Per fortuna che di tanto in tanto mi sovviene l'antico adagio popolare "parla come mangi".
E per fortuna ancora che mi viene in mente anche qualche facezia assolutamente insignificante intorno alla quale poter scrivere due balordate, di modo che gli zebedei del lettore possano beneficiare dell'agognato sollievo, dopo aver retto stoicamente la gravità scribacchiatoria dei testicolari "5G negativi" innescati dalle mie pallosità parafilosofiche passate dalla mutua.
Oggi volevo dunque parlare di un argomento del quale non so esattamente una cippa di nulla: la moda.
Come ho già ricordato altre volte in codeste contrade bloghesche, "io mi son un" che possiede due paia di braghe da usare alternativamente per tutto l'anno, possibilmente per due o tre anni filati, sempre le stesse, più un paio di scarpe per l'inverno e uno di sandali per l'estate. Vi lascio dunque immaginare quali livelli di sfenatezza morbosa possa raggiungere il mio interesse per l'argomento moda e la conseguente mia sapienza in merito: praticamente "doppio zero".
E infatti sarà esattamente farina del mio sacco tutta la serie di spropositi che mi appresto ad enunciare.
In realtà non mi sarei nemmeno sognato di sfiorare l'argomento se non mi fosse successo di dare una distratta occhiata ai servizi dei vari tg riguardo le ultime sfilate milanesi.
Qui s'impone una parentesi per fissare un caposaldo del mio ragionamento.
Più precisamente vorrei introdurre lo stranoto detto: "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace".
Sono convinto che questa massima vada presa in considerazione per la sua "oggettività variabile". Nel senso che essa esprime sì una verità, ma pur sempre relativa, una verità dalla trama a maglie larghe.
Esemplificando (e scusandomi pure per la rozzezza iperbolica adottata): è vero che le predilezioni personali sono un fattore decisivo ed imprescindibile per la formulazione di ogni giudizio di gusto, ma se uno mi viene a dire che ad un piatto di aragosta preferisce di gran lunga uno sformato di letame alla cacciatora, capite bene come anche in ambito estetico si possa confidare sull'esistenza di una certa qual obiettività. Dai confini labili finchè si vuole, ma pur sempre di un qualche tipo di obiettività si tratta.
Dico questo perchè anche io, pur nella mia abissale ignoranza modaiola, credo di aver avuto da sempre, riguardo alle modalità del vestire, almeno una certezza, capace di oltrepassare qualsivoglia imperativo introdotto dai gusti personali di chicchessia.
In parole povere, per quanto mi consta, ho sempre saputo che andasse sfuggita come la peste una delle peggiori calamità dell'ineleganza, ossia il fatto di "avere l'acqua in casa".
Il termine dialettale è impagabile, come sempre, ma per chi non lo avesse mai sentito, mi sto riferendo ai pantaloni lunghi che si presentano in deficit di cm. alla caviglia.
Ecco, per come la sapevo io, questo dettaglio, da parte del vastissimo range di modaioli che va dal più umile sarto per arrivare fino al creativo di eccelsa caratura, si era sempre dovuto considerare con la stessa simpatia nutrita da un vampiro per un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino, servito all'alba su di una tavola a croce.
Invece no...eh, no!!! Qui casca l'asino modaiolo.
Cosa ti vedono infatti i miei occhi rapiti per alcuni secondi da quei servizi sulle recenti sfilate cui facevo cenno prima? Una teoria di modelli fustaccioni che facevano bella mostra di sè zompettando sulla passerella, tutti con la loro buona spanna di acqua in casa. Tutti belli e alluvionati, senza eccezione alcuna, con la loro brava caviglia desnuda, eleganti come un "interdetto con la ghègna di qualcun che volò sul nid del cucùl" (cit. Andrea Mingardi, "Sfighè").
Ed è stato lì che, nella landa desolata della mia incomprensione, mi son convinto ancor di più di quanto sono campagnolo, fortissimamente campagnolo, irrecuperabilmente campagnolo.
Dalle mie parti l'acqua in casa, soprattutto negli anni passati di minor benessere diffuso, è sempre stata considerata sintomo di ristrettezze economiche o di limitazione mentale.
L'acqua in casa la doveva tollerare chi magari aveva per forza di cose "ereditato" un paio di braghe da un fratello, ed era costretto a portare quelle anche se non cadevano a pennello sul malleolo, dopo milioni di lavaggi durante i quali erano andati perduti i migliori centimetri della loro stoffa.
L'acqua in casa era poi sfoggiata puntualmente ed immancabilmente dallo scemo del villaggio. Non vi so spiegare precisamente il fenomeno, ma uno dei tanti indiscutibili dogmi campagnoli recita che ovunque ci sia un villaggio, là c'è anche sempre stato almeno uno "scemo" ufficiale, un sempliciotto sfortunato colpito da qualche tara mentale, che solitamente viene accolto dalla comunità come una sorta di mascotte di tutti. Ecco, corollario fondamentale del dogma dello scemo del villaggio è che le braghe gli sono sempre cadute regolarmente 4 o 5 dita sopra la caviglia.
Tutto questo insomma, cari lettori, per dirvi che io getto la spugna della comprensione, dichiarandomi definitivamente incapace di potermi addentrare nei sacri misteri della moda.
In passato avevo già tentato timide ribellioni estetiche, come ad esempio di fronte alla calamità del pantalone a vita bassa che, passi per il fatto di offrire ampio margine di affaccio alla fessura del salvadanaio deretanico, ha determinato anche l'incalcolabile deturpamento delle rotondità sederiali femminee. A tal proposito ero mosso proprio dalle migliori intenzioni, deciso addirittura a sporgere denuncia ufficiale presso il sommo Garante per la Culità, Tinto Brass.
Ma di fronte all'acqua in casa, mi rendo conto che tutto è inutile. Pur non applicandoli, d'ora in avanti accetterò i dettami della moda, anch'essi come dogmi, al pari di come ho sempre accettato il basilare postulato dello scemo del villaggio.
Un bel giorno, di sfuggita al tg, vedrò sfilare modelli e modelle con le mutande sulla testa, gli occhi che faranno capolino dai due buchi ignorantemente intesi dal volgo passatista come le fessure in cui un tempo andavano infilate le gambe.
E magari a chiosa dell'esibizione, verrà data la parola allo stilista in persona, che ci spiegherà come, al di là delle apparenze, il simbolismo insito nella sua scelta espressiva sarà motivato dalla volontà di non rompere definitivamente con la tradizione.
Il nuovo capo di abbigliamento andrà infatti indossato per una settimana nelle zone del corpo alle quali è sempre stato adibito dalla secolare consuetudine e solo in un secondo momento dovrà essere sfoggiato sulla testa, a significare la continuità fra i tratti istintivi e quelli razionali della personalità del vestente.
E a quel punto, a me non resterà altro che esclamare: "Minchia, che genio!!!".
E per fortuna ancora che mi viene in mente anche qualche facezia assolutamente insignificante intorno alla quale poter scrivere due balordate, di modo che gli zebedei del lettore possano beneficiare dell'agognato sollievo, dopo aver retto stoicamente la gravità scribacchiatoria dei testicolari "5G negativi" innescati dalle mie pallosità parafilosofiche passate dalla mutua.
Oggi volevo dunque parlare di un argomento del quale non so esattamente una cippa di nulla: la moda.
Come ho già ricordato altre volte in codeste contrade bloghesche, "io mi son un" che possiede due paia di braghe da usare alternativamente per tutto l'anno, possibilmente per due o tre anni filati, sempre le stesse, più un paio di scarpe per l'inverno e uno di sandali per l'estate. Vi lascio dunque immaginare quali livelli di sfenatezza morbosa possa raggiungere il mio interesse per l'argomento moda e la conseguente mia sapienza in merito: praticamente "doppio zero".
E infatti sarà esattamente farina del mio sacco tutta la serie di spropositi che mi appresto ad enunciare.
In realtà non mi sarei nemmeno sognato di sfiorare l'argomento se non mi fosse successo di dare una distratta occhiata ai servizi dei vari tg riguardo le ultime sfilate milanesi.
Qui s'impone una parentesi per fissare un caposaldo del mio ragionamento.
Più precisamente vorrei introdurre lo stranoto detto: "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace".
Sono convinto che questa massima vada presa in considerazione per la sua "oggettività variabile". Nel senso che essa esprime sì una verità, ma pur sempre relativa, una verità dalla trama a maglie larghe.
Esemplificando (e scusandomi pure per la rozzezza iperbolica adottata): è vero che le predilezioni personali sono un fattore decisivo ed imprescindibile per la formulazione di ogni giudizio di gusto, ma se uno mi viene a dire che ad un piatto di aragosta preferisce di gran lunga uno sformato di letame alla cacciatora, capite bene come anche in ambito estetico si possa confidare sull'esistenza di una certa qual obiettività. Dai confini labili finchè si vuole, ma pur sempre di un qualche tipo di obiettività si tratta.
Dico questo perchè anche io, pur nella mia abissale ignoranza modaiola, credo di aver avuto da sempre, riguardo alle modalità del vestire, almeno una certezza, capace di oltrepassare qualsivoglia imperativo introdotto dai gusti personali di chicchessia.
In parole povere, per quanto mi consta, ho sempre saputo che andasse sfuggita come la peste una delle peggiori calamità dell'ineleganza, ossia il fatto di "avere l'acqua in casa".
Il termine dialettale è impagabile, come sempre, ma per chi non lo avesse mai sentito, mi sto riferendo ai pantaloni lunghi che si presentano in deficit di cm. alla caviglia.
Ecco, per come la sapevo io, questo dettaglio, da parte del vastissimo range di modaioli che va dal più umile sarto per arrivare fino al creativo di eccelsa caratura, si era sempre dovuto considerare con la stessa simpatia nutrita da un vampiro per un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino, servito all'alba su di una tavola a croce.
Invece no...eh, no!!! Qui casca l'asino modaiolo.
Cosa ti vedono infatti i miei occhi rapiti per alcuni secondi da quei servizi sulle recenti sfilate cui facevo cenno prima? Una teoria di modelli fustaccioni che facevano bella mostra di sè zompettando sulla passerella, tutti con la loro buona spanna di acqua in casa. Tutti belli e alluvionati, senza eccezione alcuna, con la loro brava caviglia desnuda, eleganti come un "interdetto con la ghègna di qualcun che volò sul nid del cucùl" (cit. Andrea Mingardi, "Sfighè").
Ed è stato lì che, nella landa desolata della mia incomprensione, mi son convinto ancor di più di quanto sono campagnolo, fortissimamente campagnolo, irrecuperabilmente campagnolo.
Dalle mie parti l'acqua in casa, soprattutto negli anni passati di minor benessere diffuso, è sempre stata considerata sintomo di ristrettezze economiche o di limitazione mentale.
L'acqua in casa la doveva tollerare chi magari aveva per forza di cose "ereditato" un paio di braghe da un fratello, ed era costretto a portare quelle anche se non cadevano a pennello sul malleolo, dopo milioni di lavaggi durante i quali erano andati perduti i migliori centimetri della loro stoffa.
L'acqua in casa era poi sfoggiata puntualmente ed immancabilmente dallo scemo del villaggio. Non vi so spiegare precisamente il fenomeno, ma uno dei tanti indiscutibili dogmi campagnoli recita che ovunque ci sia un villaggio, là c'è anche sempre stato almeno uno "scemo" ufficiale, un sempliciotto sfortunato colpito da qualche tara mentale, che solitamente viene accolto dalla comunità come una sorta di mascotte di tutti. Ecco, corollario fondamentale del dogma dello scemo del villaggio è che le braghe gli sono sempre cadute regolarmente 4 o 5 dita sopra la caviglia.
Tutto questo insomma, cari lettori, per dirvi che io getto la spugna della comprensione, dichiarandomi definitivamente incapace di potermi addentrare nei sacri misteri della moda.
In passato avevo già tentato timide ribellioni estetiche, come ad esempio di fronte alla calamità del pantalone a vita bassa che, passi per il fatto di offrire ampio margine di affaccio alla fessura del salvadanaio deretanico, ha determinato anche l'incalcolabile deturpamento delle rotondità sederiali femminee. A tal proposito ero mosso proprio dalle migliori intenzioni, deciso addirittura a sporgere denuncia ufficiale presso il sommo Garante per la Culità, Tinto Brass.
Ma di fronte all'acqua in casa, mi rendo conto che tutto è inutile. Pur non applicandoli, d'ora in avanti accetterò i dettami della moda, anch'essi come dogmi, al pari di come ho sempre accettato il basilare postulato dello scemo del villaggio.
Un bel giorno, di sfuggita al tg, vedrò sfilare modelli e modelle con le mutande sulla testa, gli occhi che faranno capolino dai due buchi ignorantemente intesi dal volgo passatista come le fessure in cui un tempo andavano infilate le gambe.
E magari a chiosa dell'esibizione, verrà data la parola allo stilista in persona, che ci spiegherà come, al di là delle apparenze, il simbolismo insito nella sua scelta espressiva sarà motivato dalla volontà di non rompere definitivamente con la tradizione.
Il nuovo capo di abbigliamento andrà infatti indossato per una settimana nelle zone del corpo alle quali è sempre stato adibito dalla secolare consuetudine e solo in un secondo momento dovrà essere sfoggiato sulla testa, a significare la continuità fra i tratti istintivi e quelli razionali della personalità del vestente.
E a quel punto, a me non resterà altro che esclamare: "Minchia, che genio!!!".
7 commenti:
E li hai visti con gli shorts inguinali?Ma chi è che va in giro così???? Nemmeno Totò in quel di Capri, con la braghetta all'acqua alta e la magliettina ciucciata...
Mi sembra di aver letto che da qualche parte in Sudamerica c'è una tribù primitiva che si fa i vestiti con le foglie di una pianta, e quando le foglie si spappolano, ne mettono su di nuove...tanto fa sempre caldo e sono comunque sempre nudi, quindi chissenefrega?
Personalmente mi piace la braga lunghissima, che struscia stile '70 sul marciapiede...quella sì che è classe, oh yeah!:))))
Non la sapevo quella di questa tribù: i primitivi sono sempre più avanti :-)
Veroooo!!! Il buon Totò quando prendeva in giro tutti nei panni di Pupetto Montmartre degli Champs Elisè :-DDD ahahahahhahaha...fortissmooo!!!
Vedi vale, ormai io nutro il forte sospetto che ad ogni nuova stagione di moda, gli stilisti si riuniscano e si dicano fra di loro: facciamo a gara a chi inventa la cagata più assurda...vediamo un po' se abboccano anche a questa :-D
volevo scrivere Vale...chiedo venia per la mancata maiuscola :-)
Non serve chiedere venia, Gilli! io mi firmo sempre v. con la minuscola, in genere per pigrixia, non devo nemmeno schiacciare il tasto delle maiuscole...ah ah ah!
Comunque è vero, gli stilisti stilosi pensano di essere sempre "li meio" solo perché fanno girare la gente addobbata come l'albero della cuccagna, ma tu ti sei mai fatto un giro su certi forum "femminili" che ciacolano solo di borsette e scarpe??? Agghiacciante!
Pure alla magnifica e a me piace parlare di quisquilie e pinzillacchere, ma poi parliamo anche di V. Woolf, di politica, dell'ultimo film bello...insomma, teniamo il cervello acceso!
E Pupetto era la fine del mondo, cicoria!:)))
Vale, volevo solo aggiungere che non sono snobisticamente contrario alla moda "a prescindere" (tanto per rimanere in atmosfere decurtisiane :-)
Era mi pare nel re laer che qualcuno diceva: toglietemi ogni cosa, ma lasciatemi il superfluo?
Ecco, per dire, anche la superficialità ha un peso immenso nella vita di ognuno, anzi direi che il 95% delle cose che procurano gioia sono superflue :-)
Quindi sono idealmente con te e la magnifica quando parlate di cose frivole, perchè sono una benedizione di ogni amicizia :-)
Ma quello che fa inca...pperire è quando c'è gente che teorizza da gran guru intorno al tema del superfluo, e si attegia a mega esperto per gabbare denari al prossimo: questo proprio fa montare la panna alle ginocchia :-D
In ogni caso: cicoria!!! :-D
slyalin dice l'oracolo ad indicare che forse non te ne devi preoccupare molto delle sfilate che tanto dalle nostre parti i soldi per comprare la braga corta firmata non ce li abbiamo ...
ehehehehehe...vero, Farly :-) tra l'altro, ti dirò, nel mio modesto e sicuramente sbagliato ordine di valori, anche un solo centesimo speso per il vestiario oltre la somma indispensabile per potersi difendere dalle intemperie presentandosi nel contempo con un aspetto decente, ebbene, quel solo centesimo in più per me equivale ad un centesimo sbattuto nel cesso :-)
(...miii...che periodo arzigogolato...si vede che sto leggendo Faulkner? :-D
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