mercoledì 9 settembre 2009

Ad anima scalza


Uffa che noia…fra poco bisognerà tornare a mettersi le scarpe.

Uno dei vantaggi dell’estate (insieme al “soave” scoreggìo delle zanzare ad un centimetro dal timpano, all’afa martellante, alle emersioni da insonni apnee in “piacevolissimi” bagni di sudore, alle miglia di “vaporose” code in autostrada, alle vacanze “intelligenti” e ai fondamentali servizi di “approfondimento” di «Studio aperto», che quotidianamente ti rammentano l’afa soffocante, le vacanze intelligenti e le miglia di code in autostrada) è che puoi scordarti le scarpe per qualche mese.
Da alcuni giugni, lugli, agosti ed inizio settembri a questa parte, i miei piedi, calzaturisticamente parlando, non vedono altro che un paio di sandali.
Non solo: tutta la parte indoor della mia estate la trascorro ricalcando le gloriose orme della tribù dei Piedi Neri, zompando per casa a zampa rigorosamente scalza.

Ora, anche se il nesso fra i due temi non si coglierà esattamente al volo (e magari nemmeno c’è, un nesso), riflettendo su questa faccenda dei sandali e del “barefoot pride”, mi è venuto da considerare come per tutto il periodo della scuola dell’obbligo io non abbia praticamente mai studiato.
Studiare e mettersi le scarpe sono due mali necessari (con il sandalo come valido compromesso). Ci consentono di poter “metter piede” nel consorzio umano con un minimo di decenza, attenuando le conseguenze più clamorose dell’hobbesiano «homo homini lupus».
Ma il piede libero di “piedeggiare” all’aria e la futilizzante dimensione infantile della perdita di giornata fine a se stessa, rimangono fra i più begli inni alla libertà che io abbia mai conosciuto.

La scoperta che leggendo i libri in modo approfondito (ossia studiando) si vengono a sapere “cose vere” sulla propria vita, giunse per me piuttosto tardi.
Mi ricordo anche vagamente l’episodio, caduto giusto nel mezzo del cammin di nostra seconda media. Di chi fosse precisamente il brano rivelatore, invece non lo ricordo. So che era sulla vecchia antologia spelacchiata di italiano, già rodata da un triennio di trambusti nello zaino di mio fratello.
Quel giorno mi accorsi che la cara e vecchia antologia, fino ad allora per me poco più di una fastidiosa presenza da sfogliare frettolosamente in 5 minuti (tanto per ricordare due fregnacce da ripetere alla prof. il giorno dopo), prima di uscire a sprecare proficuamente le successive 3 ore del pomeriggio correndo dietro ad un pallone al campetto, aveva qualcosa di importante da dirmi.
Mi disse che l’adolescenza è quella fase della vita durante la quale brufoli ed inedite preoccupazioni prima inaudite fanno a gara per eruttare fuori da te, ma è anche il periodo degli “attacchi di felicità”.
Ecco, credo che queste piccola espressione abbia rappresentato in assoluto la mia prima “epifania del lettore”.

Cosa ne potevo sapere prima io della felicità?
Non perchè la mia infanzia fosse stata particolarmente infelice, ma perché fino a quando sei bambinetto galleggi neutrale in un’«empirea» bambagia platonica quasi fuori dal tempo. Per sapere cosa sia la felicità, o almeno per fartene una vaga idea, devi assaporare prima il gusto dell’infelicità. E’ forse questa la rivelazione più dura che l’adolescenza si porta con sé.
Tutto questo mi disse quel giorno la mia antologia.
E anche se la cosa mi fece abbastanza male, gliene fui fortemente grato. Perché fra le righe mi fece anche capire che da quel momento la mia anima non avrebbe potuto più godersi le sue esclusive scorrazzate a piedi nudi, ma di tanto in tanto, e poi sempre più spesso, avrebbe dovuto cominciare a mettersi le scarpe.
Non che da allora in avanti io sia divenuto uno studioso modello. Altri fondamentali “calzascarpe” era ancora lì da venire. Come qualche salubre 4 rimediato in prima liceo, oppure certi sensi di colpa grossi come condomini, quel pomeriggio che, sempre in prima liceo, liquidai la «Metamorfosi» di Kafka coi canonici 5 minuti di studio stile scuola media, per poi tirare a sera nel campetto fra cross e corner angosciosamente calciati come se al posto dei piedi mi fossero improvvisamente spuntate le “beatlesiane” zampette di Gregor Samsa.

Quello che la mia antologia non mi disse tuttavia è che da certi aspetti del periodo adolescenziale non se ne esce più. Da taluni febbroni buscati durante la teenage, non si guarisce mai.
Ecco perché ancora oggi mi dà alquanto fastidio calzare di nuovo le scarpe ad ogni ritorno d’autunno. L’unica consolazione è sapere che pronto da dietro al primo angolo, non si sa in quale foggia o con quali modalità questa volta, sbucherà sempre fuori un inaspettato quanto gradito “attacco di felicità”.

14 commenti:

scodinzola ha detto...

Pensa un pò a noi donne che, oltre a dover nuovamente incastrare i nostri delicati piedini in scarpette da cenerentola, dobbiamo anche inguainare le nostre gambe nelle collant... 10 minuti buoni al mattino servono solo per quello. Già perchè spesso appena hai finito di indossarle ti accorgi che..... sono sfilate!
Gli attacchi di felicità: l'importante è accorgersene.

farlocca farlocchissima ha detto...

lascia perdere che oggi ho rimesso calzini e scarpe che faceva un freddo in motorino alle 8... sigh... ecco per me l'adolescenza è stata l'epoca degli attacchi di disperazione, di felicità se n'è cominciato a parlare, brevemente, molto molto dopo. però l'inno al piede all'aria, il barefoot pride, la lotta senza tregua al pedalino con scarpa, sono da me totalmente condivise. MORTE ALLA SCARPA VIVA I PIEDI NERI (e callosi). bacio

farlocca farlocchissima ha detto...

ps gran bello scritto ;-)

Vanessa Valentine ha detto...

Evviva la libertà di camminare sull'erba a piedi nudi, e sentire la terra che ti accarezza!
In campagna la Mama mi costringe a portare le espadrillas ma io le calcio via appena si gira, e vado nell'orto scalza.
D'inverno però gli stivali mi piacciono, mi piace camminare e ticchettare sotto i portici...mi viene sempre in mente "L'uomo che amava le donne" di Truffaut, quando diceva "le gambe delle donne sono come compassi che misurano il mondo", cito vagamente a memoria, più o meno...:))))
Scritto, al solito, splendidamente!

Yossarian ha detto...

"oppure certi sensi di colpa grossi come condomini, quel pomeriggio che, sempre in prima liceo, liquidai la «Metamorfosi» di Kafka coi canonici 5 minuti di studio stile scuola media"

Non mi spiego i sensi di colpa. Hai fatto benissimo invece.

Uno che a 14 anni sta in casa a leggere Kafka mi preoccuperebbe parecchio.

;-)

@Vanessa

"L'uomo che amava le donne"

Sublime

Gillipixel ha detto...

@->Scodinzola: infatti, Scodi, noi maschietti dovremmo solo tacere :-)
però a voi signorine tocca maggior "lavoro" perchè siete più belle :-) ehehehehe
Grazie :-)

Gillipixel ha detto...

@->Farly: fondiamo un club, Farly...di più, di più: un partito...di più, di più: una religione...
gli adepti di San Callo :-D
Grazie per le tue parole, signorina in giallo, sempre spiritosa e profonda al contempo
:-)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: evviva l'anarchia pedissequa :-D
Le gambe delle donne...non me ne parlare, Vale :-)
cavoli, quel film non l'ho visto e me ne vergogno sommamente, per di più che è pure "certificato Yoss", quindi deve essere bellissimo...spero di rimediare quanto prima a questa lacuna abissale...
Grazie Vale, sei gentilissima, ma i miei scritti non hanno nemmeno un millesimo della grazia dei tuoi :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

va bene per il culto di S. Callo, anche quello di San Ditone martire del tacco a spillo è da diffondere :)

Gillipixel ha detto...

@->Yoss: l'ho capii solo dopo, Yoss, ma all'epoca li scambiai per sensi di colpa, e invece chissà, forse avevo solo mangiato pesante :-)
anche Kafka lo capii solo dopo: c'è un tempo per perdere tempo e c'è un tempo per kafkare :-)
Grazie della visita :-)

ANTONELLA ha detto...

Non posso commentare una così brillante riflessione sulla vita costretta alle regole strette e dolorose e spesso anche di marca. Non posso commentare perchè qualsiasi commento sciuperebbe l'atmosfera lieve a cui il tuo scritto mi ha portato. Eppure ti dirò: forse la tua vecchia antologia ha trovato una sensibilità miracolosa da risvegliare.

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: mi hai fatto arrossire fino a sotto le piante dei piedi, Anto :-) sei carinissima, grazie di cuore davvero!!!
E' vero, di quella modesta antologia ricordo solo una frase o poco più, ma fondamentale...a volte certi dettagli che ci succedono nel corso della vita sono più decisivi di eventi apparentemente creduti importanti per la nostra formazione...
grazie ancora, i tuoi commenti portano sempre con sè eleganza e mister femmineo :-)

maria rosaria ha detto...

grande, gil! il calzascarpe è troppo simpatico. anch'io prima di scoprire gli attacchi di felicità studiavo in cinque-dieci minuti, per giunta al mattino presto. e sono sempre passata, e passo direttamente dagli stivali ai sandali e viceversa, dilatando i tempi estivi quanto più posso; però camminare scalza mi fa un po' senso.
bacio

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: ehehehehe, in effetti non nego che la scalzitudine sia atteggiamento piuttosto campagnoleggiante :-) non è il massimo dell'eleganza, ma dà un tale senso di libertà :-)
Grazie per i tuoi commenti sempre solari e luminosi :-)