lunedì 1 settembre 2008

Have you ever seen the rain...

(Foto di Gillipixel)

“…Centocinquanta anni prima [di Joyce e Kafka] Laurence Sterne ha già colto il carattere problematico e paradossale dell’azione; nel Tristram Shandy non vi sono che azioni infinitesimali; […] Questa assenza di azione (o miniaturizzazione dell’azione) è trattata con un sorriso idilliaco (sorriso che né Joyce né Kafka conosceranno e che non avrà uguali in tutta la storia del romanzo). Mi sembra di vedere in questo sorriso una malinconia radicale: chi agisce vuole vincere; chi vince procura sofferenza al prossimo; la rinuncia all’azione è la sola via per giungere alla felicità e alla pace…“

Milan Kundera - “Il sipario” (2004)

I termini fondamentali della nostra civiltà cosiddetta occidentale, così come la conosciamo e nelle forme in cui si è evoluta a partire dalle sue primarie radici filosofiche greche fino all’attuale era di predominio della tecnica sul mondo, si basano sul valore dell’azione come proprio principale “referente esistenziale”. Talmente radicata è anche nel vissuto quotidiano la fiducia verso questa sorta di “gnoseologia pragmatica”, che sovente il senso comune ne esce clamorosamente indotto a non dare il dovuto rilievo alle palesi contraddizioni che tagliano trasversalmente molti aspetti della società fondata su tali presupposti. Parallelamente si fa in questo ambito intensa la fascinazione di stare vivendo, per così dire, nel “migliore dei mondi possibili”, forti della “verificabilità immediata” della quale si pretende investito il rapporto “causa-effetto”, prodromo concettuale imprescindibile su cui si fonda l’atteggiamento pratico dell’agire direttamente indirizzato a degli scopi.

Ma non va dimenticato che la visione del mondo tipicamente occidentale, sebbene presenti nei suoi esiti principali, connaturati alla sua stessa essenza, taluni eclatanti riscontri probatorio a giustificare la propria propensione ad “imporsi” sulla realtà come da essa è intesa, rimane pur sempre un’interpretazione, ossia uno dei punti di vista possibili. Molte altre grandi tradizioni culturali (quella orientale in primis) hanno infatti guardato con estrema prudenza alla pretesa capacità di una presa diretta sul mondo progettabile e preventivabile, che attraverso la relazione “causa-effettuale” a tutta apparenza si giungerebbe ad ottenere. E francamente, il fatto che una civiltà come non mai in possesso delle più ampie conoscenze scientificamente più evolute, si ritrovi a mandare avanti ancora un mondo in cui i quattro quinti della popolazione globale vivono una vita spesso ai limiti dell’umana dignità, se non la certezza che abbiamo sbagliato tutto, almeno qualche dubbio dovrebbe farlo sorgere.

E così via esemplificando (in un modo poco lusinghiero di cui si farebbe volentieri a meno): una civiltà che ha raggiunto il più alto livello di benessere materiale di sempre, ma che ha bisogno di aggrapparsi all’ancora sempre più vasta deleteriamente offerta da psicofarmaci, tranquillanti vari, antidepressivi e droghe della più svariata natura, per difendersi dall’altrettanto notevole livello di malessere spirituale diffuso che nel frattempo è stato anche “conquistato”. Si obietterà che è solo questione di volontà politiche non attuate, di scelte mal indirizzate. Possibile. Le dinamiche in gioco e la complessità dei fattori sono tali e talmente vaste, che qualsiasi presa di posizione semplicistica risulterebbe inevitabilmente ingenua e degna di scarsa considerazione.

Proviamo tuttavia solo un attimo a cambiare punto di vista. Prendiamo in considerazione (sulla scia del pregevole brano di Milan Kundera sopra riportato) questo passaggio del “Tao te ching”, testo cinese fondamento della secolare saggezza Taoista: “La cosa più molle al mondo si precipita contro la cosa più dura al mondo. Niente al mondo è più molle e debole dell’acqua, ma nell’avventarsi contro ciò che è duro e forte, niente può superarla. Senza sostanza, essa penetra in ciò che non ha interstizi. La cosa diventa facile per essa grazie a ciò che non esiste. Così io so che il Non-agire ha il sopravvento. Insegnare senza parole e trarre profitto dal Non-agire, pochi nel mondo vi riescono. Perciò il Santo si attiene alla pratica del Non-agire e professa un insegnamento senza parole.”

Non agire. Una prospettiva concettuale totalmente opposta e contraria al senso del mondo visto dalla posizione occidentale. Cosa può insegnarci? L’idea del “Non agire” può suggerirci tanto se ne cogliamo la stretta vicinanza con l’atteggiamento condensato dal verbo “ascoltare”. Ascoltare il mondo, quello che ha da dirci, le risposte che ci rimanda quando ci addentriamo in esso. Non più solamente cercare di imporre le nostre affermazioni per piegare la realtà. Ma come fa l’acqua, appunto, renderci conto che la vita è un dialogo con il mondo e non una lezione impartita “ex-Cathedra”. Porre attenzione alle risposte e agli interrogativi che la realtà ci propone in cambio di ogni nostra scelta, la quale non finisce per portare cambiamenti solamente al nostro intorno, ma ne arreca inevitabilmente anche a noi stessi. Come succede per l’acqua, che con la sua plastica saggezza sa dialogare con le cose che incontra adeguando la sua forma ad esse, ma avvolgendole nello stesso tempo in un’armonica definizione dei reciproci confini.

3 commenti:

Occhi blu ha detto...

La tua foglia è bellissima quanto quelle del mio girasole aventi, ciascuna, una frase tratta dal "Tao te Ching" scritta sopra, da far scegliere a caso e portare a casa in ricordo della nottata carnascialesca.
Firmato:
OuBee/Flora

Occhi blu ha detto...

Flora-Primavera-Botticelli

Gillipixel ha detto...

@->Occhi Blu: questi goccioloni che si formano sulla verza mi affascinano sempre un sacco, OuBee :-) a volte non è facile beccarli nell'inquadratura, ma le foto che ne derivano sono carine :-)

Bacini a goccioloni :-)