L’asociale è quel tizio che, pur essendo convinto esattamente del contrario, ha un notevole bisogno degli altri.
In qualità di assuntore abituale di sostanze asocial-facenti, questo frammento di vero mi è balenato in mente verso un fine mattinata di un qualche sabato fa.
Stavo praticando uno dei miei sport preferiti: disteso sul letto, la finestra aperta che respirava brezza fresca filtrata solo dalla sottile membrana della tenda, sleggiucchiavo mentre l’arietta carezzevole mi calzava i piedi come un paio d’infradito di vento.
Capita a volte, se certe questioni non ti sono ben chiare, di imbatterti in una metafora (“…Toh!...una metafora…”) e grazie ad essa sembra quasi di averci capito qualcosa in più.
Spesso si tratta di piccoli frammenti di realtà nei quali ti ritrovi tuffato. Non fai in tempo a sentire lo splash metaforico e già sei lì a domandarti se si tratti più di suggestione o cosa, oppure se i significati che leggiamo in queste “comunicazioni di servizio” della quotidianità posseggano una loro effettiva fondatezza di senso.
Poi però dici: «…E va beh, chi se ne frega, l’«andarperpensieri» è attività onlus senza finalità commerciali, e per di più praticabile gratuitamente…tanto vale sguazzarci due minuti…».
Cosa c’entra insomma l’asocialità con l’aria sui piedi?
Mah…so che adesso non vi fiderete, però io dico che c’entra.
Ero lì infatti in bilico su un punto molto interessante del mio libro, quando ho cominciato a sentire quella sensazione a metà fra il freschino un pelo di troppo inoltrato, ed una sua piacevolezza residua non del tutto disdegnabile (tenete conto che era una di quelle mattinate seguenti agli ultimi acquazzoni).
Dopo una strenua ed eroica lotta contro la mia pigrizia di lungo corso che mi incollava al letto, ma soprattutto contro il sommo senso di indecisione che mi impediva di stabilire con gordiana “sfessatura del nodo” se quella fosse una situazione di temperatura gradevole oppure no, mi sono alzato ed ho accostato i vetri della finestra, abbassando anche un po’ la serranda.
E’ stato a quel punto che la metafora mi ha folgorato: così come mi ero sentito in stato vigile di frizzante “epidermicità” con la finestra aperta, provavo ora un remoto e sfumato senso di asfissia prossemica coi vetri accostati. Ho capito così che quella brezza era il collante figurato della mia dimensione sociale ideale: nel mio essere non c’è posto né per la socialità di senso compiuto a finestre spalancate, ma nemmeno per l’asocialità dura e pura ad imposte serrate. La mia essenza narra un me stesso sempre attestato sulla soglia di un rapporto con gli altri lieve ed ondeggiante come un soffio di vento.
La finestra la devo lasciare socchiusa, per avere la conferma costante che gli altri sono sempre là, nella consapevolezza di un profondo bisogno di sentirli. Ma la tenda nel mezzo va lasciata distesa a filtrare l’irruenza dell’aura di coloro che non sono me.
E sapere che studiare i giusti contrappesi nell’equilibrio sottile fra aria interna e atmosfera naturale, fra penombra nella mia stanza e luce del sole, in fondo non è altro che studiare come la vita possa essere vissuta.
Per non provare troppo freddo, quando la brezza spira molto intensa.
Per non sentirsi soffocare, quando quell’ossigeno umano si fa troppo rarefatto.
In qualità di assuntore abituale di sostanze asocial-facenti, questo frammento di vero mi è balenato in mente verso un fine mattinata di un qualche sabato fa.
Stavo praticando uno dei miei sport preferiti: disteso sul letto, la finestra aperta che respirava brezza fresca filtrata solo dalla sottile membrana della tenda, sleggiucchiavo mentre l’arietta carezzevole mi calzava i piedi come un paio d’infradito di vento.
Capita a volte, se certe questioni non ti sono ben chiare, di imbatterti in una metafora (“…Toh!...una metafora…”) e grazie ad essa sembra quasi di averci capito qualcosa in più.
Spesso si tratta di piccoli frammenti di realtà nei quali ti ritrovi tuffato. Non fai in tempo a sentire lo splash metaforico e già sei lì a domandarti se si tratti più di suggestione o cosa, oppure se i significati che leggiamo in queste “comunicazioni di servizio” della quotidianità posseggano una loro effettiva fondatezza di senso.
Poi però dici: «…E va beh, chi se ne frega, l’«andarperpensieri» è attività onlus senza finalità commerciali, e per di più praticabile gratuitamente…tanto vale sguazzarci due minuti…».
Cosa c’entra insomma l’asocialità con l’aria sui piedi?
Mah…so che adesso non vi fiderete, però io dico che c’entra.
Ero lì infatti in bilico su un punto molto interessante del mio libro, quando ho cominciato a sentire quella sensazione a metà fra il freschino un pelo di troppo inoltrato, ed una sua piacevolezza residua non del tutto disdegnabile (tenete conto che era una di quelle mattinate seguenti agli ultimi acquazzoni).
Dopo una strenua ed eroica lotta contro la mia pigrizia di lungo corso che mi incollava al letto, ma soprattutto contro il sommo senso di indecisione che mi impediva di stabilire con gordiana “sfessatura del nodo” se quella fosse una situazione di temperatura gradevole oppure no, mi sono alzato ed ho accostato i vetri della finestra, abbassando anche un po’ la serranda.
E’ stato a quel punto che la metafora mi ha folgorato: così come mi ero sentito in stato vigile di frizzante “epidermicità” con la finestra aperta, provavo ora un remoto e sfumato senso di asfissia prossemica coi vetri accostati. Ho capito così che quella brezza era il collante figurato della mia dimensione sociale ideale: nel mio essere non c’è posto né per la socialità di senso compiuto a finestre spalancate, ma nemmeno per l’asocialità dura e pura ad imposte serrate. La mia essenza narra un me stesso sempre attestato sulla soglia di un rapporto con gli altri lieve ed ondeggiante come un soffio di vento.
La finestra la devo lasciare socchiusa, per avere la conferma costante che gli altri sono sempre là, nella consapevolezza di un profondo bisogno di sentirli. Ma la tenda nel mezzo va lasciata distesa a filtrare l’irruenza dell’aura di coloro che non sono me.
E sapere che studiare i giusti contrappesi nell’equilibrio sottile fra aria interna e atmosfera naturale, fra penombra nella mia stanza e luce del sole, in fondo non è altro che studiare come la vita possa essere vissuta.
Per non provare troppo freddo, quando la brezza spira molto intensa.
Per non sentirsi soffocare, quando quell’ossigeno umano si fa troppo rarefatto.
7 commenti:
la descrizione di come praticare il tuo sport preferito è semplicemente meravigliosa....
...adesso leggo il resto...
ehehehehhhe :-) grazie Maffy...devi sapere che per il coordinamento delle attività connesse a questo sport esiste anche una federazone, la P.I.G.R., Pattuglia Italiana Grandi Ronfatori :-D
ecco ora io capisco e apprezzo la tua prosa, trovo delicata e poetica la tua descrizione ma non posso resistere, non ce la faccio, ora lo dico, non mi posso trattenere...
dal tuo racconto si evince il senso più profondo e intenso della frase "ragionare con i piedi" :-D
AHAHAHAHAHAHA :-D
Bellissima Farly!!! :-)
E pensa che quando ragiono coi piedi mi vengono idee molto più brillanti delle volte che uso la zucca :-D
smovatil dice blogspot: medicinale adatto a chi tiene le chiappe troppo posate sulla sedia :-)
Questo post odora di erba appena tagliata di domenica pomeriggio e diffonde quiete quanto un amaca tra due querce in cima ad un colle senese (tra Pienza e San Quirico direi!), per non parlare del gusto gioioso che da l'infradito di vento, si questo post mi piace molto e decisamente hai peccato in modestia elevata alla potenza definendo il tuo viottolo di pensieri un bloGhetto, non ho dubbi! Bello davvero.
(il quadro è di Grosz?)
@->Yrom.A: grazie, sei troppo gentile :-) ti confesso che non sapevo di chi fosse il quadro...ho ricercato poi: è di Momò Calascibetta:
http://www.artmomo.com/blog/?cat=35
in effetti richiama tantissimo Grosz...
io avevo solo preso due immagini dal web, questa qui delle facce e quella della finestra, e le ho fuse con una photoshoppata :-)
grazie ancora per le tue belle parole :-)
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