sinistra :-)
Forse è segno di un certo fervore che attraversava tutta un'epoca: si sentiva proprio il bisogno di uno scrollone culturale spolverante :-)
Chissà se col quadro di Baldessari, la storia è andata davvero come immagini tu, Kika :-) è un'ipotesi suggestiva :-) ehehehee
Alla fine però, possiamo dire che ai "nostri" pittori, noi vogliamo sempre bene :-) anche se li critichiamo un po', li apprezziamo tutti :-)
Bacini strapazzati :-)
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